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TESTO La scuola della croce: amare non è emozione ma dare

padre Ermes Ronchi

Esaltazione della Santa Croce (14/09/2014)

Vangelo: Gv 3,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,13-17

13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Festa dell'Esaltazione della Croce, in cui il cristiano tiene insieme le due facce dell'unica evento: la Croce e la Pasqua, la croce del Risorto con tutte le sue piaghe, la risurrezione del Crocifisso con tutta la sua luce. Parafrasando Kant: «La cro­ce senza la risurrezione è cieca; la risurre­zione senza la croce è vuota».

Dio ha tanto amato. È questo il cuore ar­dente del cristianesimo, la sintesi della fe­de: «Dove sta la tua sintesi lì sta anche il tuo cuore» (Evangelii Gaudium 143). «Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama» (L. Xardel). La salvezza è che Lui mi ama, non che io amo Lui. L'unica vera ere­sia cristiana è l'indifferenza, perfetto con­trario dell'amore. Ciò che sventa anche le trame più forti della storia di Dio è solo l'in­differenza.

Invece «amare tanto» è cosa da Dio, e da ve­ri figli di Dio. E penso che ogni volta che u­na creatura ama tanto, in quel momento sta facendo una cosa divina, in quel mo­mento è generata figlia di Dio, incarnazio­ne del suo progetto.

Ha tanto amato il mondo: parole da ripe­tere all'infinito, monotonia divina da inci­dere sulla carne del cuore, da custodire co­me leit-motiv, ritornello che contiene l'es­senziale, ogni volta che un dubbio torna a stendere il suo velo sul cuore.

Ha tanto amato il mondo da dare: amare non è una emozione, comporta un dare, ge­nerosamente, illogicamente, dissennata­mente dare. E Dio non può dare nulla di me­no di se stesso (Meister Eckart).

Dio non ha mandato il Figlio per condan­nare il mondo, ma perché il mondo sia sal­vato per mezzo di lui. Mondo salvato, non condannato. Ogni vol­ta che temiamo condanne, per noi stessi per le ombre che ci portiamo dietro, siamo pa­gani, non abbiamo capito niente della cro­ce. Ogni volta invece che siamo noi a lan­ciare condanne, ritorniamo pagani, scivo­liamo fuori, via dalla storia di Dio.

Mondo salvato, con tutto ciò che è vivo in esso. Salvare vuol dire conservare, e niente andrà perduto: nessun gesto d'amore, nes­sun coraggio, nessuna forte perseveranza, nessun volto. Neppure il più piccolo filo d'er­ba. Perché è tutta la creazione che doman­da, che geme nelle doglie della salvezza.

Perché chiunque crede in lui non vada per­duto, ma abbia la vita eterna. Credere a questo Dio, entrare in questa dinamica, la­sciare che lui entri in noi, entrare nello spa­zio divino «dell'amare tanto», dare fiducia, fidarsi dell'amore come forma di Dio e for­ma del vivere, vuol dire avere la vita eterna, fare le cose che Dio fa', cose che meritano di non morire, che appartengono alle fibre più intime di Dio. Chi fa questo ha già ora, al presente, la vita eterna, una vita piena, rea­lizza pienamente la sua esistenza.

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