TESTO Commento su Nm 21,4b-9;Fil 2,6-11;Gv 3,13-17
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
Esaltazione della Santa Croce (14/09/2014)
Vangelo: Nm 21,4b-9|Fil 2,6-11|Gv 3,13-17
Lettura del libro dei Numeri 21, 4b-9
Il popolo è scoraggiato della fatica e delle difficoltà che deve affrontare, addirittura per mancanza di acqua e di cibo che invece in Egitto avevano a sufficienza. Ma allora l'aver seguito questo nuovo Dio, di cui Mosè si è fatto portavoce, è una disgrazia ed un tradimento. La fatica produce incapacità a fidarsi ed a reggere il cammino verso la libertà.
Poiché camminano nel deserto, gli ebrei percorrono accidentalmente una strada dove si annidano serpentelli voraci e velenosissimi. E' per questo che ancora oggi, ai turisti, si consiglia di non camminare nel deserto a piedi nudi o con i sandali. I saggi, comunque, collegano questi pericoli con la diffidenza del popolo e richiamano il popolo ai propri sbagli. Mosè intercede e costruisce un segno: un serpente di bronzo. A chi guarderà, elevando in altro lo sguardo, sarà offerta la salvezza.
Il serpente, nell'antichità, è una realtà misteriosa, simbolo di vita e di fecondità e simbolo di morte. Il guaritore Esculapio portava guarigione ed aveva un bastone a cui erano attorcigliati due serpenti. E' ancora oggi simbolo della sanità. I rabbini, tuttavia, spiegavano che non era il serpente che guariva il malato, ma il Signore a cui rivolgi lo sguardo. Nel libro della Sapienza si legge: "Infatti chi si volgeva a guardarlo era salvato non per mezzo dell'oggetto che vedeva, ma da te, salvatore di tutti" (16,7).
Filippesi 2, 6-11
Paolo è in prigione e quindi ha molto tempo per ripensare al suo cammino, alle scelte fatte, alle comunità che ha incoraggiato e strutturato. Egli si fida molto della sua comunità di Filippi e confida a loro di essere pieno di gioia. In questa lettera lo ripete almeno 16 volte e ne parla perché possano scoprire che vanno ripensati i propri rapporti con gli altri. Non è il mondo esterno che ti deve dare gioia ma la ricchezza di cui il Signore ti arricchisce. Così, con la stessa serenità di cuore, vuole aiutare questi fratelli e sorelle nei rapporti sempre difficili di una comunità, anche cristiana. Egli ne parla con fiducia; dice di aver scoperto, nelle pieghe di una umanità attiva, atteggiamenti di invidia in alcuni che cercano di fare da padroni. Per questo l'apostolo si preoccupa di suggerire alcuni atteggiamenti morali: "Rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri" (2,2-4).
La preoccupazione di suggerire un modello porta Paolo a ripensare al modello più alto che conosce: ai sentimenti di Gesù. E qui Paolo introduce un inno stupendo composto probabilmente ad Efeso e comune a tutte le Comunità dell'Asia minore. E' la lettura del brano di oggi in cui il suggerimento continua sul doppio filo di ciò che Gesù sente e vive nel suo stile e ciò che Gesù è in realtà nella sua avventura.
Perciò "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina..."( 2,5ss)
A. Si parla di Gesù prima della nascita da Maria e si dice che è "nella condizione di Dio".
B. Poi, nella sua incarnazione, è venuto tra noi e si è spogliato della sua grandezza. C'è, però, il pericolo di pensare che si sia solo rivestito della realtà umana come di un abito ed alla fine, di spogliarsene per tornare alla condizione beata di prima. Egli invece si è svuotato" della sua divinità per diventare veramente uomo nella sua realtà quotidiana che è "svuotamento" della sua grandezza fino alla morte. Perciò non si è fermato ad un livello superiore, ma si è fatto veramente uomo. E tra gli uomini non si è installato tra i notabili, tra i nobili, tra gli aristocratici o i grandi o gli eccellenti. Non si è fatto uomo di successo, non si è esibito in fantastiche manifestazioni. Ha scelto di mettersi tra gli umili, ha condiviso la condizione di schiavo e perciò, crocifisso come uno di loro. Alla fine le scelte, il suo silenzio, la sua mansuetudine, il non aver accusato e l'aver perdonato hanno reso straordinariamente facile la sua morte e la sua sconfitta.
C. Ma su di lui il Padre vegliava e lo ha innalzato nella gloria poiché il Padre lo ha riscattato e lo ha reso Signore. Davanti a Lui ogni persona poteva e può misurarsi per riconosce la propria sudditanza e quindi la propria grandezza.
Il suggerimento conclusivo è squisitamente morale mentre l'inno è una altissima professione teologica.
Anche noi diventeremo grandi, nel seguire Gesù, se avremo cercato di sviluppare lo stesso suo stile nella nostra vita terrena e saremo capaci di proclamare la sua grandezza e la misericordia gloriosa e luminosa del Padre.
Giovanni 3, 13-17
Bisogna anzitutto dire con chiarezza che la croce, in quanto tale, non va esaltata: era, ed è, uno strumento di morte, uno strumento di tortura, di barbarie, di ignominia e di vergogna. Ieri, come oggi. Come dire: esaltare Auschwizt.
Certo, c'è tutto un richiamo per significati e simboli, ma questi rischiano di cadere nel vuoto e nell'equivoco, se non si ribadisce con forza il senso della crocifissione di Gesù, addirittura proposta come una necessità indispensabile (" bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo").
Siamo nel contesto dell'incontro di Gesù con Nicodemo che ha al suo centro una rinascita: quella secondo lo Spirito che garantisce l'affermazione incredibile che Gesù fa: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". E ancora, più chiaramente: " Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui".
Se Dio ama tanto il mondo che dona se stesso per salvarlo facendosi uno di noi, simile in tutto ai delinquenti e ai sovversivi, occorre mettere in evidenza che è sulla totalità e incredibilità di questo amore che va posto l'accento, non tanto per considerarci ancora una volta inadeguati a capire e a comprendere, quanto per domandarci:
Ci rendiamo davvero conto che il Signore vuole salvarci, in un mondo dove sembra prevalgano la violenza, l'arrivismo, l'odio, il potere, il denaro? E come ci salva se le cose sembrano continuare senza cambiamenti?
Ci fidiamo di quello che dice Gesù o non ci facciamo più tanto caso perché sono cose ormai ripetute che non fanno più presa in noi?
Che valore diamo a queste affermazioni? Ci crediamo davvero? E come collaboriamo? con contro risposte vaghe e prive di comprensione come quelle di Nicodemo?
Abbiamo il coraggio di guardare le ‘croci' del nostro tempo tenendo presenti queste parole di Gesù? Ci toccano? Oppure sorvoliamo e cerchiamo di non pensarci?
Credo che pensare a Gesù Crocifisso ci debba portare ad una domanda seria: Gesù muore per noi, non per Dio: e noi, siamo capaci di vivere la vita che abbiamo e che ci rimane come dono per glia altri, come volontà di salvezza e di liberazione, sentendoci responsabili di ciò che accade nel mondo vicino e lontano e pregando per diventare un po' più buoni?
Credo che si debba ripartire dalla Galilea degli alfabeti, là dove si cominciano a recuperare i suoni fondanti le parole, l'uso sapiente di esse, il valore che esse assumono nello spessore del silenzio, il senso che porta a conoscere e riconoscere.
Davvero crediamo di riconoscere la voce di Gesù e di sapere che tipo di rapporto vuole stabilire con ciascuno di noi?
(Continua): Considerazione sulla croce.
Raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente, raccattando provviste" (Ivi, I, 62). I suoi discepoli erano degli ignoranti pescatori e pubblicani, dei poco di buono (I, 62), dei traditori e rinnegatori (II, 12 e 45), che l'hanno abbandonato al momento dell'arresto nel Getsemani (II, 9). Gesù è stato processato e messo in croce per volontà di determinati ebrei (II, 4 e 5) e per mano comunque dei romani (II, 63). Quindi egli è morto in croce (VI, 34), non perché fosse un ribelle violento anti-romano (anzi, in realtà lui era un pacifista [VII, 18]), bensì perché seduceva e fuorviava la gente con le sue arti magiche ed era accusato di blasfemia (II, 4 e 5). L'assurdo che Celso contestava a Gesù era che potesse essere Dio e un Dio che sceglie i peccatori. "Il Dio dei cristiani- si chiedeva Celso- è stato inviato ai peccatori; perché non agli innocenti? Che male c'è a non avere colpe? Perché questa preferenza per i peccatori? I cristiani dicono queste cose per esortare i peccatori, poiché non sono capaci di attirare chi è veramente onesto e giusto. Per questo spalancano le loro porte agli uomini più empi e abominevoli. Il loro Dio, schiavo della pietà per chi si lamenta, consola i malvagi e respinge coloro che non fanno niente di male. Questo è il colmo dell'ingiustizia" (III.62, 64, 65, 71). Infine - concludeva - non può essere Dio poiché si è comportato in modo indecoroso sulla croce: Gesù ha mostrato le debolezze della natura umana, ha lanciato il lamento della sua agonia, è morto con la morte di croce: "Tutto questo non può essere di un Dio poiché sono cose indecorose".
Ma Paolo era ben consapevole dello scandalo e della pazzia che predicava e tuttavia insistette: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani" (1 Cor1,23).
Per tutto questo non era possibile tradurre il cristianesimo con il simbolo della croce. E, d'altra parte, non è possibile, razionalmente, accettare un Dio così, dimentico della giustizia e solo attento alla misericordia propria e di coloro che lo accolgono. Non è pensabile.
Finché Costantino celebrò a Gerusalemme, tra immensa folla di pellegrini, la festa della dedicazione della Basilica fatta costruire sul luogo del Santo Sepolcro il 14 settembre 335 d.C.. Sulla roccia del Calvario Costantino aveva fatto erigere una enorme croce gemmata per ricordare il sacrificio di Gesù.
Da quel giorno la croce divenne il simbolo cristiano per eccellenza. Fu il segno della speranza, della fede sincera e totale, dell'attesa di un mondo nuovo, splendido, frutto della bellezza di Dio. Ma la croce fu trattata anche in molti altri modi. Fu utilizzato come gioiello, amuleto, gesto scaramantico, bandiera per le battaglie, simbolo di violenza mentre è ripudio della violenza, immagine della spada mentre è il segno dell'amore totale.
Ora però abbiamo anche capito che una società non diventa o non resta cristiana solo se esibisce i crocifissi. Essa diventa cristiana se accetta di rifiutare gli idoli, sempre risorgenti nel mondo del potere, della violenza e del danaro. I cristiani, se veramente vogliono costruire un mondo di pace e di accoglienza, hanno un segno consegnato loro da Gesù stesso. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv13,35).