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TESTO Commento su Luca 14,25-33

mons. Ilvo Corniglia

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/09/2004)

Vangelo: Lc 14,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Il brano riportato nella prima lettura (Sap. 9,13-18) conclude una preghiera in cui si chiede a Dio il dono della sapienza. Questa non consiste in un quoziente alto di intelligenza o nell'astuzia e furbizia pratica. Ma piuttosto nella capacità – ricevuta in dono da Dio – di valutare la realtà col suo metro e di comprendere in profondità qual è il suo disegno sulla storia e sulla propria vita, qual è il senso della propria esistenza, il segreto per essere felici: capire e agire di conseguenza. "Quale uomo può conoscere il volere di Dio?...Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?". Dovrebbe diventare un esercizio spontaneo quello di implorare spesso tale dono per noi e per gli altri: "Donaci, o Dio, la sapienza del cuore" (Sal. Resp.). Cfr. pure la stupenda Colletta della VII Domenica del T.O.: "Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere".

In definitiva, la vera "sapienza" è scoprire Cristo come il tesoro più prezioso e sceglierlo come l'Unico e l'Assoluto, per cui niente e nessuno può essere messo a confronto con Lui.

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, dove lo attende la croce. Tale viaggio non ha, quindi, un senso puramente geografico. Ma simboleggia il cammino di obbedienza e fedeltà al Padre che Gesù percorre e insieme il cammino dei discepoli chiamati a condividere la sua scelta di vita.

"Molta gente andava con Lui". Perché lo faceva? Che cosa si aspettava? Avevano tutti le idee chiare su Gesù? Da quali motivi erano spinti? Questi interrogativi riguardano anche noi che, in quanto "cristiani", lo stiamo "seguendo". Come si comporta Gesù? A prima vista si ha quasi l'impressione che tenda più a scoraggiare che a invogliare la gente a seguirlo. In realtà, da sapiente Maestro, non vuole che le persone si leghino a Lui sull'onda di un entusiasmo superficiale, ma facili poi a stancarsi e quindi a defilarsi e a "piantarlo". Per questo, con estrema chiarezza rivela le condizioni irrinunciabili per mettersi alla sua sequela. Fa impressione l'insistenza martellante "non può essere mio discepolo".

"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo". Sono esigenze tremende e anche, a prima vista, incomprensibili: quel Gesù, che ha dichiarato indissolubile il matrimonio e ha comandato di amare tutti e particolarmente i genitori, ora chiede di "odiare"...Come possiamo intendere? Nelle lingue semitiche (dove mancano le nostre sfumature e la forma comparativa) il senso del verbo "odiare" è "amare di meno, posporre". Cfr. Mt 10,37 "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o l a figlia più di me non è degno di me". Rimane comunque un'espressione durissima. Il significato è che chi vuol seguire Gesù deve amarlo più di tutte le altre persone, anche di quelle più care. Deve amarlo anche più della propria stessa vita. Non vi può essere che un solo centro nel nostro cuore, Gesù. Anzi, con una richiesta inesorabile Egli non lascia spazio a nessuno nel cuore del discepolo fuorché a Lui solo. In che senso? Per es. in caso di conflitto tra la fedeltà a Gesù e l'affetto, sia pur legittimo, per altre persone deve prevalere Lui, deve essere preferita la sua volontà. Ma ciò potrebbe verificarsi anche di rado e in modo eccezionale. Gesù invece intende una situazione abituale e costante nella vita del cristiano. Esige cioè una scelta permanente e radicale per Lui. Una scelta che non mette da parte gli altri, ma li pone in relazione stretta con Lui. Vale a dire, anche tutto quello che faccio agli altri deve essere spiegato da Lui, motivato dal rapporto con Lui, senza perdere di vista Lui. Lui è sempre il "primo" nella gerarchia dei valori e nella donazione del mio cuore. In altre parole, per essere cristiani non basta che nella nostra esistenza ci sia anche Gesù. Non basta nemmeno che sia il "primo": Lui vuole essere tutto per il discepolo. "Noi abbiamo tutto in Cristo e Cristo è tutto per noi" (s. Ambrogio). Così, l'amore per Gesù non esclude l'amore per il prossimo, perché Gesù stesso lo richiede. Nella relazione prioritaria con Lui, però, il mio amore per il prossimo riceve una carica, una motivazione, un'intensità superlativa. Gesù mi partecipa la sua stessa capacità d'amare. Egli sa che nella misura in cui gli uomini sono legati a Lui costruiscono la fraternità universale. Concretamente nel mio cammino cercherò di verificare per es. se io credente do a Cristo nella mia vita lo stesso spazio che do a mia moglie o a mio marito, ai figli e a me stesso. Da questo "minimo" potrò partire per arrivare ad amare Cristo come la persona assolutamente più cara. Il risultato sarà un amore nuovo, impensabile prima, che sentirò crescere verso le persone a cui sono legato affettivamente e verso chiunque.

"Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo". Gesù chiede ai discepoli di seguirlo fino in fondo, disposti a perdere la vita e l'onore, pronti a qualunque sofferenza per amor suo. Tutto questo viene evocato dall'immagine del "portare la croce". In altri termini, anche il proprio io e la propria vita devono cedere di fronte al legame con Gesù.

"Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo". È la rinuncia alla logica del possesso, dell'avere, per entrare nella logica del dono, della gratuità (cfr. il Vangelo della scorsa domenica). Gesù domanda la libertà di fronte ai beni, la disponibilità a condividerli con chi soffre, la gioia di servirlo in chiunque è bisognoso e umiliato.

Le due parabole (l'uomo che calcola la spesa prima di costruire una torre, il re che conta i suoi soldati prima della battaglia) mostrano la necessità di riflettere prima di un'impresa importante. Così, Gesù esorta ad aprire bene gli occhi e a misurare attentamente le proprie forze prima di mettersi con Lui. Non nasconde, ovviamente, la sua ferma convinzione che il calcolo più saggio, anzi l'unico calcolo da fare, è decidere di seguirlo con la radicalità che Lui si attende.

Con linguaggio...tagliente Gesù ci traccia l'identikit del cristiano, per il quale il legame con Lui è il valore più grande che ci sia. Un legame di appartenenza totale a Cristo, operata dal battesimo, che a livello esistenziale non può essere vissuta a metà o in parte, ma interamente, con radicalità. "Dio è un dolcissimo, ma esigentissimo amico...Gli dai un lembo della tua esistenza e a poco a poco ti accorgi che te la sta chiedendo tutta" (GPII). Perché lo fa? Perché ti ama come nessun altro mai e ti vuole felice. Non ti chiede di amare di meno le persone a te care, ma di più. Se nella tua vita Lui è "l'Unico amato, sempre al primo posto" (Maria Orsola di Vallo Torinese), amerai i tuoi con intensità impensabile, li amerai col suo cuore.

Un esempio concreto e palpitante ce lo offre la seconda lettura, tratta dal biglietto che Paolo scrive di suo pugno a Filemone. Uno schiavo di quest'ultimo era fuggito, dopo averlo derubato. Ma nell'incontro con Paolo, che si trovava in prigione, si era convertito ed era divenuto cristiano. Ora l'Apostolo lo rimanda al suo padrone, pregandolo di accoglierlo "non più come schiavo,...ma sia come uomo sia come fratello nel Signore". In questa brevissima lettera, estremamente personale e familiare – autentico "gioiello" nell'epistolario paolino – l'Apostolo rivela una tale carica di umanità e di carità cristiana da giustificare l'affermazione di san Giovanni Crisostomo: "Il cuore di Paolo era il cuore di Cristo".

Di fronte alle richieste implacabili di Gesù noi corriamo due rischi: restare scoraggiati o ritenerci non obbligati perché non sarebbero rivolte a noi. In realtà con tali esigenze Gesù non fa' che delineare la fisionomia dell'amore e l'amore lo chiede a tutti. Senza fare violenza ad alcuno: "Dio non forza nessuno. Prende quello che gli si dà. Ma non si dona totalmente se non a coloro che totalmente si donano a Lui". (santa Teresa d'Avila).

Lungo la settimana riascolterò le esigenze crude che Gesù mi manifesta in questa pagina di Vangelo.

A ogni passo mi trovo davanti al bivio tra ciò che piace e ciò che vale. Rinnoverò la mia scelta di Lui. Consapevole che la vera sapienza consiste nel legarmi interamente a Gesù.

Ripeteremo spesso, perciò, l'invocazione del salmo responsoriale: "Donaci, o Dio, la sapienza del cuore". Sapienza che consiste nel dare il proprio cuore a Gesù e a Lui in ogni persona (credere = cor dare = dare il cuore).

 

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