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TESTO Commento su Matteo 11,25-30

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di Padre Gianmarco Paris

Chi accoglie il Vangelo?

In questa domenica riprendiamo le lettura continuata del vangelo di Matteo, che abbiamo iniziato dalla pagina delle beatitudini dopo il tempo di Natale e abbiamo lasciato con l'inizio della Quaresima. Non è inutile tener presente anche questo aspetto, apparentemente secondario, per chi vuole fare una lettura attenta della Parola di Dio di domenica in domenica. Sappiamo infatti che le letture sono prese dai diversi libri della Bibbia: ognuno di essi è stato scritto da persone che, se da una parte sono state ispirate da Dio per i contenuti da comunicare, dall'altra hanno usato la loro esperienza e capacità di scrittori per esporre in modo ordinato e graduale il messaggio della salvezza. In questo modo per comprendere il messaggio dobbiamo anche aver cura di comprendere il procedere degli evangelisti e degli altri scrittori sacri.

Andando ora al racconto di Matteo, lo abbiamo lasciato alla fine del capitolo 6, mentre Gesù stava dando i suoi insegnamenti in quello che chiamiamo il "discorso della montagna" (capitoli 5-7). Nei capitoli successivi (8 e 9) Matteo ha raccolto dieci miracoli di Gesù, quasi per commentare con questi gesti di guarigione la volontà e la capacità di Gesù di guarire le malattie del cuore, che condizionano il rapporto con Dio, con gli altri e con le cose. Dopo aver esposto il "Vangelo" in parole e in gesti, nel capitolo 10 invia i discepoli (che aveva chiamato al suo seguito) perché facciano arrivare questo annuncio a più persone. La pagina che meditiamo oggi si trova nel capitolo 11, in cui vediamo Gesù e la gente, mentre i discepoli sono attorno a predicare. Dopo la risposta al dubbio di Giovanni battista in carcere ("sei Tu il Messia?". "Sì, lo dimostrano le mie azioni di guarire gli ammalati e annunciare il vangelo ai poveri") e dopo le parole severe contro la generazione e le città che non hanno accolto il suo annuncio, ascoltiamo Gesù dirigersi a Dio in uno dei pochi passaggi del Vangelo che ci permette di entrare nel dialogo intimo tra il Figlio e il Padre. Egli lo chiama appunto "Padre" (deve aver usato la parola con cui era solito pregare, "papà", che esprime la sua vicinanza e intimità con Dio), e lo ringrazia perché si accorge che il suo messaggio è accolto dai "piccoli" e rimane nascosto agli occhi dei "sapienti e intelligenti". Gesù in questa preghiera fa come un bilancio della prima fase della sua missione. Di fronte alle sue parole, al suo annuncio le persone si dividono due gruppi, chi lo ascolta e chi no. Gesù non usa qui categorie sociali o economiche, ma categorie spirituali: i piccoli che lo accolgono non sono tanto quelli che non hanno soldi, potere e istruzione; i sapienti che lo respingono non solo tanto i ricchi e quelli che hanno una posizione sociale elevata. È capace di accogliere il messaggio di Gesù chi è umile di cuore e semplice, chi è aperto al dono e allo stupore, che sa che la vita non è una sua proprietà ma un dono. Al contrario, non è in grado di accoglierlo chi è pieno di sé, chi appoggia la vita su ciò che ha, che è, che sa. Noi al posto di Gesù avremmo fatto altre statistiche... Lui è capace di guardare l'umanità con gli occhi di Dio, di guardare al cuore, di vedere chi davvero ha fiducia nel Padre e chi solo finge, magari anche mostrandosi una persone pienamente religiosa.

Dopo questa preghiera di ringraziamento, si capisce l'appello che Gesù fa a tutti coloro che lo ascoltano (perché segue la stessa logica della preghiera): chiama a sé coloro che si sentono stanchi e oppressi. Li invita a prendere su di essi il giogo suo, ad imparare dalla sua umiltà e mitezza, a fare proprio il suo modo di vedere e vivere la vita. Chi risponde a questo invito potrà trovare riposo, perché il suo giogo è dolce, il suo carico leggero. Il giogo pesante da cui vuole liberare il popolo può essere quello di una legge religiosa che ha perso il suo significato, non è più cammino per rispondere all'amore ma è solo obbligo che appesantisce. Il giogo che Gesù caricherà è quello della croce, che gli costerà la vita, e che chiederà di caricare anche a coloro che lo vogliono seguire. Gesù non propone strade facili. Come può dire di offrire un giogo dolce e leggero? La differenza sta nel cuore, nella fiducia con cui assume la volontà del Padre. In ciò consiste il suo essere umile e mite, cioè nell'accettare per amore quanto il Padre gli chiede. Nella nostra vita una responsabilità, un lavoro duro può essere dolce quando lo assumiamo per amore delle persone che ci sono care. È questo che Gesù ci vuole insegnare riguardo a Dio: la sua legge non serve a niente se non è vista come risposta di amore all'amore che ci ha creati. Accogliere il Vangelo è possibile allora solo attraverso la conversione del cuore, rendendo il nostro cuore umile, capace di riconoscere che tutto ci viene da Dio. Gesù in questa parole ci ricorda le beatitudini, la promessa che Dio può essere accolto e capito solo da chi è povero in spirito; e si offre a noi come modello di questa povertà, per mostrarci che è possibile vivere così, che non è una cosa di angeli, ma di uomini; per metterci sul cammino per accogliere il Vangelo.

Anche la seconda lettura propone l'ascolto di un libro biblico che avevamo solo iniziato prima della Quaresima e che riprendiamo ora in una fase avanzata: la lettera di Paolo ai Romani, quella più sistematica e riassuntiva della sua esperienza e del suo annuncio del Vangelo. Paolo sta spiegando ai Romani che la morte e risurrezione di Cristo ha liberato gli uomini dal potere della carne (cioè dell'umanità soggetta al peccato, cioè la paura di affidarsi totalmente a Dio) e li ha messi sotto il potere dello Spirito. A noi spetta accogliere questa liberazione e fare in modo che produca frutti nella nostra vita. In un certo senso Paolo riprende quanto diceva Gesù: l'uomo non è più sottomesso al giogo dell'egoismo, ma ha ricevuto da Dio il giogo di Cristo, che è la possibilità di vivere come Lui è vissuto, con l'aiuto del suo Spirito.

 

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