TESTO Commento su Es 3,1-15; Rm 8,14-17; Gv 16,12-15
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
SS. Trinità (Anno A) (15/06/2014)
Vangelo: Es 3,1-15|Rm 8,14-17|Gv 16,12-15
«12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Esodo. 3, 1-15
Mosè è fuggito dall'Egitto, avendo messo a repentaglio la sua vita. Ha infatti difeso uno schiavo ebreo da un aguzzino egiziano che, nella colluttazione con Mosè, è rimasto ucciso. Mosè non sopporta che i sottomessi siano sfruttati e maltrattati. Ha un cuore misericordioso. Ma questo impaurisce sia il Faraone che gli stessi ebrei che, per timore di conseguenze, lo rifiutano (Es 2,11-16). Così è fuggito, trovando rifugio nel deserto, in una vita tranquilla di pastore. Si è accasato ed ha dimenticato tutto e tutti, in una vita sempre uguale.
Ma è il Signore che non dimentica il suo popolo in sofferenza e sente il suo grido. Non è un popolo che grida al Signore come preghiera e come speranza di intercessione. E' un popolo che grida per paura, per disperazione senza nessun riferimento e attesa. E Dio ascolta questo grido.
Il Signore ricorda l'alleanza compiuta con i patriarchi, misura la sofferenza del suo popolo come indegna: "Ho osservato, ho udito, conosco, sono sceso". Il Signore è presente, sente la disperazione e il suo cuore è scosso. Bisogna preparare un futuro, attraverso la liberazione del popolo dalla schiavitù, facendolo salire in un paese totalmente nuovo, ricco e fertile. Nel libro dell'Esodo si utilizza il verbo "uscire" (usato 94 volte) per esprimere il significato di una liberazione-salvezza. Esso fa parte del nucleo fondamentale della fede ebraica: "Il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto". La condizione di speranza non è togliere l'ostacolo o far morire il violento, come noi vorremmo. Ma, come spesse volte verifichiamo nella Bibbia e questo ci lascia sconcertati, bisogna uscire dalla situazione. E questo, gli ebrei lo sperimenteranno. Non sarà una uscita facile ma richiederà fatica, sofferenza, fiducia e coraggio.
Tutto sarà così faticoso e la libertà costerà così tanto che arriveranno a desiderare la schiavitù passata, nel tempo della sottomissione in Egitto (Es 16,3).
Il dialogo iniziale con Mosè nasce da una sua istintiva curiosità: il roveto ardente, che non si consuma, svela, da parte di Mosè, un interesse ai significati del mondo, ai perché della realtà in cui viviamo e degli avvenimenti che dobbiamo affrontare. E' così che si inizia a cercare il Signore. E' un suggerimento da offrire agli adulti quando parlano con i giovani. Vanno incoraggiati a cercare il perché dei fatti e a non accontentarsi delle risposte ovvie o più facili.
Un bellissimo commento rabbinico interpreta: "Il Santo, Benedetto egli sia, disse a Mosé: "Non senti che io sono nel dolore proprio come Israele è nel dolore? Guarda da che luogo ti parlo, dalle spine! Se così si potesse dire, io condivido il dolore d'Israele!" (Esodo Rabbà 2,5).
Dio disse a Mosè: "Io sono con te"(v 12). Mosé risponde: "Eccomi", ma all'invito che il Signore fa di accostarsi a lui, Mosé deve andare scalzo, senza sandali (il sandalo ha, come suola, pelle di animale morto; perciò non può calpestare il luogo sacro: lo pensa ancora l'Islam) e a capo coperto perché prova il timore di avvicinarsi a Dio. Nonostante la sua povertà e indegnità, Mosé si sente dire che deve innalzarsi all'altezza del faraone per annunciargli che un altro Dio combatte contro di lui, che pure ritiene di essere l'incarnazione di un Dio. Mosè pensa dentro di sé: "È impossibile, non sono all'altezza." e porta cinque motivi per cui egli non può presentarsi come ambasciatore di un Dio sconosciuto. Il Signore smantella le scuse, mantiene l'impegno con Mosé e gli dà pure un segno. Ma è uno strano segno. si avvererà quando tutto sarà finito.
Siamo ad una ubbidienza totale e senza garanzie. Mosè supplica:"Almeno dimmi il tuo nome".
Conoscere il nome di qualcuno, in un certo senso, è tentare di impossessarsi della sua identità e quindi avere potere su di lui. E Dio non si svela per ciò che è (resta sempre inaccessibile), ma per come si comporterà. Il significato, infatti, corrisponde a: Yahwè: "Io sono", anzi "Io sarò colui che sarò". Sarò una presenza fedele nei secoli e sarò accanto a questo popolo, sottomettendo la potenza degli dei che lo opprimono. Dio dice il suo modo di essere, di "essere per". E il nome divino impronunciabile per l'ebraismo, il sacro tetragramma YHWH, suona come un Dio che "fa essere, che fa liberi".
Dio si serve degli angeli e, in questo caso, si può dire che l'angelo è Mosè (Es 23,20. 23): "Ecco io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato".
Il Signore cerca collaborazione e, se si accetta di lavorare insieme per i suoi progetti di liberazione, si diventa suoi angeli. Con Mosé ciascuno di noi è chiamato a continuare le schiere angeliche sulla terra.
Ma tutto il testo esprime anche una strana povertà di Dio. Per liberare il popolo, Dio ha bisogno di Mosè e lo incalza, lo assedia, accetta tutte le sue scuse e vi pone soluzioni. Tanto è desideroso di liberare, tanto è premuroso di mandare un liberatore, pur accettandone i limiti. E' una grande riflessione per noi.
Romani. 8, 14-17
San Paolo ci allarga gli orizzonti del mondo di Dio poiché ci garantisce di far parte della famiglia di Dio di cui noi tutti, battezzati, facciamo parte. Non esisteva, nel mondo ebraico, l'adozione. Era fondamentalmente un istituto del mondo greco-romano. Questa rilettura dei rapporti familiari che faceva salire il figlio adottivo alla stessa dignità dei figli naturali, con la stessa eredità e con lo stesso rapporto parentale, aiuta molto a intravvedere il significato di ogni cristiano battezzato nei rapporti con Gesù e con il Padre. Gesù è l'Unigenito, nato nella pienezza del Padre il quale ci coinvolge tutti nella stessa fraternità. Gesù ne è consapevole e sa che questo è il progetto di Dio. Ma la trasformazione interiore è sviluppata nello Spirito. Lo stesso Spirito è all'interno della Trinità ed è lo stesso Spirito che anima Gesù nel suo cammino nel mondo. E' lo stesso Spirito che vivifica le nostre scelte e il nostro cammino, è lo Spirito che ci rincuora, è lo Spirito che ci permette, con gioia e in pienezza, di poter chiamare Dio: "nostro Padre, nostro Papà".
Se il primo brano, tratto dall'Esodo, ci parla dell'attenzione di Dio che opera una liberazione per averci scelti, questo testo parla del cammino della nostra vita che si è sviluppata, che deve aver bisogno di una coscienza nuova, a somiglianza di quella di Gesù che lo Spirito ha offerto a lui ed offre a noi. Ma a questo punto, nel dirci "coeredi di Cristo", ci parla anche di prendere parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria". Con questo non siamo invitati a salire sulla croce e a ricevere una flagellazione quali Gesù ha sopportato. Le sofferenze fondamentali di Gesù erano quelle di voler bene, nonostante i rifiuti e le ritrosie che incontrava. Partecipare alle sofferenze di Gesù significa rigenerare in questo mondo la consapevolezza di un amore profondo che va ricercato, vissuto in libertà, proposto come prospettiva di pace. Perciò "figli di Dio e non schiavi". Ed anche gli schiavi hanno la stessa dignità e pienezza dei figli di Dio.
Giovanni 16, 12-15
Nei "discorsi di addio", raccolti nei capitoli 13-17, Giovanni ci comunica che, nelle promesse e nelle garanzie di Gesù, ha una parte fondamentale il dono dello Spirito. In quell'ultima sera del Giovedì santo, Gesù si preoccupa di approfondire l'offerta che offre ai suoi e ne indica il ruolo, come garante della verità.
Ci troviamo di fronte ad un futuro drammatico di cui, probabilmente, gli apostoli non si rendono conto, nonostante le prospettive e i preannunci di Gesù. Ormai si sono abituati alle polemiche con le autorità religiose, davanti alle quali Gesù oppone fermezza e libertà. Pensano, perciò, che il futuro è garantito come una faticosa ma fruttifica raccolta di coinvolgimenti e di successi.
Eppure l'ultima cena, raccontata da Giovanni, apre orizzonti nuovi dove addirittura Gesù scompare dietro la presenza dello Spirito. Infatti sarà dato un altro Paràclito (Gv 14,16): "io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre". Eppure subito dopo aleggia una parola impronunciabile: la prospettiva di diventare orfani. "Non vi lascerò orfani. Verrò da voi" (14,18)
Siamo al primo dei cinque testi che riguardano lo Spirito (Paràclito, Spirito di verità, Spirito Santo). E la parola è detta. Essere orfani, per il momento, non crea confusione perché non capiscono. Ma poi resterà come un marchio di angoscia. Lo Spirito aiuterà a vivere il cammino con fiducia. Dovranno raggiungere Gesù nella fede, nello Spirito che incoraggia ma non l'avranno più sotto mano.
Capiranno via via. Inviato dal Padre (e da Cristo), dopo la partenza di Gesù (16,7;7,39;At 2,33), lo Spirito, mandato dal Padre e da Gesù, dimorerà per sempre presso i discepoli (14,15-17), per ricordare e completare l'insegnamento di Gesù stesso (14,25-26).
Condurrà i discepoli in cammini di verità (8,32), e spiegherà loro il senso degli avvenimenti futuri (16,12-15). Glorificherà Cristo (16,14): infatti testimonierà (15,26-27;1Gv 5,6-7) che la sua missione è venuta veramente da Dio e che il mondo, ingannato dal suo principe, il «padre della menzogna» (8,44), ha avuto torto nel non credere in lui (16,7-11).
Ce ne sarà bisogno di questa presenza poiché il piano di Dio, svolto da Gesù, risulterà assolutamente inimmaginabile e assurdo. Va contro ogni logica ed ogni attesa umana, proprio perché viene dallo splendore e dalla munificenza di Dio. Il dramma che si scatenerà su Gesù, il giusto, diventerà il vero e solo appello e la vera garanzia di salvezza. Proprio da quel male che ha cancellato Gesù nascerà la pienezza, ma questo può essere colto, ed insegnato e garantito solo dallo Spirito. Non ci sono giustificazioni umane.
Eppure lo Spirito Santo non aggiungerà rivelazioni poiché Gesù ha già manifestato tutto il suo messaggio. Gesù sa che i suoi discepoli hanno bisogno di vederselo spiegato, maturato, esemplificato: i discepoli, infatti, non sanno e non possono capire. "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso" (v 12). Nell'apparente abbandono che il gruppo dei discepoli avverte, questo nuovo ospite terrà il posto di Gesù mentre il risorto ritorna al Padre. La missione di Gesù è finita, ma lo Spirito Santo sarà testimone della sua presenza (Gv.14,26; 15,26). "Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità" (v13).
Tutto è stato rivelato e lo Spirito Santo non aggiungerà nulla "perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future" (v 16,13): Eppure il compito dello Spirito continuerà l'azione di Cristo poiché la rende presente, in modo nuovo, anche se, a volte, è difficile intravederla. Ma lo Spirito ci aprirà gli occhi. E lo farà, accompagnando via via nella storia ciò che accade: i fatti, gli avvenimenti, le scelte. Il bene e il male, l'eroismo e la vigliaccheria, di cui è impastata la fragilità dell'uomo, saranno richiami per capire meglio, per scoprire le parole di Gesù, per maturare, insieme con il mondo, il cammino della sua comunità. Ma saranno aiutati dallo Spirito poiché sorgeranno sempre interrogativi e lamenti, lacerazioni e attese. La Chiesa dovrà sentirsi, dentro questo crogiuolo, come testimone, portatrice umile e coraggiosa di speranza che lo Spirito sosterrà, aiutando a interpretare i tempi,.
Perciò la Trinità di presenta:
- come il Padre che ha misericordia di fronte a tutti gli schiavi del mondo;
- come presenza liberante di Gesù, fratello di tutti, che vuole ricordare nel nostro mondo la dignità di ogni uomo e donna come figli di Dio;
- come Spirito, fermento nella storia per maturare il nostro cammino di speranza.