TESTO Io sono la porta
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IV Domenica di Pasqua (Anno A) (11/05/2014)
Vangelo: Gv 10,1-10
1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
"...ma vi sale da un'altra parte è un ladro". Cos'è questo recinto delle pecore se non la nostra vita? Come entriamo nella nostra storia? Utilizziamo una strada semplice che è quella di aprire la porta o ci complichiamo la vita in cerca di altre aperture possibili? Quando entriamo nella nostra casa perché mai dovremmo farlo dalla finestra con tutte le difficoltà che quest'operazione impone? Ecco...Appunto! In questo vangelo Gesù si presenta come la porta del recinto delle pecore: l'ingresso più naturale, più semplice, l'unico ingresso reale. Passare attraverso Lui significa vivere la propria vita alla luce della Sua Parola, della Parola di Dio che è nostro padre. Perché allora cerchiamo sempre di vivere invece, secondo le nostre parole, secondo le nostre logiche e strategie? Proprio la settimana scorsa ci siamo imbattuti nella delusione di chi interpreta i fatti della propria storia secondo la propria logica piuttosto di quella di Dio, così semplice e perfetta. Pensiamoci bene: che senso ha complicarsi veramente la vita quando c'è un Dio che proprio dall'inizio della tua vita cerca di darti la direzione per condurti alla felicità vera? E la cosa semplice è che dobbiamo solo ascoltarlo. Vogliamo entrare nei fatti a nostro modo, a volte non vogliamo nemmeno entrarci ma starne fuori: entrare dalla ‘porta Gesù' significa accettare quanto si ha davanti, vivere la vita secondo amore e libertà. Quando siamo attanagliati dalle nostre ragioni riusciamo a stare in mezzo a tante persone ma in solitudine; creiamo muri perché non siamo liberi nelle relazioni. Non è facile amare soprattutto quando l'altro non corrisponde al film che ci siamo fatti di lui. Bene! Che cos'è allora che può rompere la continuità di un muro? Una porta! "Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori". Quando noi, il nostro cuore, il guardiano per l'appunto, apre a Gesù ecco che diventa Lui il mediatore tra noi e gli altri; è Lui per mezzo del quale si rompe la solitudine e nasce la comunione fatta di libertà e amore di cui è incarnazione.La IV domenica di Pasqua è anche conosciuta come quella del "Buon Pastore", con riferimento a quanto Gesù dice di sé appunto nel cap. 10 di Giovanni (cf. Gv. 10,11: "Io sono il buon pastore: il buon pastore dà la sua vita per le pecore"). La parola tradotta abitualmente con l'aggettivo "buon, buono" è kalòs, che tuttavia non trova corrispondenza piena nella nostra lingua. Kalòs infatti indica una perfezione, una pienezza, pertanto Gesù indica in se stesso il "pastore perfetto", il (solo) "pastore in senso pieno", proprio perché nessuno si è spinto così in là nell'amore verso il gregge da farsi "uno del gregge", da assumere la natura delle pecore per poter dare a loro la Sua vita, fino in fondo. Gesù era stato indicato dallo stesso Battista come 'l'agnello di Dio' (Gv 1,29), e l'Apocalisse lo presenterà poi come un 'agnello immolato' (cf. Ap. 5,6ss.). Per questo le pecore di Cristo, come dice qui Lui stesso, lo ascoltano e lo seguono. Gesù parla il 'linguaggio' a noi più familiare, quello della fragilità della carne, che traduce in gesti di vita concreta l'amore di Dio, fino alla Pasqua. Contrariamente a quanto accade di solito, per cui davanti stanno i cani, a seguire le pecore e in ultimo il pastore, nel gregge di Dio le cose funzionano al contrario: Gesù sta dinanzi, conosce tutte le sue pecore, ognuno di noi, e ci chiama per nome; e non utilizza bastoni o cani per farsi seguire ma soltanto la sua voce. E' un pastore che non ci costringe a seguirlo ma che ci lascia liberi di farlo. Ma badate bene: è lo stesso pastore che però lascia le 99 pecore per andare a cercare quell'unica perduta. Non ci lascia mai soli!