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TESTO Commento alla liturgia

don Michele Cerutti

IV domenica T. Pasqua (Anno A) (11/05/2014)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

"La messe è molta, ma gli operai sono pochi" è il motto che risuona in questa domenica soffermandoci sulle prime due letture che la liturgia della Parola ci presenta.

La Chiesa primitiva sperimenta per prima questa affermazione di Gesù.

Tante le conversioni frutto dell'evangelizzazione, ma la necessità di far sì che queste comunità crescano non solo di numero ma anche perseverino, necessita un affinamento dell'organizzazione.

Da sempre è così. Anche nel popolo ebraico nel periodo in cui Mosè, sperimentata la necessità di non poter intervenire su tutte le piccole questioni ma solo in quelle di grande valore, si avvale di collaboratori.

Nelle prime comunità cristiane il problema si ripropone. La Chiesa nasce mostrando la sua vocazione di annunciatrice non solo comunicando il Vangelo, ma cercando di vivere la novità evangelica, guardando i poveri.

L'istituzione della diaconia si inserisce in questo contesto. I primi sette diaconi hanno la funzione principale di servire le mense dei poveri poi si amplia il ruolo affidando la predicazione e permettendo agli apostoli la preghiera e il ministero della parola. Vengono imposte loro le mani e da questo comprendiamo che la diaconia è il primo gradino dell'ordine.

Che begli esempi di fede: pensiamo a Stefano, che la Chiesa propone come martire, è un diacono. Lui prega per i suoi uccisori. Filippo ci mostra una prontezza nell'avvicinarsi all'eunuco della regina etiope che si accosta per la prima volta alla lettura della Bibbia di ritorno da Gerusalemme e, forse affascinato della fede che si viveva in quella città, vuole capire e Filippo gli si fa compagno di viaggio e lo conduce piano piano alla verità fino a battezzarlo.

Nella storia della Chiesa primitiva come non pensare a Lorenzo, martire romano, che mostra con orgoglio ai suoi persecutori i tesori della Chiesa, i poveri.

In questa domenica in cui la Chiesa ci invita a pregare per le vocazioni preghiamo che questa forma di servizio nella Chiesa abbia a crescere a servizio delle comunità.

I diaconi sono preposti al servizio liturgico assistendo i sacerdoti, predicando e somministrando i sacramenti del battesimo e del matrimonio e potendo celebrare liturgie funebri. In comunità dove diminuiscono i sacerdoti il loro lavoro è prezioso per la liturgia e l'aiuto ai poveri.

Non potrò dimenticare quando, ordinato diacono per la preparazione al sacerdozio, con il Vescovo ordinante e i miei compagni di ordinazione siamo stati invitati appena dopo la celebrazione a servire la mensa dei poveri di una parrocchia romana. E' stato un forte richiamo a vivere quel ministero a servizio.

I diaconi ci indicano la complementarietà delle mansioni nella Chiesa che debbono essere tutte al servizio, mai per finalità di prestigio.

Cristo, da cui deriva la salvezza, va fatto conoscere ci dice Paolo. Tutti siamo coinvolti. Tuttavia il primo luogo in cui si annuncia Gesù è la famiglia. Guardando al contesto sociale in cui viviamo come cristiani non possiamo che dirci preoccupati non del calo delle vocazioni sacerdotali e religiose, ma della crisi della vocazione familiare. Quante coppie che non si sposano e preferiscono la via della convivenza e quanti matrimoni che crollano. I nostri bambini vivono in questo contesto di povertà umana e spirituale che provoca lacerazioni e disinteresse per la materia religiosa.

Un parroco qualche settimana fa a Roma affermava con preoccupazione che il sacramento dell'abbandono si è spostato dalla Cresima alla prima Comunione. Mentre prima chi lasciava la vita di Chiesa aspettava la Cresima oggi abbandona con la prima Comunione. Book fotografici e ristoranti di un certo valore e l'incontro con Gesù nel sacramento dell'Eucaristia, si chiude con qualche flash e qualche portata.

Siamo invitati a intensificare la preghiera per le vocazioni familiari nella consapevolezza che l'ambiente in cui cresce un bambino o una bambina è la famiglia ed è lì il primo canale per la diffusione del Vangelo iniziando a respirare un'aria salubre che proviene da Cristo. Lo scenario a prima vista è scoraggiante eppure dobbiamo avere la visione tipica del cristiano che sa che non c'è tunnel senza una luce.

Il brano evangelico ci aiuta a leggere in prospettiva ottimista ogni realtà.

Cristo si definisce il buon e bel pastore. D'altra parte la domenica che viviamo è quella del buon e bel pastore.

Non dobbiamo temere, gregge di Dio, un tal pastore che ci conosce uno a uno e se ci perdiamo ci cerca raccogliendoci dai burroni in cui possiamo incappare.

Leggiamo il contesto in cui Giovanni scrive il suo Vangelo. La contestualizzazione storica non serve a mo' di erudizione, ma è utile per comprendere in profondità il messaggio. Gesù si identifica con i pastori e il suo rapporto con noi con quello del gregge. Nella Palestina del tempo i pastori riunivano i greggi in un grande recinto e le pecore ascoltavano le voci dei loro pastori e li riconoscevano uno a uno. C'erano coloro che travisavano il messaggio del Vangelo presentando un Gesù o solo uomo o solo Dio. Erano falsi pastori che creavano confusione nel piccolo gregge che andava formandosi. Il rischio è quello di identificare Gesù come un uomo che è passato facendo del bene e niente di più e identificandolo come solo Dio il rischio è quello di vedere un Gesù che poco sa della nostra natura umana e quindi della nostra fragilità.

Identificandosi come buon Pastore e ancor prima come la Via che conduce al Padre. Gesù dà la sua giusta identità. Ci invita a guardarlo non come grande personaggio della storia. Nella storia uomini che hanno fatto bene sono stati tanti. Gesù è colui che come pastore ci conduce a un pascolo importante: quello dell'eterna felicità.

Quanti pastori nei nostri recinti e quanto siamo in grado di riconoscere la voce del buon pastore? Siamo allenati alla sua voce? La ascoltiamo? Oggi rischiamo di essere assorbiti da tante false voci che ci promettono felicità effimere. Solo il buon Pastore ci dà la felicità di cui abbiamo bisogno, non ci vende a nessuno e non intende speculare su di noi. Certo c'è bisogno di preti e religiosi. Uomini e donne che consacrano la loro vita per il Vangelo. Uomini e donne strettamente al servizio del buon pastore che si fanno megafono del buon pastore. Tutti ne sottolineiamo l'importanza, ma poi preghiamo per le vocazioni senza sentirci più di tanto coinvolti. Preghiamo perché il Signore chiami, ma sempre nella famiglia del vicino di casa, se chiama a casa nostra iniziamo a essere perplessi.

Il Signore non si stanca mai di chiamare, siamo forse noi stanchi di ascoltare e poco ricettivi alla voce. Intensifichiamo in questo tempo di Pasqua l'accostarci alla Sua Parola per riuscire a sempre più a sintonizzarci con Lui.

 

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