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TESTO Commento su Ap 4,8-24a; Col 2,8-15; Gv 20,19-31

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

II domenica T. Pasqua (27/04/2014)

Vangelo: Ap 4,8-24a|Col 2,8-15|Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Atti 4, 8-24
Siamo nei primi tempi della comunità cristiana a Gerusalemme. La vita si svolge normalmente e con una certa tranquillità. Tuttavia la comunità cristiana, sconvolta dalla morte e stupita e ricca di entusiasmo per la risurrezione di Gesù, mentre si organizza, ripensa ai messaggi ricevuti. Ovviamente Gesù è il centro della vita, ma la comunità cristiana è costituita da ebrei che mantengono le loro abitudini. Perciò, in un giorno feriale, Pietro e Giovanni salgono al tempio per pregare alle tre del pomeriggio (3,1). Mentre attraversano la porta, detta "bella", del tempio, uno storpio, povero, chiede, come al solito, l'elemosina e tutti lo conoscono perché è una presenza stabile. Pietro gli dice: "Non possiedo né oro né argento ma quello che ho te lo do. Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina" (3,6). Lo storpio risanato non si comporta certo in modo discreto ma nel tempio, suscitando stupore tra la gente che via via si è raccolta, canta, urla, danza. Pietro e Giovanni sentono il bisogno di chiarire ciò che è avvenuto: "Noi non abbiamo questi poteri. Abbiamo agito nel nome di Gesù il Nazareno che voi avete rinnegato di fronte a Ponzio Pilato e che il Dio dei padri ha esaltato.
Voi avete ucciso l'autore della vita, ma Dio lo ha risuscitato dai morti e noi ne siamo testimoni. Per la fede riposta in lui, Gesù ha dato vigore a questo corpo" (3,13-16). Tutto questo suscita rivolgimenti e ripensamenti in molti, e la Comunità cristiana si ingrandisce fino a 5000 persone (4,4) Nel contempo queste uscite clamorose producono preoccupazione nelle autorità del tempio che arrestano e mettono in prigione Pietro e Giovanni fino al giorno dopo. Quindi si riunisce in Gerusalemme il gran Sinedrio, supremo tribunale d'Israele. Vengono interrogati i due discepoli sulle motivazioni e la spiegazione di ciò che è avvenuto il giorno precedente. La testimonianza, data pubblicamente il giorno prima alla gente, viene ripetuta qui: "Noi abbiamo fatto questo nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, che voi avete crocifisso e Dio ha risuscitato dai morti". E secondo il metodo dei rabbini si richiamano alla Scrittura per dare significato di chi è Gesù: "Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d'angolo" (4,11). La libera citazione è tratta dal salmo 118,22 che già Gesù ha utilizzato in una discussione con gli scribi (Luca 20,12). I dotti ebrei, studiosi della legge che interrogano, non condannano mentre colgono, stupiti, la franchezza e il fatto che fossero analfabeti e senza cultura. La franchezza (in greco parresia) indica la libertà e il coraggio con cui gli apostoli annunciano il loro messaggio, nonostante le minacce. Viene continuamente richiamato il termine salvezza che poi è il significato del nome Gesù:. «Dio salva» (Mt 1,21).
Il tribunale ordina il silenzio "di insegnamento nel nome di Gesù" e sembra debba essere una ammonizione legale. I trasgressori non possono essere imprigionati se non recidivi, a meno che non siano rabbini, e quindi conoscitori della Legge. Più avanti, vista l'insistenza della testimonianza e la noncuranza della ingiunzione ricevuta, i discepoli saranno diversamente trattati (cf.5,28).
Tutto il testo vuole aiutare la comunità cristiana nello scoprire che la risurrezione di Gesù è anche garanzia della vocazione dei cristiani. Gesù mantiene le promesse, garantisce che sapranno liberare il mondo dal male, avranno lucidità nella testimonianza e la sua presenza sarà accanto a loro. E gli apostoli chiariscono che il silenzio è altrettanto contradditorio della menzogna. «Se sia giusto, dinanzi a Dio, obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (vv. 19-20). E viene ripreso dalla coscienza cristiana l'impegno di evangelizzare il mondo. La parola di Gesù, nella risurrezione, diventa responsabilità personale.
Papa Francesco avverte nella sua lettera Apostolica che si assiste ad un cambiamento repentino di "nuove culture" nella città, enormi geografie umane dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù"( EG 73). Come credenti, è necessario conoscere e sentirsi parte viva in queste culture per immettervi i senso di Gesù e insieme, ma, nell'evangelizzazione di nuove culture o di culture di altri popoli che non hanno accolto ancora la predicazione cristiana, non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica...ma «va sviluppata una comprensione e una presentazione della verità di Cristo, partendo dalle tradizioni e dalle culture della regione» (EG 117-118).
San Luca, in questo testo, ci incoraggia alla fraternità, al desiderio di bene, di verità, di giustizia. E la presenza del Signore non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata nella franchezza e nella semplicità. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso.
Questa "obiezione di coscienza" rivoluziona il cammino della storia, poiché obbliga a raggiungere, attraverso una testimonianza fedele, ciò che è più alto e più nobile, a costo di un proprio sacrificio, e induce ad un processo di maturazione, di civiltà e di valori.
La conclusione conduce alla gioia di aver scoperto che il Signore è capace, anche attraverso le deboli forze di seguaci impauriti ed ignoranti, di cambiare la malattia in liberazione e di portare speranze nuove ed orizzonti aperti per tutti.

Colossesi 2,8-15
Paolo, già all'inizio del cap. 2, comunica ai Colossesi che il compito che si è assunto è quello di sostenere una lunga lotta per le Comunità cristiane di Colossi, di Laodicea e per tutti quelli che sono stati raggiunti dalla fede perché siano aiutati nella verità e quindi vengano consolati (2,1).
Egli vuole "arricchire le sue comunità di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo". L'apostolo vuole chiarire ai credenti che la fede ci viene trasmessa dai fatti e dalle parole di Gesù mentre ci si ritrova in contesti in cui circolano insegnamenti e norme imposte da falsi profeti (è filosofia di cui parla). Non si deve, perciò, diventare "preda", cioè «ridursi in schiavitù». Siamo stati liberati dal potere delle tenebre e affrancati da Cristo (1,13s). Se lo si rinnega, si ritorna agli errori antichi: ricadremmo in schiavitù (cf.Gal 4,8s;5,1).
Noi siamo stati chiamati a seguire Gesù. E Paolo unisce la parola «pienezza» (1,19) all'avverbio «corporalmente»: ci si richiama a Cristo risorto che ricapitola tutto il mondo divino (il suo essere preesistente e glorificato: la pienezza), e tutto il mondo creato, che ha assunto direttamente, facendosi uomo e quindi coinvolgendo anche il creato. Con la sua incarnazione e la sua risurrezione tutta la realtà, e quindi anche il corpo, entra nella pienezza di Dio.
Il cristiano partecipa alla pienezza di Cristo, in quanto membro del suo corpo, del suo «pleroma» (cf.1,19). Associato così a colui che è capo delle potenze celesti, è ormai superiore ad esse. I vv seguenti sviluppano queste due idee: partecipazione del cristiano al trionfo di Cristo (vv 11-13); sottomissione delle potenze celesti a questo trionfo (vv 14-15). Il mondo antico è particolarmente sensibile alle gerarchie degli spiriti superiori, superiori agli uomini e immediatamente solo inferiori a Dio.
La presenza di Gesù che si pone alla destra di Dio sconcerta tutto l'equilibrio delle gerarchie celesti. Da qui discussioni e lacerazioni su questi temi, a noi molto lontani.
Il documento inchiodato. Si usava, nel linguaggio e tra gli strumenti del commercio, scrivere un documento in cui si riportavano i debiti. In questo caso si suppone la certificazione e la denuncia dei peccati dell'uomo, oppure, secondo altre interpretazioni, la trascrizione della legge mosaica con tutti i suoi precetti. Il debitore certificava e sottoscriveva, di proprio pugno, il debito contratto, impegnandosi ad onorarlo, altrimenti sottoscriveva la propria condanna. In tal caso il sistema della Legge, proibendo il peccato, sfociava in una sentenza di morte, pronunciata contro l'uomo trasgressore (cf.Rm 7,7). È questa sentenza che Dio ha soppresso, eseguendola sulla persona del suo Figlio: dopo averlo «fatto peccato» (2Cor 5,21), «sotto la Legge» (Gal 4,4) e «maledetto» con essa (Gal 3,13), lo ha consegnato alla morte sulla croce, inchiodandolo al legno e distruggendo nella sua persona il documento che porta il nostro debito e che ci condanna.
Questo testo, di estrema attualità, ci rimanda alle mentalità diffuse nel mondo cristiano che si sovrappongono alla fede e che però conducono ad un comportamento totalmente difforme alle proposte che Gesù ha offerto. La storia ci ricorda che la tentazione di sovrapporre diverse mentalità è facile sia all'interno del popolo cristiano e sia nelle gerarchie. Tutti dobbiamo sentirci peccatori, non garantiti dalle proprie mentalità, non perfetti. E quando Gesù si preoccupa della classe dirigente e dei giusti d'Israele si richiama, certo, ai limiti religiosi del suo tempo, ma l'insegnamento è per persone e gerarchie di tutti i tempi. Dovrebbero farci riflettere le guerre e le stragi nei popoli cristiani, la corsa al danaro, la preoccupazione degli interessi di parte, l'accettare la mafia e l'ingiustizia, il favoritismo.
Paolo ritrova un misto di reminiscenze pagane, la ricerca di garanzia da elementi naturali, da potenze cosmiche ed angeli che si ritiene di dover pregare e di dover ingraziarsi perché non ostacolino la via verso il cielo. Ma nel mondo di Paolo circolano anche facili richiami ebraici. Per questo Paolo parla della vera circoncisione che è il battesimo e solo questo inserisce l'uomo nel popolo di Dio, togliendo la radice del peccato, partecipe della morte e della risurrezione di Gesù.
Giovanni 20,19-31
E' la sera dello stesso giorno: i discepoli, e c'è da pensare le discepole (ormai teologhi e teologhe lo accreditano), sono rinchiusi nel luogo dove si trovavano con le porte sbarrate per paura dei Giudei. Sono impauriti, smarriti, non sanno più che pensare degli ultimi fatti accaduti: come credere a delle donne? o ad altri che affermano di aver fatto un tratto di strada addirittura con Gesù che non hanno subito riconosciuto? Che cosa si va dicendo? E la tomba vuota? E i Giudei che vanno raccontando falsità?
E loro sono lì che si guardano; e ciascuno ha un suo rimorso nei confronti di Gesù: in fondo tutti lo hanno piantato in asso! C'è chi lo ha tradito, chi lo ha rinnegato, chi si è nascosto: nessuno la ha difeso o gli è stato vicino per confortarlo. Addirittura in un momento cruciale si sono addormentati. Si salva forse qualche donna, ma, si sa, le donne sono emotive.
E guardandosi reciprocamente ciascuno scopre la sua viltà, il suo tradimento, la sua pochezza, la sua angusta e pusillanime amicizia.
Ed ecco: GESU' si fermò in piedi in mezzo a loro e, mostrandosi vivo nella concretezza di mani e fianco ferito, pronuncia parole di pace: via, via i turbamenti, le recriminazioni, il piangere su stessi. PACE. E subito il RESPIRO, cioè la sua vita: d'ora in poi respireranno lo Spirito, respireranno la sua vita.
Per questo è possibile il PERDONO. Che è perdono prima di tutto fra di loro: è un riaccogliersi senza diffidenze e senza sospetti, è un ritrovare le radici di un'amicizia nella propria comune fragilità, nell'accettare di non essere all'altezza degli ideali e di accogliere come dono e come gratitudine la stima riaccesa, la fiducia ricomposta e rinnovata.
Per questo il perdono è affidato alla comunità cristiana (il testo di Giovanni va molto oltre l'istituzione di un sacramento!), all'interno della quale va vissuta e praticata ogni riconciliazione come realtà trasfigurata dalla resurrezione, cioè dalla vita che vince la morte.
E Tommaso, che è l'uomo del coraggio, più che del dubbio, capisce e non ha più bisogno di verifiche concrete: ha capito che lasciarsi toccare da Gesù è lasciarsi respirare dentro il suo Spirito, cioè la sua VITA.

 

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