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TESTO Commento su Giovanni 18,1- 19,42

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Venerdì Santo (Passione del Signore) (18/04/2014)

Vangelo: Gv 18,1- 19,42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. 2Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. 3Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. 4Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», 9perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

12Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono 13e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. 14Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

15Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. 16Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. 17E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

19Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. 20Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 23Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

28Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. 39Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». 40Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

1Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. 3Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

4Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». 5Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

6Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». 7Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

8All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. 9Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

12Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». 13Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». 16Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Essi presero Gesù 17ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, 18dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. 19Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 20Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». 22Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

23I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice:

Si sono divisi tra loro le mie vesti

e sulla mia tunica hanno gettato la sorte.

E i soldati fecero così.

25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

28Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

31Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. 32Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. 33Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. 35Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

38Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. 39Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. 40Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. 41Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. 42Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di don Nazzareno Marconi

Al centro delle letture della Azione liturgica del Venerdì Santo c'è la Passione del Signore Gesù secondo Giovanni, la Chiesa propone ad ogni fedele di meditare questo ampio testo denso di simbologia e teologia. Offriamo una breve scheda che può aiutare a fare questa contemplazione orante.

La prima cosa che colpisce l'attento lettore del vangelo è l'attenzione che Gesù dedica alla morte ed alla sua morte in particolare. Per certi versi tutto il vangelo di Giovanni è una lunga ed organica preparazione di questo momento centrale: "quando Gesù sarà elevato da terra".

Scorrendo i 4 vangeli alla ricerca di quando Gesù parla delle sua morte ho trovato almeno 25 occasioni in cui Gesù si riferisce esplicitamente alla sua morte.
"Il Figlio dell'Uomo sta per essere consegnato...

C'è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non lo abbia ricevuto...

Il Figlio dell'Uomo resterà tre giorni nel cuore della terra...
Allora lo prenderanno e lo condanneranno a morte...

Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo farò risorgere...
Bisogna che il Figlio dell'Uomo sia Innalzato...
Io vado da Colui che mi ha mandato...

Se il chicco di grano non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto...
Per poco tempo la luce è con voi...
Il mondo non mi vedrà più...
Lascio di nuovo il mondo...
Io non sono più nel mondo..."

La morte di croce per Gesù, dice Giovanni in modo estremamente esplicito, non è stato "un incidente di percorso" imprevisto ed inatteso. Gesù guarda la passione e la morte da lontano e si prepara a viverle. Non è fuggito spaventato, non ha chiuso gli occhi censurando mentalmente la sofferenza e la morte che lo attendevano. In questo già ci indica una strada che per certi versi scorre contro corrente, nei confronti del nostro modo di vivere.

Una delle regole non scritte, ma non per questo meno ferree della comunicazione pubblicitaria moderna, è che nessuna frase e nessuna immagine deve richiamare l'idea della morte e della sofferenza, l'unico tabù che la pubblicità moderna si impone è il discorso sulla morte.

Gesù invece non sfugge, ma affronta il problema della sofferenza e della morte, con grande rispetto per tutto il tragico senso di assurdità, che prende l'uomo di fronte a questo apparente "errore" del Creatore. Contrariamente ad una sensazione che la lettura della passione in Giovanni può indurre, Gesù non è l'eroe Western che va al duello con il sorriso sulle labbra, né lo stoico che si fa forza contro la paura.

Scriveva il Card Martini in un libro degli anni '80, Gli esercizi spirituali secondo Giovanni: «A me pare che l'uomo cosiddetto saggio, quando cerca di non svicolare di fronte al tema della morte, ma la affronta nella sua realtà esistenziale, istintivamente tende a rifugiarsi in un atteggiamento Stoico, cioè a rendersi padrone delle emozioni, a dominare le paure, a fare il viso coraggioso, a guardarla in faccia, la morte. Gesù non fa così. Gesù ha anche paura della morte e lo mostra nella sua agonia. Semmai Gesù la guarda in faccia come parte di un cammino di senso infinitamente più grande. La morte è dunque per Gesù una tappa, un passaggio che porta alle estreme conseguenze la sua forza di Vita. Il suo amore si mostra senza limiti proprio di fronte alla morte, che non è un passaggio "anche", o "malgrado il quale", ma è un passaggio "nel quale" Gesù si esprime».

Gesù giunge alla morte attraverso la vita, vi giunge con una vita coerente nel suo atteggiamento di fondo di fronte al dolore ed alla sua assurdità. E' la continuazione "nonostante ed attraverso" la morte di questo atteggiamento, che segna lo "stile" con cui Gesù vive la sua morte.

Nella notte dell'ultima cena, celebrando la pasqua giudaica, Gesù ed i suoi discepoli celebrano e mangiano la prima Pasqua cristiana. Le parole di questa celebrazione che riecheggiano il ricordo della prima Pasqua sono Salvezza, Liberazione, Alleanza. I segni sono gli stessi, ma il significato è nuovo come nuova è l'Alleanza, la Liberazione, la Salvezza.

Scrive Andrè Louf: C'era l'agnello pasquale, c'erano le spezie rituali, c'era il pane e il vino. Questi ultimi ci sono sempre, ma, da simboli che erano, si trasformano misteriosamente in una nuova realtà. Gesù dirà che il pane è ora il suo corpo ed il vino il suo sangue. Di colpo, anche l'agnello pasquale passa dalla apparenza alla realtà, perché è Gesù l'Agnello di Dio venuto a togliere i peccati del mondo, ed è suo il sangue sparso per tutti gli uomini. Usciamo dunque dalla prima pasqua che commemorava il primo Esodo che condusse il popolo eletto dall'Egitto alla terra promessa, e passiamo, dall'oggi al domani, dal giovedì al venerdì santo. Già celebriamo il nuovo esodo che Gesù sta per inaugurare nel suo sangue e che deve condurre il nuovo Popolo di Dio da questa terra al Padre.

Questa è la cornice entro cui Gesù invita i discepoli a vedere la sua morte in croce, una morte che fonda in pienezza l'alleanza, il desiderio intenso di Dio di salvare, di liberare l'uomo gratuitamente, senza chiedere nulla, per puro amore, per essere fedele fino in fondo a quel patto di amore, a quell'Alleanza con cui Dio ha voluto liberamente legarsi a noi.

La morte in croce va letta dunque come segno estremo di fedeltà all'amore. Gesù continua coerentemente la sua vita fatta di dono d'amore senza condizioni e passa con questo atteggiamento anche l'estremo limite: la sofferenza e la morte. La croce di Gesù inaugura un cammino attraverso la sofferenza, lungo il quale non cessa mai, né l'amore di Dio per l'uomo né quello dell'uomo-Gesù per il Padre.

Sembra l'attuazione meccanica e serena di un piano, la recitazione esatta di un copione già scritto, la cronaca piena di luce di una morte annunciata. Ma la presentazione evangelica non deve trarci in inganno. La croce resta un assurdo ed immenso abisso di tenebra: la creatura ha ucciso il suo creatore, dalla croce il deicidio sconvolge alle fondamenta l'universo. Luce e tenebra si mescolano di continuo in ogni discorso sulla croce di Gesù. Il trionfo di Cristo è iniziato con una sconfitta: la croce.

La passione e la morte di Gesù, come ogni passione ed ogni dolore umano, non sono una necessità proposta e voluta da Dio, un sacrificio necessario per "soddisfare" la sua giustizia. Sono piuttosto una realtà che Dio permette entro un più grande piano di salvezza e redenzione.

Gesù ha vissuto una esistenza profetica. Se è stato condannato a morte e giustiziato, è perché la sua vita, il suo messaggio, il suo insegnamento, le sue iniziative l'hanno messo in opposizione al potere costituito presente in Palestina ai suoi tempi, potere politico e religioso assieme. Gesù non è morto dunque per "soddisfare" un Dio giudice vendicativo, ma per venire in aiuto agli uomini, aiutarli a liberarsi da tutte le loro schiavitù. Questa missione Egli l'ha portata a termine fino al culmine, in una fedeltà totale al Padre ed in una costante solidarietà con gli uomini suoi fratelli. Attraverso questa fedeltà e questa solidarietà che l'hanno portato fino alla morte in croce, Gesù ha rinnovato l'Alleanza che Dio aveva stretto con il Popolo Eletto, aprendo definitivamente a tutti gli uomini la possibilità d'essere salvati. Si tratta di un mistero d'amore e non di un "Debito" da pagare.

La croce diventa dunque il luogo privilegiato della lezione di Gesù sul "senso" che anche il dolore e la morte possono assumere, ma si tratta di una predica più ricca di pause riflessive e di silenzi che di chiare dimostrazioni e di dichiarazioni apodittiche. Gesù, come ogni vero uomo che ha toccato il fondo della sofferenza, vive di un profondo pudore silenzioso di fronte a questo mistero.

Le parole tragiche e vere di alcuni uomini che hanno vissuto una profonda sofferenza in spirito di fede, di veri crocefissi dell'oggi ci possono aiutare a conquistare questo pudore pieno di rispetto. Descrive così la sofferenza un malato di cancro nel suo diario: " E' una sofferenza che ti entra dentro da tutte le parti. Che prende possesso di te in modo tale che gli appartieni completamente, ed ogni opposizione è inutile. E' questa la sofferenza che mi era piombata addosso a partire dal 13 febbraio. Non si riesce più a pensare, parlare, pregare. Si cerca disperatamente il proprio respiro, ci si concentra, si lotta per cercare di non gridare... non si è altro che sofferenza. Le lacrime mute mi scorrevano sul viso senza che potessi arrestarle.

Le infermiere che mi assistevano rispettarono la mia pena in un modo tale che non dimenticherò mai. Non mi dicevano niente. Cosa avrebbero potuto dire senza ferirmi? Mi accudivano in assoluto silenzio. Ma ogni volta che lasciavano la mia camera, una semplice pressione della mano, uno sguardo affettuoso, mi parlavano, meglio di qualsiasi parola. Se sapessero quanto mi hanno confortato!".

E sembra fargli eco nel testo già citato il Card Martini: «Dice in un celebre passo Paul Claudel: "Dio non è venuto a sopprimere la sofferenza. Non è neppure venuto a spiegarla, è venuto a riempirla della sua presenza". Io ritengo che la domanda: "Perché la sofferenza?" in un certo senso non ha risposta. Neanche Gesù vuole dare una risposta logica, dottrinale, quasi che uno poi sia tranquillo: "Ah, ho capito perché si ha il dolore". E basta: No. Ciò che insegna Gesù è un modo di vivere questa esperienza negativa e di per sé assurda, la quale non può essere che l'effetto di un'assurdità. Ed ecco allora il peccato: l'assurdità del peccato, della ribellione a Dio, di cui la morte è una manifestazione. Gesù non da una risposta logica, ma apre un cammino di senso. L'esperienza della Croce è appunto un cammino, non è un discorso; è un cammino percorrendo il quale uno ricupera la positività di un certo modo di essere».

La croce di Cristo ci propone dunque un cammino, una scoperta di senso di cui abbiamo grandemente bisogno. Di fronte alla sofferenza ed alla morte siamo ancora più indifesi di quanto potevano esserlo gli uomini del secolo appena trascorso. Infatti il nostro relativismo, ci ha portato anche a relativizzare la fede nella scienza e nel progresso, come sicura risposta a questi problemi. Oggi nessuno si illude in una vittoria del progresso sulla radice della sofferenza e della morte. Produciamo palliativi sempre più sofisticati, cerchiamo sempre più di limitare il fenomeno, ma nessuno oggi attende più dalla scienza e dal progresso l'instaurazione dell'età dell'oro.

Questo fatto è positivo dal punto di vista cristiano: è la fine di una idolatria, l'idolatria della scienza, della tecnica e del progresso, per ricondurre queste realtà nel loro ambito: mezzi utilissimi e benedetti posti nelle mani dell'uomo, ma nulla più di questo. La positività sta nel fatto che possiamo ripresentarci davanti all'uomo di oggi, ormai disilluso dal trovare spiegazioni che guardano solo alla terra, con la proposta di aprirsi ad uno sguardo più ampio e veritiero sul reale, che comprenda anche Dio e che proponga la fede come risposta umana adeguata alla Sua presenza.

Non si tratta di un ritorno indietro, verso un mondo popolato di misteri che mescola fede e superstizione, né, tanto meno, di una fuga dalla reale tragicità del problema del dolore con una fede letta come "oppio dei malati"; ma del tentativo di affrontare il problema alla radice, in quella che chiamiamo un'ottica di fede: nell'ottica del messaggio sul senso della sofferenza che ci viene proposto dalla croce di Cristo.

Annunciare la croce come proposta cristiana sul senso del vivere e quindi del morire; e sul senso della pienezza di vita, e quindi anche della crisi della vita, della malattia, non è un aspetto marginale della proposta cristiana. S.Paolo la pone addirittura al centro della predicazione, dell'evangelizzazione della Chiesa: "Noi predichiamo Cristo crocefisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani, ma per colui che crede noi predichiamo Cristo: potenza di Dio e sapienza di Dio". (1Cor 1). Proporre la Croce di Cristo come itinerario di risposta al problema della sofferenza, non è affrontare una comoda scorciatoia, chi lo credesse dovrebbe riflettere al fatto che Paolo indica questa spiegazione come problematica.

Essa è accolta come uno scandalo dai Giudei, e per rispettare il senso del parallelismo del testo, come un segno di una visione impotente di Dio.

E' altresì accolta come una stoltezza dai pagani, una mancanza di quella saggezza che dovrebbe essere propria di Dio, il Signore del mondo. Il Dio che si propone e che propone questa risposta al problema del male, appare a prima vista un Dio che scandalizza e delude.

Ma la sapienza muta che sgorga dalla contemplazione della croce come stile di cammino nella sofferenza ha una forza particolare che solo chi soffre sa comprendere ed apprezzare. A questa contemplazione ci chiama l'azione liturgica di oggi.

 

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