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TESTO Commento su Es 34, 27 - 35, 1; 2Cor 3, 7-18; Gv 9, 1-38b

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

IV domenica di Quaresima (Anno A) (30/03/2014)

Vangelo: Es 34, 27 – 35, 1|2Cor 3, 7-18|Gv 9, 1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Esodo 34,27-35
Nella tragedia del tradimento il popolo, che ha abbandonato il Dio misterioso che lo ha liberato, costruendosi un vitello d'oro, ha identificato Dio con un idolo visibile. In questa operazione, è stato coinvolto anche Aronne che ha ricevuto " i pendenti delle orecchie delle donne e figlie ebree". E' il bottino prezioso che gli egiziani hanno dato agli ebrei perché se ne andassero dalla loro terra, facendo finire i castighi del loro Dio: "(Aronne) li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto!» (Es 32,4). Mosè resta sconcertato, disperato e deluso. Ma quando ormai è convinto del fallimento totale, viene richiamato sul monte dal Signore dopo la sconfitta dell'idolatria nel suo popolo alle falde del monte e la distruzione del vitello d'oro. Il Signore lo rincuora. Così la scoperta e la verifica dell'amicizia di Dio hanno suscitato in Mosè, ancora una volta, il coraggio della mediazione: è tornato così il dialogo per il popolo che avrebbe finalmente ricevuto la Legge. Il v 27 non fa riferimento alla seconda edizione delle 10 parole ma all'Alleanza a ed alle clausole che il Signore ha dettato a Mosè e che Mosè deve scrivere (il testo inizia al v. 34,10 e termina al v. 27).
Al v.28 riprende invece il racconto della seconda consegna della Legge e il soggetto è sempre il Signore (Egli scrisse...). Nel mondo antico spesso gli dei sono garanti delle leggi e delle consuetudini, ma agli dei non è mai attribuita la paternità delle leggi stesse. In Israele invece Jahve è insieme il legislatore e lo scrittore di ciò che è essenziale nella Legge.
Con la Legge del Signore anche la persona acquista uno splendore di cui non è neppure consapevole ma gli altri intravedono una nuova luminosità ed uno splendore che possono venire solo dalla bellezza di Dio e dai suoi doni. E il dono, che Mosè porta, è la Legge: la sapienza del Signore che imposta la vita e le azioni quotidiane di conoscenza e di bellezza.
Ma la sapienza non è mai capita una volta per sempre. La conoscenza di Dio va maturata giorno per giorno. Per questo Mosè, spesso, ritorna al popolo ad incoraggiare, a parlare, ad insegnare. Il velo, che continuamente mette e smette, ci ricorda che vanno rispettate la fragilità e la debolezza degli altri. Non per questo si deve abbandonarli, anzi vanno sostenuti mentre Mosè è continuamente in rapporto con il Signore nella tenda del convegno.
2 Corinzi 3,7-18
Paolo, con questo brano, non vuole disprezzare la Prima Alleanza perché essa ha avuto un grande valore educativo per il suo popolo e continua ad avere un rapporto particolare con il Signore del Patto. Tuttavia, da apostolo fedele, è sconcertato della resistenza che il suo popolo oppone a Gesù, inviato dal Padre. Da buon rabbino, utilizza un esempio interessante di "midrash", composizione ebraica di studiosi che interpretano liberamente, attualizzando in chiave cristiana, un testo biblico su Mosé: egli rappresenta una immagine anticipatoria dello splendore del volto di Gesù come del volto dei cristiani.
La lettura della Prima Alleanza non conduce alla vita, dice Paolo, ma alla morte perché la Legge non offre la salvezza ma solo la coscienza del male. E' Gesù che restituisce la salvezza a coloro che credono. E tuttavia anche il ministero di Mosé è un ministero glorioso.
Ancor più, dice Paolo, sarà glorioso il ministero dello Spirito.
Paolo utilizza la parola "gloria" che può essere, in pienezza, rivolta solo a Dio e tuttavia dice che negli anni del Primo Testamento il ministero di Mosé è circondato dalla gloria di Dio.
Quanto più c'è, dunque, ricchezza di gloria nei nuovi ministri di Gesù. A questo testo fa eco un brano del Vangelo di Giovanni (pronunciato da Gesù nell'ultima cena come preghiera finale al Padre): "E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me". (vv 17,22-23). La gloria di Gesù, che i credenti vedono nella fede, può incoraggiare gli apostoli e i cristiani a comportarsi con franchezza e a viso aperto. Questo testo ci aiuta a ripensare al compito della evangelizzazione così come ci viene proposta nella nostra vita e che ci viene indicata nella enciclica di Papa Francesco: "Evangelii Gaudium". Tutti noi abbiamo la vocazione di diventare "Evangelizzatori con Spirito". "Evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all'azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l'annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio"(259).
Gv 9,1-41
Il miracolo del cieco dalla nascita, nella riflessione di Giovanni, diventa un prezioso itinerario per identificare il cammino che ogni persona compie, quando, illuminata da Gesù, accetta di diventare suo discepola e credente in lui. Il testo fa riferimento alla Festa delle Capanne (Gv 7,2): una festa popolare molto importante, dove si uniscono insieme grandi esplosioni di gioia con le liturgie dell'acqua e della luce. In questa festa Gesù dice: "Se qualcuno ha sete venga a me, e beva chi crede in me (Gv 7,37). E sempre in questa festa Gesù pronuncia apertamente: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12).
Di fronte all'incontro di un cieco dalla nascita, che suscita sempre compassione e disagio, nasce nei discepoli la domanda: "Perché è nato cieco?". E la normale teologia di tutti i tempi risponde: " Dio ha voluto così"; il mondo ebraico aggiunge: "Perché quest'uomo ha peccato". Ma Gesù garantisce: non c'è castigo e non c'è peccato. Il problema, quando ci si trova di fronte al male, non è chiedersi di chi è la colpa, ma impegnarsi per eliminare il male dalla persona, come ha fatto Gesù. In fondo il cieco non chiede niente perché non sa che cosa è la luce. Ma Gesù sa che per lui è importante poter vedere poiché cambierà totalmente la sua vita. C'è una specie di liturgia in cui ci si immagina che la saliva sia un insieme di alito, di spirito e di potere di una persona. In fondo c'è il richiamo alla creazione (Gen 2,7): l'alito, lo spirito di Gesù, il fango. Ma il cieco, per vedere, ha bisogno anche di lavarsi nell'acqua dell'Inviato: questo è il nome della piscina di Siloe. Qui il cieco scopre la luce e qui comincia l'interrogatorio. Il cieco, che si è così trasformato da non riuscire più a riconoscerlo con sicurezza: "E' lui o non è lui?", sta iniziando il cammino verso la luce, come ogni credente: cambia stile, diventa un uomo nuovo. Quando gli chiedono: "Come mai vedi?", risponde che l'uomo Gesù ha fatto questo ma: "Non lo conosco e non so dov'è". E quando intervengono le autorità, hanno già idee precise di condanna, e quindi non si preoccupano di capire ciò che è accaduto: la loro autorità oscura l'intelligenza e crea persone di pregiudizio.
Ritengono di essere nel giusto, ritengono di capire tutto, ritengono di essere sicuri dei loro giudizi. Ma il cieco, guarito, incomincia a ripensare con profondità: "E' un profeta" (v 17).
Nuovo interrogatorio con i genitori perché l'autorità spera di trovare delle persone impaurite o delle persone conniventi con la menzogna. I genitori si sottraggono al giudizio, seriamente preoccupati di ciò che potrebbe avvenire e restano silenziosi. A questo punto il nuovo vedente mostra il suo cammino di persona libera, coraggiosa, sincera, semplice, preoccupato di capire, in ricerca, superiore alle pressioni perché non vuole rinunciare né al mondo nuovo che gli si prospetta davanti né alla grandezza di colui che lo ha amato e salvato. Alla fine ritorna Gesù, che lo ha lasciato solo, ma lo ha accompagnato con lo Spirito di sapienza. Ora Gesù compie il dono più grande che è la sua rivelazione.
Infatti, durante il suo cammino, colui che finalmente vede ha intravisto Gesù come "un uomo", quindi come " un profeta", "un uomo di Dio", ma ora conclude con "Gesù Signore": "Credi tu?" "Credi nel Figlio dell'uomo?" "Credo, Signore" e si prostrò". Nelle mani di Giovanni quest'episodio delinea il cammino di ogni credente che raggiunge la luce vera sul mondo e la luce piena su Gesù.

 

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