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TESTO Solidarietà e Provvidenza, sorelle gemelle

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/03/2014)

Vangelo: Mt 6,24-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Questa domenica, oramai alle soglie del cammino di Quaresima, il Discorso della Montagna di Matteo cambia decisamente registro. Dallo stile assertivo, quasi dogmatico, con cui il Signore proclamava la Legge della Nuova Alleanza, in contrapposizione e a superamento della Legge dell'Antico Testamento, si passa ad uno stile esortativo, più confidenziale, forse anche meno acceso; uno stile che cerca di aiutarci a ritrovare speranza di fronte a situazioni che di speranza ne hanno ben poca, soprattutto in un periodo di crisi come quello che da ormai troppo tempo stiamo vivendo. La prima catechesi evangelica di quest'anno si conclude qui, con questo suggestivo e dolcissimo elogio della Provvidenza Divina. Un elogio nel quale la Provvidenza, vera protagonista del brano, non viene mai esplicitamente citata. Ritorna invece, per ben sei volte, il verbo "preoccuparsi", quasi sempre in forma imperativa negativa: "Non preoccupatevi", che traduce un verbo greco ancor più forte, "Non angosciatevi".

La Provvidenza è l'atteggiamento di chi "non si angoscia": per il cibo, per le bevande, per il vestito, per il domani, in definitiva, per la stessa vita. Perché angosciarsi? Perché preoccuparsi fino ad essere turbati al pensiero di cosa mangeremo o di come ci vestiremo o di come vivremo domani? Il Signore dice: "A ciascun giorno basta la sua pena", per cui il pensiero per ciò che dobbiamo fare non deve oltrepassare la mezzanotte di ogni giorno... Facile a dirsi...facile e anche inutile, spesso. Lo penso a partire da me stesso, che mentre metto per scritto questi miseri balbettii intorno alla Parola, osservo inesorabile l'orologio digitale a cristalli rossi della mia vecchia radiosveglia che segna "00:16", e mi farà ancora compagnia...

È tutto vero quello che dice il Signore nel Vangelo, ma purtroppo oggi rischia davvero di rivelarsi inutile: inutile chiederci di non pensare al domani, e di riuscire a dormire sonni tranquilli prima della mezzanotte. Inutile dire: "Non preoccupatevi di cosa mangerete, o cosa berrete o cosa indosserete" a gente che ha perso il posto di lavoro, ha una famiglia sulle spalle, le rate di un mutuo da estinguere (pena lo sfratto dalla casa), figli da mandare a scuola vestiti dignitosamente (anche solo per evitare di essere discriminati dai compagni), o che ha essa stessa la necessità di vestirsi ogni giorno come si deve in una società che purtroppo guarda all'immagine come alla sostanza, pena l'esclusione sociale. Molte volte, è vero, ci facciamo delle fisime mentali perfettamente inutili su questi temi; altrettanto spesso, però, questi pensieri non sono fisime, sono la cruda realtà della vita di ogni giorno, e un Vangelo come quello di oggi (per fortuna, solo all'apparenza) invece di infonderci speranza sembra quasi voler farci sentire in colpa per le volte in cui ragioniamo così.

La domanda di fondo, forse, è una sola: si può ancora vivere di Provvidenza? Si può ancora dire "Dio provvederà a te", in una società in cui Dio non trova posta e nella quale per Dio non si ha tempo? Quando Isaia scrive il brano della prima lettura di oggi riteneva "assurda" una società in cui una madre abbandonava e si dimenticava del proprio figlio: e come, allora, si può ancora sperare nel Dio della Provvidenza, in una società come la nostra in Italia che fa spot pubblicitari contro l'abbandono dei cani, e che contemporaneamente assiste all'abbandono annuale di 3.000 bambini, di cui 400 (più di uno al giorno) in ospedale, il giorno stesso della nascita? È normale, allora, che si senta gente per la strada dire le frasi che Isaia deplora: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato"! Chi può credere più alla Provvidenza, in un mondo in cui, se non pensi al domani, ti ritrovi in un batter d'occhio in rovina, vista la velocità con cui passiamo - senza accorgercene - dall'oggi al domani, da un oggi "da formica laboriosa" a un domani "da cicala canterina e ballerina", per dirla con la favola di Esopo? E a volte, nonostante si lavori tutti quanti come formiche laboriose...per cosa, poi? "Per allungare anche di poco la propria vita"?

Eccola qui, a metà del vangelo di oggi, al versetto 27, la molla che fa scattare la riflessione sul concetto di Provvidenza: che tu faccia o non faccia, che programmi o no il tuo futuro, che tu pensi o no...quanti secondi puoi aggiungere alla tua vita? "Che profitto trae l'uomo da tutto il suo lavoro, dalle preoccupazioni del suo cuore, da tutto ciò che gli è costato tanta fatica sotto il sole", per dirla con Qoèlet, quattro secoli prima di Cristo?

Per ripigliare un po' di speranza, cos'è, allora, la Provvidenza, in quest'ottica di precarietà della vita, una vita che non dipende certo dalle nostre capacità organizzative, ma solo da un disegno di Dio più grande di noi? Probabilmente, si tratta di quell'unica esortazione al positivo che Gesù fa nel Vangelo di oggi: "Cercate innanzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta".

La giustizia del Regno di cui spesso ci parla il Vangelo è sempre basata sulla carità e sulle relazioni umane: relazioni più giuste, più sincere, più solidali, meno individualiste e meno formali, valgono molto di più - dice il Signore nella parte finale del Discorso della Montagna - di una giustizia basata su un'osservanza della Legge così stretta che impedisce ogni margine di libertà e di solidarietà. La solidarietà: è questa la giustizia del Regno che ci darà tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e ce lo darà "in aggiunta", gratuitamente, in abbondanza e senza nostri meriti.

La Provvidenza di cui ci parla il Vangelo, allora, non è smettere di pensare al nostro futuro, bensì smettere di angosciarci per cose che - pur importanti - non valgono quanto la fraternità e la solidarietà tra gli uomini; le quali, peraltro, sapranno sempre donarci ciò di cui abbiamo bisogno. Le generazioni anteriori alle nostre hanno superato momenti ben più critici dei nostri (la guerra, su tutti) con atteggiamenti di solidarietà e di reciproco aiuto. Ricuperiamo quello spirito, e mandiamo al diavolo una società dove si ammazza un uomo a bottigliate in testa per una mancata precedenza automobilistica sulle strisce pedonali; una società che confonde il mangiare e il bere con l'ubriacarsi, il vestire dignitosamente con un corpo tappezzato di griffe, la vita stessa con una finzione, o più modernamente, con una fiction.

Una società che produce questi frutti è una società malata di individualismo e di indifferenza. Mercoledì inizia di nuovo la Quaresima: se ci crediamo ancora, è l'ennesima occasione per cambiare registro.

 

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