TESTO Essere sale e luce: un compito impossibile?
V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/02/2014)
Vangelo: Mt 5,13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Per quattro domeniche a cominciare da oggi si leggono passi del ‘discorso della montagna': insegnamenti di Gesù, riuniti come a tracciare il programma della sua successiva attività. Nel brano odierno (Matteo 5,13-16), Gesù chiama i suoi discepoli ‘sale della terra, luce del mondo'. Che significa? Forse a qualche ascoltatore sarà tornato in mente un passo del profeta Isaia (58,7-10), riproposto oggi come prima lettura: se dividerai il pane con l'affamato, se ospiterai i senzatetto, se darai un vestito a chi non l'ha, allora la tua luce sorgerà come l'aurora; se combatterai l'oppressione e l'empietà, se consolerai l'afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce. Insomma, agire secondo giustizia e carità, dice il profeta, e Gesù non intendeva altro. Essere sale della terra, luce del mondo, significa dare sapore, cioè un senso, uno scopo alto, alle realtà che invece troppi vivono come avvilenti perché subìte o banali; significa fare luce allo spirito di chi è disperato, di chi è cieco o semplicemente addormentato, e perciò non vede il bene esistente intorno a sé, né quello che è possibile realizzare.
Il compito che Gesù affida ai suoi discepoli appare grandioso ed entusiasmante, però difficile; anzi, chi ha coscienza dei propri limiti è tentato di ritenerlo impossibile. Ecco tuttavia la seconda lettura. L'apostolo Paolo si sentiva anche lui inadeguato ad essere sale e luce del mondo; ma non per questo si trattenne dal fare quanto era in suo potere per testimoniare Colui che l'aveva mandato. In proposito, scrisse: "Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio" (1Corinzi 2,1-5).
Si legge negli Atti degli apostoli (17,16-34) che, prima di giungere a Corinto, Paolo era passato dalla vicina Atene, considerata il principale centro intellettuale del mondo antico. L'ansia apostolica che lo pervadeva indusse l'apostolo ad annunciare il vangelo anche là, e dinanzi a un'accolta di filosofi tenne un discorso sapiente, erudito, ricco degli accorgimenti retorici che rientravano allora nel bagaglio degli oratori; malgrado ciò, egli fece fiasco: tranne pochissimi, gli ascoltatori se ne andarono con commenti sarcastici. Paolo imparò la lezione: passato a Corinto, abbandonò ogni sapienza umana e annunciò il vangelo, come poi scrisse loro, con un discorso diretto, presentando le realtà della fede nella loro immediata concretezza, pur se poteva apparire sconcertante: invitò a seguire uno che era finito sulla croce, vale a dire uno che gli ascoltatori potevano considerare un fallito.
Umanamente sembra, quella dell'apostolo, una condotta poco accorta, quasi autolesionistica. Invece, come egli stesso spiega nella lettera, così facendo emerge che in realtà la fede non deriva dai bei discorsi di qualcuno: deriva dalla "potenza di Dio". L'apostolo, il missionario, il sacerdote, il catechista, la mamma che insegna le preghiere al suo bambino, e chiunque altro cerchi di testimoniare il vangelo con le parole e l'esempio, "deve" avere coscienza di essere debole e affrontare l'impegno "con timore e trepidazione"; questo però non lo deve trattenere, nell'ancor più forte coscienza di essere soltanto uno strumento nelle mani di Dio: chi sa penetrare nelle menti e nei cuori degli uomini è solo Lui. Dunque, essere sale e luce del mondo è possibile ad ogni cristiano, non per virtù sua, per chissà quali doti o meriti o privilegi, ma perché tramite lui ad operare in realtà è Dio.