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TESTO Luce che illumina credenti e non credenti

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/02/2014)

Vangelo: Mt 5,13-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Luce e tenebre sono il binomio di contraddizione che interessa diverse pagine della Bibbia, non ultima quella della Genesi intorno alla creazione. Essa effettivamente non pone i due elementi antitetici in relazione iniziale di contrasto ma di necessaria continuità: la luce è possibile solo quando sussistano le tenebre e queste sono consequenziali e relative alla luminosità. In altre parole, luce e tenebre nella creazione sono cose distinte, ma ciascuna è correlativa all'altra.

Sia Giovanni Battista sia Gesù Figlio di Dio ci descrivono però le tenebre necessariamente opposte alla luce, perché nelle loro pagine esse assumono il significato profondo di peccato, o meglio di perdizione, smarrimento e disagio morale che consegue al peccato, e parlano di luce che irrompe nelle tenebre per averne ragione. Il popolo che cammina nelle tenebre, configurato con la Galilea delle genti, necessita che una luce rifulga sul suo percorso e che vi sia un orientamento nel suo procedere ottenebrato dal peccato e dall'ingiustizia (Is 9, 1). E' un popolo assuefatto dall'ingiustizia, dalla perversione e dal deperimento morale, di tendenza probabilmente paganeggiante, che sconosce i criteri della retta convivenza perché misconosce l'amore di Dio. Ha bisogno che in esso rifulga la luce perenne apportatrice di novità e di salvezza che si può identificare in una sola persona: il Messia, Unto del Signore. Egli è la luce "per illuminare le genti e gloria del popolo d'Israele"(Lc 2, 32) e la sua luminosità pervade tutto il mondo delle tenebre per averne ragione e per essere di riferimento a quanti tentano di svincolarsi dalle sue morse. Cristo viene descritto in definiva dalla Scrittura (e dalla nostra liturgia) come "luce del mondo" la cui luminosità ci ha raggiunti consolidandoci nell'appartenenza a lui e il cui fulgore costituisce per noi monito nei nostro percorsi anche nelle immediate vicende del quotidiano quando molto spesso si tende a procedere nell'oscurità pur disponendo di una luce anche di voltaggio elevato per il semplice fatto che molto spesso il peccato e la i sentieri del male sono molto più accattivanti delle vie della luce e non di rado ci si ostina per ciò stesso a cercare ciò che di fatto impassibilmente troveremo.

Un proverbio cinese afferma che "è difficile trovare un gatto nero in una stanza buia, soprattutto quando non c'è" e l'uomo che tenta di procacciare la verità senza Cristo è proprio come colui che cerca quel gatto. Un certo filosofo filosofo aggiunge che cercare la verità senza la Trascendenza è come cercare un gatto nero in una stanza buia e ogni tanto gridare "l'ho trovato, l'ho trovato", tipico di chi si illude di trovare l'inverosimile con le sue sole forze. Solo Cristo luce del mondo può fare in modo che non troviamo gatti neri illuminandoci su quanto dobbiamo cercare e abbiamo la possibilità di trovare. Dice l'apocalisse: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce".

La luce di Cristo ci ha raggiunti e avvinti nel Sacramento del Battesimo, il quale a sua volta ci invita ad essere di essa rifulgenti e apportatori agli altri. In forza del Battesimo, la luce di Cristo che dissipa le tenebre in noi non può restare celata né può essere nascosta, ma deve necessariamente essere preconizzata ad altri per mezzo della radicale testimonianza. Se Cristo, luce del mondo, ci ha resi a nostra volta luce di riflesso, è necessario che portiamo codesta luce ad altri, che ne siamo testimoni e promulgatori, per non vanificare noi stessi avvelenando i nostri rapporti con Dio. Chi infatti omette di essere "luce che illumina i non credenti" trasgredisce un grosso rapporto di fedeltà nei riguardi di Dio e allo stesso tempo manca anche nei riguardi di se stesso perché svilisce la propria identità fondamentale di uomo che rifugge dal vivere secondo verità.

Sfruttando un altro termine di paragone, Giacomo afferma che "Chi ascolta la parola di Dio e non la mette in pratica è simile a uno che si guarda allo specchio e poi se ne va, e subito dimentica com'era" (Gc 1, 25 - 26) poiché la Parola ti colloca davanti a te stesso, ti fa scoprire la tua reale identità di uomo raggiunto da Cristo, ti fa percepire di aver avuto appagati i tuoi desideri di fondo; ma quando essa è destinata a restare lettera morta senza trasformarsi in prospettiva o in programma di vita, si manca inesorabilmente nell'attenzione verso se stessi in modo da non riconoscersi e inevitabilmente smentirsi.

Analogamente potremmo affermare che ricevere la luce di Crist ma non recare questa luce ad altri corrisponde ad aver visto la strada illuminata ma a voler procedere come se essa fosse buia. Diceva Abram Lincoln: "la religione di un uomo non serve a nulla se non ne traggono vantaggio anche il suo cane e il suo gatto" ed effettivamente nessuna fede è compatibile con la coerenza e con la linearità quando non produce appropriati frutti e quando il suo professarla non produce la risultante di una gioiosa testimonianza della quale tutto e tutti possono usufruire. La fede cristiana comporta poi che il frutto del nostro credere sia l'agire secondo Cristo e il produrre copiosi frutti che attestino conversione, amore e familiarità con lo stesso Signore che vive in noi.

A questo proposito, le parole di Gesù sono molto chiare: "nessuno può mettere una lucerna sotto il moggio, ma sul candelabro perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa." Come il padrone di casa non dovrebbe avere difficoltà a collocare una lucerna sul lampadario, così ciascuno di noi è tenuto ad apportare la luce alimentando il proprio lucerniere e collocandolo in modo da poter irradiare a tutti la medesima luce riflessa. Come il sale non può mai perdere il proprio sapore, così neppure noi dobbiamo diventare insipidi e insignificanti.

Essere stati illuminati è prerogativa per essere luminosi ed è irrinunciabile per ciascuno doverlo essere profondamente e con profitto. Ma qual è il concreto atteggiamento che ci rende luce "che illumina credenti e non credenti"? Sorprendente è la risposta che riporta il libro del profeta Isaia di cui alla Prima Lettura odierna: l'esercizio della carità sincera e operosa. Vestire gli ignudi, condividere anche le poche risorse di cui si dispone con chi è privo del necessario, praticare la giustizia verso gli umili e i derelitti è fondamentale per vivere il vero digiuno e per ciò stesso mettere in pratica la vera volontà di Dio. E quando l'esercizio dell'amore al prossimo diventa cosa effettiva perfino le tenebre si tramutano in luce: "Allora brillerà fra le tenebre la tua luce. La tua tenebra sarà come il meriggio."

Cos'altro può rendere infatti più luminosi e convincenti della carità? Cos'altro ci rende più credibile dell'amore concreto verso gli altri?

 

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