TESTO L'ospitalità necessaria
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/07/2004)
Vangelo: Lc 10,38-42
In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Quando un amico viene a farci visita, tutti, in un modo o nell'altro, ci diamo da fare. Come prima cosa, lo accogliamo sorridenti sulla porta di casa; quindi lo facciamo accomodare nel salotto, magari dopo avergli fatto vedere le foto e i quadri appesi nell'ingresso; a questo punto, gli offriamo da bere e da mangiare, di solito insistendo un po' per vincere le resistenze di circostanza; nel frattempo intavoliamo un discorso, che spesso è incentrato sulle vicissitudini attraversate negli ultimi tempi, oppure sui bei ricordi della vita passata; e così viene l'ora del caffè, a cui segue un commiato che a volte pare interminabile: tanto che non di rado ci accade di intrattenerci ancora per diversi minuti con il nostro ospite in piedi sulla porta di casa.
Dunque pressappoco così succede quando un amico viene a farci visita. Le circostanze certo possono essere diverse, come diversi possono essere i discorsi fatti ed i gesti compiuti: ugualmente calorose però rimangono la disponibilità e la cortesia. Anzi, a volte appaiono troppo calorose: pensiamo, ad esempio, all'insistenza con cui invitiamo l'ospite a mangiare e a bere; oppure pensiamo ai complimenti ed agli elogi che ci scambiamo a vicenda. Troppo calorosi appaiono a volte tali situazioni: al punto che l'ospitalità dimostrata rischia di rispettare poco gli ospiti, i quali diventano in fretta oggetto di cure più che persone da accogliere.
Appunto così avvenne in quel tempo per Gesù (Lc 10,38-42). Egli fu accolto con gioia nella casa di Marta; e tuttavia Marta «era tutta presa dai molti servizi». Certo, Marta si preoccupava di preparare una dignitosa accoglienza per il profeta venuto da Nazareth: un po' come aveva fatto già Abramo, quando aveva accolto sotto la sua tenda i tre messaggeri del Signore. Troppe sono però le cose a cui Marta vuole pensare: e finisce così di essere attenta a tutto fuorché alla parola di Gesù. Proprio come succede ai nostri giorni, quando un amico viene a farci visita, e noi siamo più attenti al caffè da preparare che alla persona stessa dell'amico.
Non è però soltanto nella sfera privata che succedono tali cose. Pensiamo alla nostra società moderna: oggi si moltiplicano gli ospizi e gli ospedali, ma diminuiscono sempre più le case capaci di reale ospitalità; si moltiplicano le istituzioni che provvedono ad ogni forma di malattia e di solitudine, ma diminuisce la probabilità di trovare fratelli davvero disposti ad ascoltare chi è emarginato. Eppure proprio in questo consiste l'ospitalità vera: non basta infatti che il bisognoso sia semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera; occorre invece che egli sia ascoltato, e così sia reso prossimo e familiare. Appunto: alla fine «una sola è la cosa di cui c'è bisogno».
E dunque oggi riscopriamo questa unica cosa necessaria. Forse noi non siamo capaci di soddisfare pienamente i bisogni degli altri; anzi, a volte, magari senza volerlo, siamo per gli altri causa di sofferenza. Eppure c'è una cosa che possiamo fare da subito: metterci in ascolto di chi ci sta accanto, con disponibilità e rispetto; ascoltare chi ha bisogno di compagnia, senza subito sommergerlo con i nostri discorsi. In fondo proprio questa è la sola cosa di cui c'è bisogno: il resto poi verrà di conseguenza.