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TESTO Commento su Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; I Corinzi 1, 11-3; Giovanni 1,29-34

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II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/01/2014)

Vangelo: Is 49,3.5-6; Sal 39; I Cor 1, 11-3; Gv 1,29-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,29-34

In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Il profeta l'aveva preannunciato:« Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra». Nulla è più necessario oggi della luce. Gli esseri umani, le famiglie, le comunità, le nazioni brancolano nel buio. E luce e buio sono antagonisti, non possono coesistere. Anche se in questo buio, grazie alla nostra speranza, è talvolta possibile cogliere un piccolo intravedimento di luce. Eppure, lo stesso Dio, pur invocato, pare muto, assente, oscuro. Un grido si leva dall'oscurità, dal deserto delle nostre esistenze: "Dio, Dio, dove sei...?.
Molti anni dopo. Betania, al di là del fiume Giordano. Una voce si leva dal deserto per annunciare la luce delle nazioni, il Liberatore. Giovanni, il battezzatore, ha scelto un luogo desertico per dare la notizia del suo arrivo. Una notizia che suscita contrasti, ambivalenze: da un lato adesioni profonde, speranze; dall'altro diffidenze e paure. Per questo Giovanni è "sotto inchiesta". Si sa che i "farisei" di ogni tempo e di ogni latitudine e longitudine del pianeta non sono mai teneri verso i profeti, verso chi mette in crisi quelle false sicurezze con le quali essi hanno costruito e consolidato il loro potere sulle persone e sulle coscienze. Già sappiamo che per lui, come per la maggior parte dei profeti, finirà male. La testa mozzata su un vassoio prezioso per una ragazza viziata.
Chi sei, tu? Da dove vieni? Con quale diritto battezzi la gente? Chi ti ha autorizzato? Rispondici, perché dobbiamo riferire a chi ci ha mandato...
Le domande sono legittime. E neppure presentate con uno stile aggressivo. Non si rileva in esse un accanimento personale (del quale Gesù, invece, farà poi l'esperienza) contro quella larva d'uomo stremato da una vita di stenti, dalla fame, dalla durezza del deserto... "Scusa se ti facciamo queste domande... ma dobbiamo riferire...". Ognuno di noi riesce sempre a intagliarsi uno spazio di neutralità, a rifarsi una verginità perduta. Troviamo sempre un "capo", qualcuno "più in alto" di noi al quale dobbiamo rispondere, attribuendogli quelle responsabilità che non vogliamo assumerci. Fine dell'esame: i farisei tornano a riferire. Che cosa? A Giovanni interessa poco: chi sceglie il deserto sa di accettare un cammino senza ritorno.
"Dio, Dio, dove sei...?
Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo. Egli è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele» (Gv 1, 29-31). Così l'altro Giovanni, l'evangelista, riconosce nel Cristo l'agnello, quello del Servo di jahvè, l'agnello condotto al macello, la pecora muta di fronte ai suoi tosatori, la vittima dell'espiazione che si fa carico del peccato del mondo. Che cos'è il peccato del mondo? È il malum mundi, il male che sta alla radice della stessa struttura del mondo e che l'uomo da solo - neppure con tutta la sua buona volontà - è in grado di redimere. È il male irredimibile: l'uomo può combattere, e vincere, il malum in mundo, il male che è nel mondo, la sofferenza dei bambini, la violenza contro gli indifesi, ma per vincere il male che è del mondo ci vuole una potenza superiore, ci vuole il Cristo che il Padre ha mandato nel mondo come agnello, perché assuma su di sé il peccato per altra via irredimibile. " Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccatum mundi...". Qui servirebbe una buona esegesi (ma ne siamo ancora capaci...?) per cogliere in tutta la sua forza dirompente questa espressione. Essa metterebbe in evidenza l'ambivalenza dell'espressione greca ho airon ten hamartian tou kosmou (lat. qui tollit peccatum mundi), nella quale il verbo airo, al pari del latino tollere significa sia portar via, sia prendere su di sé, caricarsi sulle spalle (mentre purtroppo questa ambivalenza di significato non si riscontra nella traduzione italiana togliere). In realtà Gesù non "toglie" il peccato, secondo la brutta traduzione che noi conosciamo, ma lo assume su di sé, accetta di entrare nel progetto di redenzione per tutti (ma proprio tutti, non solo per qualche privilegiato) voluto da Dio, dal Padre.
"Dio, Dio, dove sei...?
Trema la voce di Giovanni, il battezzatore, nell'additare l'uomo che ha accettato di far parte di questo progetto di espiazione vicaria, di essere "agnello", quello annunciato dai profeti nei secoli eterni. La "durezza" dell'uomo del deserto pare quasi stemperarsi in una tenerezza infantile, mentre addita il Cristo. Gli uomini rudi - chi di noi nella vita non è stato toccato dalla presenza di uno di loro? - sono spesso i più teneri. Giovanni, il battezzatore, riconosce subito nel Cristo quel "servo sofferente" sul quale Isaia aveva profetato; "agnello" e "servo" vengono tradotti in aramaico con il medesimo sostantivo: l'agnello che prende su di sé il peccato e "toglie", questa volta sì, elimina, le conseguenze, l'effetto, alla colpa del peccato. E ne assume la violenza per rivelarla, per smascherarla, per redimerla, cioè, finalmente, per vincerla. Questo è il mistero della nostra fede. Non si tratta di una lettura sacrificale, perché il nostro Dio non ha bisogno di sacrifici per essere placato, quello è il Dio mitologico, non il Dio di Gesù. Se imparassimo a leggere il Primo Testamento alla luce del Nuovo saremmo colti anche noi, come il Battista, dall'emozione: per un Dio che ama talmente l'essere umano da assumerne su di sé il peccato, per togliere il velo - svelare - la violenza; e saremmo capaci come il Battista di additare Lui, il Cristo, e La sua Liberazione, al popolo di Israele.
È con questo modello che noi Chiesa, la Chiesa dei due Giovanni, del Battezzatore e dell'Evangelista, dobbiamo additare il Cristo. Non additare noi stessi, la nostra cultura, i segni esteriori ed effimeri del nostro potere, non la preoccupazione per la difesa delle forme storicamente acquisite dell'istituzione... ma additare Lui, il Cristo, che ci ha rivelato l'amore tenero e infinito del Padre. Noi dobbiamo essere Chiesa di salvezza che addita il Cristo agli uomini e alle donne affaticati nell'orizzonte del Risorto. La Chiesa dei due Giovanni.
Io credo che la famiglia abbia in questo progetto un compito insostituibile. Attraverso i suoi stili di vita, le sue scelte sul piano etico, è in grado di porre il problema della responsabilità morale e storica di una salvezza - liberazione di cui tutti devono poter beneficiare. Può riuscire a far superare quel senso diffuso di impotenza nei confronti di quel peccato che opprime il mondo e che Qualcuno - come ci dicono i due Giovanni - ha redento, cioè ha preso su di sé. E dunque accettare le enormi sfide planetarie che la storia continua incessantemente a proporci: il genocidio di interi popoli; le lunghe carovane di migliaia di famiglie in fuga dalla fame, dalla siccità, dallo sterminio; la violenza come modello di relazioni; lo sfruttamento violento delle donne e dei bambini; le guerre nei cieli e sulla terra. Sì, la famiglia può condensare su di sé dei valori liberanti e non accettare più di essere, secondo lo sconcertante pragmatismo importato da oltre oceano, "gente dai cuori puri e dalle mani sporche".
Traccia per la revisione di vita
1) Di quanto, come famiglia, ci facciamo carico delle sofferenze e delle croci di tante famiglie con le quali entriamo in contatto?

2) Qual è il nostro modo per manifestare la nostra fedeltà a Dio, pur non conoscendo i suoi disegni nei nostri confronti?
Luigi Ghia - Direttore di "Famiglia Domani"

 

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