TESTO Commento su Isaia 8, 23b-9, 6; Ebrei 1, 1-8; Luca 2, 1-14
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
Natale del Signore - messa nel giorno (25/12/2013)
Vangelo: Is 8, 23b-9, 6; Eb 1, 1-8; Lc 2, 1-14
1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Isaia 8, 23b-9, 6
Il profeta ripensa inorridito alle invasioni degli eserciti orientali e alle deportazioni che gli ebrei del nord, probabilmente dopo l'occupazione di Tiglat-Pileser IlI del 732 a.C., hanno subìto, disperdendosi nella immensa regione della Mesopotamia. Egli però, come profeta del Signore, sa di dover portare la speranza ad un popolo. Perciò è sicuro che l'umiliazione non sarà definitiva: Dio non lascia al male l'ultima parola. Così quella via del mare che collega Damasco con la costa della Galilea fino all'Egitto diventerà una via gloriosa. Le terre di Zabulon e di Neftali, al di là del Giordano (per chi guarda dall'interno, e quindi per i deportati), terre abitate da ebrei e da pagani ("distretto delle nazioni"), ritorneranno a vedere i propri figli. Il popolo che cammina nelle tenebre (a volte perché accecato per la crudeltà dei vincitori, comunque un popolo senza speranza) vede una grande luce. Dio sfolgora inatteso e porterà la gioia e la vittoria, spezzerà il giogo, frantumerà la sbarra di legno o di ferro che portavano sulle spalle gli schiavi e i deportati per incatenare gli uni agli altri. Il bastone dell'aguzzino sarà abbandonato come al tempo di Madian quando Gedeone vinse i Madianiti (Gdc 7, 16-25). Nel luogo più compromesso per la presenza di popolazioni pagane, Dio porterà la sua vittoria e infonderà coraggio e luce. Così ci sarà una grande festa e le immagini, per rivederla come gioia e splendore, sono tratte dal mondo contadino nel tempo della mietitura e della vendemmia, quando i granai sono colmi e i tini traboccano di vino nuovo, e dal mondo degli eserciti quando l'immagine della gioia è colta anche dall'euforia dei soldati che si dividono il bottino.
Ci sono tre ragioni per la festa:
- la fine di ogni forma di schiavitù.
- La fine di ogni guerra.
- La nascita di un bambino che avrà qualità eccezionali che gli derivano da famosi antenati, sarà padre per il popolo, saggio come Salomone, principe della pace.
Questi titoli sono paragonabili al protocollo che si componeva per il faraone al momento della sua incoronazione. Il figlio di stirpe regale avrà anche la valentìa e la pietà di Davide, le grandi virtù di Mosè e dei patriarchi (cf.11,2). Questo testo fu prezioso per la riflessione della prima comunità cristiana, a cominciare dal fatto che Gesù viene dalla terra della Galilea, disprezzata eppure fatta grande: è la terra di Zabulon e di Neftali. Nella liturgia di Natale questo testo svela la grandezza del Messia, il dono del vero Emmanuele.
Lettera agli Ebrei 1, 1-8
L'inizio della "lettera agli Ebrei" ci fa entrare nel mistero di Gesù e ci svela il nostro nuovo compagno di viaggio: splendore di Dio tra noi, figlio, erede. L'autore della lettera agli Ebrei, è un sacerdote del tempio, convertito. La lettera è databile, per alcuni, negli anni 90 d.C., per altri scritta non dopo i 65-66 d.C. quando il tempio, che fu distrutto nel 70 d.C., era ancora in servizio.
E' un'omelia sul sacerdozio di Cristo, scritta in un greco purissimo di notevole levatura. Gesù, il Figlio di Dio, nel giorno della Croce, è insieme Sommo Sacerdote che presiede al sacrificio ed è l'Agnello sacrificale e primogenito del popolo dei redenti. Egli è uomo in tutta la sua pienezza e fragilità e per questo soffre, ma nella sofferenza si affida all'obbedienza della volontà di Dio, accettando di entrare negli eventi con totale lucidità e responsabilità. Egli offre la sua vita per amore, senza chiedere nulla in cambio, ma perdonando i suoi carnefici. Da lui possiamo sperare la salvezza, oggi e sempre.
E', perciò, uno scritto composto con il desiderio di restituire coraggio, forza e motivazione ai cristiani in difficoltà, nella testimonianza della fede.
Ci troviamo davanti a un Dio che prende a cuore le sue creature, fattosi presente "molte volte e in diversi modi" nella storia dell'umanità, servendosi prima dei Padri e dei Profeti e poi, addirittura, tramite il suo stesso Figlio. E' necessario allora verificare questa presenza tra noi che si offre come ultima parola garantita di Dio. Gesù è l'erede, generato dal Padre. Da lui ha avuto la proprietà, la signoria su tutti i beni, su tutte le cose. Anzi, fin dall'inizio della creazione, è stato presente poiché "per mezzo di Dio ha fatto anche il mondo". La riflessione sul significato di cielo continua poiché egli è "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza", cioè comunicazione e manifestazione del Dio nascosto. Nella realtà, che non è più quella uscita dalle mani di Dio nella sua purezza e trasparenza, la presenza del Figlio passa anche per la purificazione dei peccati. In tal modo tutta la creazione viene rigenerata e ricostituita nel suo splendore. E così, finalmente, si giunge alla conclusione dell'opera di Gesù che "si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli". Il richiamo al cielo rimanda ad una problematica particolarmente vivace e controversa del valore degli angeli, abitanti del cielo e servitori prossimi di Dio. Anzi di Gesù stesso qualcuno dice che sia un Angelo. E sorgono così discussioni che risentono della sensibilità del tempo, ma che a noi dicono poco. Così l'autore biblico ricorda che la maestà del Figlio è più grande della gerarchia celeste e garantisce la sua superiorità tra gli angeli. Esiste, infatti, un abisso tra loro poiché egli ha un "nome" molto superiore, ovvero un valore unico e quindi un ruolo diverso, non paragonabile a quello di qualunque angelo. È per questo motivo che, fin da quando entra nel mondo, si dice di lui: "Lo adorino tutti gli angeli di Dio". Il senso profondo del Natale è lo stupore di accorgerci che Dio mostra attenzione e cura del mondo, non lo disprezza, non lo giudica, ma manda il Figlio suo perché il cuore di ciascuno sia rigenerato nella speranza e collabori con Gesù alla ricostituzione di una creazione sempre nuova e sempre grande. La purificazione, che Gesù fondamentalmente ha recuperato per il mondo, va continuamente richiamata, maturata nella libertà di ciascuno, quindi, riproposta nel mondo. Così la bellezza e la trasparenza delle cose, collaborando con la forza e la debolezza di Gesù, tornino, anche attraverso la nostra partecipazione, a risplendere.
Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 1-14
Il racconto del Natale ci viene trasmesso da S. Luca con la preoccupazione di offrirci un messaggio grandioso, nonostante siano semplici e poetiche le linee narrative di quei 20 versetti del 2° capitolo (la liturgia ci fa leggere, in questa messa, solo i primi 14 versetti).
Luca vuole rispondere a tante domande che i cristiani del suo tempo gli fanno su Gesù, la proposta e la potenza di Dio, la salvezza, la credibilità del messaggio evangelico. E' troppo importante non deludere le aspettative. Gesù infatti pone troppi problemi rispetto alla potenza romana, alle attese e alla liberazione. Che cosa sperare in un uomo che viene crocifisso? E mentre davanti a lui tutti fuggono, perché il cielo resta muto?
La nascita di Gesù anticipa tutti gl'interrogativi poiché vi si ritrovano le povertà, i silenzi del cielo, le esclusioni degli uomini, le solitudini, i pericoli, le attese e la gioia propria dei poveri che sentono la "buona notizia", portata da Gesù.
Il racconto di Luca si divide in tre parti molto precise e il testo greco (il Vangelo fu scritto in greco) inizia ogni parte con la parola. "Avvenne che...".
* "Avvenne che " (Lc2,1-5): i precedenti e le occasioni della nascita a Betlemme mettono in primo piano il potere di Roma: Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Così il comando di un sovrano lontano, pagano e dominatore, impegna il popolo di Dio in scelte e obblighi che definiscono il potere di Roma. Un censimento si faceva non certo per interesse scientifico e statistico, ma per motivi economici (tasse da far pagare) e militari (strutturare l'esercito). E al popolo ogni censimento ricordava diffidenza e castighi poiché anche il grande re Davide (circa 1000 anni prima) aveva preteso di fare un censimento, ma ne erano derivate pestilenza e morte. Il censimento rappresentava un gesto volgare di supremazia e di potere. Davide si rese conto, si pentì e divenne, comunque, grande poiché Dio aveva sorretto il suo trono e il suo popolo (2Samuele 24).
* "Avvenne che" (Lc.2,6-14): A Betlemme nasce Gesù. I due giovani sposi, immigrati e sconosciuti, arrivano in questo piccolo e famoso paese, ma non sono accolti nella convivenza umana, poiché circostanze e povertà, probabilmente, non permettono un alloggio più comodo. Il racconto moltiplica i richiami della umanità e della povertà: un bambino, avvolto in fasce, è deposto in una mangiatoia perché non c'era posto per loro nell'albergo. E il Natale è tutto qui, ridotto anche dall'evangelista in un mondo di esclusi e di poveri disorientati. Ma Luca vuol chiarire che questo bambino è seguito dallo sguardo misericordioso di Dio che raggiunge i lavoratori della notte, i poveri del tempo. La sua nascita è insignificante, ma agli occhi e nei progetti di Dio questa presenza è formidabile. Arricchisce e rinnova tutta la speranza d'Israele. " Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo Signore".
* "Avvenne che" (Lc.2,15-20): Allora i pastori decidono di andare a cercare " questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". E si mettono in viaggio, nella notte, mentre il Signore li aiuta a cercare. Trovano veramente un bambino che giace in una mangiatoia. Eppure non si disorientano ma il segno della umanità respinta e della povertà fa loro intuire che il messaggio è vero. Dio ha visitato il suo popolo. E si fanno annunciatori a Giuseppe e Maria, alla gente che incontrano, ai loro amici di lavoro. E, segno della presenza del Signore, tornano glorificando e lodando Dio.
Così il testo di Luca racchiude in sé tutta la problematica del nostro rapporto con Gesù.
- Egli nasce nel tempo della violenza e del sopruso dove si crede che la soluzione della vita sia la prepotenza e il dominio.
- Nella culla della sopraffazione che rende animali gli uomini, nasce colui che restituirà dignità di figli di Dio e nasce nell'anonimato. Ma Dio non sa nascondere la speranza ai poveri perché la salvezza verrà da Gesù e dai poveri che avranno il coraggio di seguirlo.
- E i poveri (i pastori sono gli esclusi della comunità religiosa ebraica, i senza Dio, i lontani dalla fede perché profanatori del sabato), anzi i peccatori scoprono la salvezza perché Dio li ha chiamati ed essi vanno a verificare e a portare gioia. Là dove tutti trovano desolazione, normalità, sfiducia, essi trovano segni, racconti di speranza, novità impensabili.
Una piccola annotazione: un tempo si leggeva: "Gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà,"
mettendo l'accento sul merito delle persone. La traduzione nuova dice: "Gloria a Dio e pace agli uomini che egli ama" svelando la scelta universale che Dio fa di tutti. E' praticamente un messaggio capovolto. Il Natale è dono a tutti e non solo a qualche brava persona. E' il segno dell'amore gratuito di Dio e, insieme, l'inizio della conversione dei nostri criteri di credenti.