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TESTO Una domanda inquietante e stupenda

mons. Antonio Riboldi

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/06/2004)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

Se c'è una cosa che ci piacerebbe tanto è che tutti quelli che ci sono vicini potessero conoscerci per quello che veramente siamo, senza "mi sembra", senza "mi pare", o, peggio ancora, buttando là un giudizio che demolisce ciò che certamente siamo. Ed anche noi, quando nel silenzio siamo di fronte a noi stessi, come guardandoci nella profondità del cuore, là dove solo il Padre può dirci la verità, il più delle volte, diciamolo francamente, non sappiamo chi siamo.

La gente ci giudica per le esteriorità: perché siamo belli o brutti, ricchi o poveri, importanti o sconosciuti: ma il giudizio si ferma alla apparenza, che proprio non è il metro di giudizio.

C'è gente che si esalta quando sente qualcuno che lo apprezza per quello che ha o appare: come il ricco, il famoso; ma è una esaltazione che agli occhi di Dio, il Giusto, può cambiare, e negativamente.

Sentivo dire un giorno, al passaggio di una persona molto ricca: "Quello è un uomo felice e fortunato; ha tutto quello che si può desiderare".

In quella stessa persona, incontrandola per caso, e fissandola negli occhi, notai una immensa tristezza, come fosse il più miserabile.

"Deve essere una persona insignificante", sentii di uno che si trascinava ogni giorno verso chiesa, per assistere alla S. Messa. Aveva un'aria dimessa, come fosse l'ultimo della stupida scala dei valori del mondo.

Conoscendolo da vicino, rimasi incantato dallo sguardo, fissava l'altare, sembrava contenesse la felicità di un colloquio con Dio ed ancora più mi impressionò nel vederlo salutare e porgere il suo aiuto ad un povero. Era lo stesso sguardo che avevo visto in Chiesa. "E' un santo" mi dissi.

Quanta gente ho creduta amica e non lo era. Quanti ho incontrati che sembravano indifferenti ed erano grandi amici. Quanti vidi dall'aria dimessa ed erano santi.

Tutti abbiamo applaudito il pontificato di Giovanni XXIII per la sua umanità e dolcezza e santità e semplicemente lo chiamavano con un titolo: "Papa buono". Ho avuto la gioia di accostare il grande Paolo VI, che per tanti appariva come uomo incerto, chiuso, incapace quasi di sorridere. Mi stupì il giorno che, recandomi da lui con i bambini del Belice, per dirgli come stavamo male nelle baracche, vidi da vicino, la dolcezza, il sorriso, il suo cuore immenso. Come è difficile conoscere l'uomo: e anche conoscersi, noi, che facilmente ci facciamo ingannare dalle facili luci del palcoscenico, o ci confrontiamo con i falsi giudizi del mondo. Quando rientriamo in noi stessi, in un momento di verità, diciamocelo francamente, non sappiamo chi siamo!

Gesù un giorno volle sapere cosa pensassero di Lui coloro che Lo seguivano. Da quella risposta poteva intuire la ragione, il perché Lo seguivano, ma soprattutto la sua vera identità, così difficile, senza il dono della fede, da vedere.

"Un giorno, racconta Luca, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: "Chi sono io secondo la gente?". Essi risposero: "Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elìa, per altri uno degli antichi profeti che è risorto". Allora domandò: "Ma voi chi dite che io sia?". Pietro, prendendo la parola rispose: "Il Cristo di Dio". Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno". In un altro vangelo la risposta di Gesù a Pietro è: "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non hai scoperto questa verità con forze umane, ma essa ti è stata rivelata dal Padre mio che è in Cielo. Per questo ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. E nemmeno la potenza della morte potrà distruggerla. Io ti darò le chiavi del Regno di Dio, tutto ciò che tu sulla terra dichiarerai proibito sarà proibito anche in cielo, tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo" (Mt. 16, 17-20).

Se è difficile "entrare nel mistero di noi stessi", che solo Dio sa svelare, occorre il dono della fede per conoscere Gesù. Ma qui conoscere vuol dire entrare nel cuore, farsi attirare da Gesù, in un abbandono totale che è come farsi scrivere a caratteri eterni, sul libro aperto del nostro cuore, chi Lui veramente è.

Quando noi incontriamo una persona e a quella persona ci leghiamo con il meraviglioso dono dell'amicizia, la prima cosa che chiediamo è quella di poterla conoscere in profondità e farci conoscere, ma fino in fondo, senza alcuna ombra; perché le ombre in questo caso sono dannose, non aiutano l'amicizia.

Conoscere una persona è gustare la felicità. E' Gesù stesso che nell'ultima cena insegna questo segreto.

"Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: morire per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quello che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché lo schiavo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre" (Gv. 15,12-16).

Prima di fare questa solenne affermazione, incredibile affermazione di amicizia, Gesù aveva scelto i suoi e li aveva fatti partecipi della sua vita. Non quindi una di quelle che, impropriamente, chiamiamo amicizia, ma che sono solo una vampata di sentimenti che finiscono presto in una manata di cenere, che fa male.

Qui Gesù chiede uno stare con Lui, un farsi riempire dalla sua conoscenza. Chiede frequenza, che è nella meditazione, nella lettura della Sua Parola, nella affascinante preghiera, incredibile dialogo con Lui, vera relazione che aumenta l'amicizia. Fino a farsi riempire di Lui, che è la santità. Conoscevo un carissimo confratello, Padre Clemente Rebora, grande scrittore convertito, che passava quasi l'intera giornata in colloquio con Gesù ed ogni volta incontrava un tabernacolo, si gettava ai suoi piedi, quasi usciva da questa terra ed era difficile riportarlo alla realtà.

La domanda che Gesù fece ai suoi, la fa necessariamente oggi a tutti noi, che ci chiamiamo cristiani. E chiede una risposta chiara, da amici. Cosa diremmo di Lui. Fino a che punto è la nostra vita? Oppure è solo un titolo di appartenenza esteriore, ma che nulla ha a che fare con l'amicizia, la conoscenza?

E fa veramente male, se non scandalo, incontrare gente di Cristo, o almeno così diciamo di essere, con comportamenti che sono la negazione della amicizia. "Vi chiamo amici se osservate i miei comandamenti".

Qui è la nostra crisi. Crisi di conoscenza e quindi di vera amicizia, che non ci fa assaporare la felicità immensa che viene da questa incredibile relazione con Dio.

Vorrei pregare con voi con la preghiera di una grande amica di Gesù, Madre Teresa di Calcutta: "Signore Gesù, sei la vita che voglio vivere, il cammino che conduce al Padre, l'amore che voglio amare, la gioia che voglio condividere, la gioia che voglio seminare attorno a me.

Gesù, tu sei tutto per me: senza di te non posso fare nulla. Tu sei il pane di vita che la Chiesa mi dà. E' per te, con te, in te che posso vivere. Ti ho trovato in tanti posti, Signore ho sentito il battito del tuo cuore nella quiete perfetta dei campi, nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota, nell'unità di mente e di cuore di una assemblea di persone che ti amano.

Ti ho trovato nella gioia, dove ti cerco e spesso ti trovo. Ma sempre ti trovo nella sofferenza. La sofferenza è come il rintocco della campana che chiama la sposa di Dio alla preghiera. Ti ho visto nella sublime accettazione e nell'inspiegabile gioia di coloro la cui vita è tormentata dai dolori. Ma non sono mai riuscita a trovarti nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri. Nella mia fatica ho lasciato passare utilmente il dramma della tua passione redentrice e la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata dal grigiore della mia commiserazione. Signore, io credo. Ma aiuta la mia fede".
Meravigliosa risposta alla domanda "Chi sono io per te?".

E Madre Teresa spiega questa preghiera in un racconto della sua vita. "Una volta mi capitò di prendere un uomo coperto di vermi. Mi ci vollero delle ore per lavarlo e togliergli uno ad uno tutti i vermi dalla carne.

Alla fine mi disse: "Sono vissuto come un animale, per le strade: ma ora mi sento un angelo e morendo mi fece un bel sorriso".

Quell'ineffabile sorriso che conoscono quanti sanno rispondere rettamente alla domanda di Gesù: "Io chi sono per voi?".

 

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