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TESTO Umità (e preghiera) anticamera della fede

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/10/2013)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Scriveva marcel Aymè che "l'umiltà è l'anticamera di tutte le perfezioni e senza di essa le virtù sono vizi". L'autore fa eco a sant'Agostino, che considera l'umiltà superiore per tre volte a tutte le altre virtù esistenti: "L'umiltà è il fondamento di tutte le virtù, e nelle anime dove essa non è presente, non vi può essere nessun'altra virtù, se non di pura apparenza. Allo stesso modo, l'umiltà è la disposizione più propria per ricevere tutti i doni celesti. È tanto necessaria per raggiungere la perfezione, e tra tutte le vie per arrivare alla perfezione la prima è l'umiltà, la seconda è l'umiltà, la terza è l'umiltà".

Altri personaggi illustri ribadiscono lo stesso concetto, delineando come da questa virtù scaturiscono obbedienza, timore, rispetto, pazienza, la mansuetudine e la pace (S. Tommaso di Villanova) e sia proprio essa la radice della serenità e della gioia.

Sarebbe molto esaltante se ci soffermassimo a considerare anche una sola persona che tende a fuggire primati e vanità, che si contenti di fare il proprio con dignità e decoro senza vane pretese, e ci renderemmo conto che non vi è altra virtù più nobile che sia capace di guadagnarci serenità, pace con noi stessi assieme all'ammirazione spontanea degli altri. Una persona umile, appunto perché fugge l'idolatria di se stesso, la presunzione, l'arroganza, non ha nulla a cui aspirare, nulla per cui affannarsi nelle competizioni con gli altri. Non ha nessun motivo di covare rancori e inimicizie, perché proprio la semplicità e la mitezza gli hanno procurato il rimedio contro le tensioni e le inimicizie con gli altri ed è pertanto sensibile e pacifico. L'affrancamento dal falso orgoglio e dalla presunzione lo conduce ad avere più considerazione verso il prossimo e ad usare ottimismo e risolutezza e questo consegue la vera carità e la donazione di se stesso. Chi non si esalta è in grado di obbedire con mansuetudine e di servire con abnegazione e trova la felicità nella semplice constatazione di essere davvero utile agli altri.

Ridicolo è invece l'ammazzasette che ostenta orgoglio e presunzione per i propri meriti, sbandierando con pavoneggiamento le proprie virtù ed esercitando queste semplicemente per ottenere plauso e approvazione. Nella sua falsità smentisce perfino le virtù che vorrebbe palesare.

In definita, l'umiltà, anticamera delle perfezioni, è la porta aperta verso la fede, la speranza e la carità ed è la prima condizione per essere graditi a Dio.

Anche la preghiera, espressione della fede, inizia con l'umiltà. Quale orazione potrebbe mai essere ben accetta al Signore quando sia motivata dalla tracotanza e dalla presunzione, quale preghiera potrà mai essergli gradita quando ad essa è affinata la malizia e l'affezione al peccato?

E' da ipocriti rivolgersi al Signore quando albergano in noi sentimenti meschini o quando la nostra coscienza non sia effettivamente monda intorno a possibile mancanze verso il prossimo. Non possiamo pretendere di essere ascoltati da Dio, né tantomeno dobbiamo aspettarci delle grazie o dei favori particolari, quando la coscienza ci rimprovera pecche e lacune spirituali che non abbiamo mai voluto colmare. In casi come questi la preghiera diventa un fatto egoistico e interessato, che mira unicamente ad accattivarci la presunta amicizia di Dio. Dice San Giacomo nella sua bellissima Lettera: "Voi chiedete (a Dio) e non ottenete, perché chiedete male, con l'intento di delapidare."

La preghiera umile e attenta è invece quella dell'ammissione delle proprie colpe davanti a Dio e della volontà ferma di emendamento. Osserviamo la duplice attitudine alla preghiera che il brano di Vangelo odierno ci presenta: il fariseo, gonfio di orgoglio e di presunzione, omette di considerare perfino il fatto che in quel momento sta esaltando se stesso paragonandosi al pubblicano che prega accanto a lui: traccia delle linee di paragone fra se stesso e il suo vicino, senza per nulla considerare che tale attitudine costituisce già peccato essa stessa: "Ti ringrazio, Signore perché non sono come questo pubblicano". Perché si vanta di non essere come lui? Non perché abbia tante virtù encomiabili, ma semplicemente perché osserva prescrizioni di rito esteriore, si attiene a normative rigorose e tassative, roboante per il solo fatto di conoscerne tutto il codice.

Una preghiera altezzosa e tronfia, la cui vanità è tuttavia controproducente: Dio non ascolta e anzi prende le distanze.

Diversa invece è l'orazione rivolta da parte di chi è abitualmente propenso a gabbare i suoi interlocutori con la riscossione delle tasse, depredando spesso i contribuenti di ingenti somme di denaro, quale è un pubblicano ai tempi di Gesù. Egli, ben consapevole di non essere neanche degno di accostarsi all'altare di Dio perché colpevole di gravi misfatti di latrocinio, non osa rivolgere richiesta alcuna al Signore al di fuori di questa: "Abbi pietà di me peccatore". E' preoccupato di considerare la propria nequizia e l'indegnità di stare davanti al Signore e per questo addirittura evita di chiedere grazie o favori divini particolari. Come posso io ricomparire davanti ad un amico che in precedenza ho gravemente offeso per chiedergli adesso un favore importante? Non è da falsi millantatori ostentare subdola umiltà interessata nei confronti di quanti abbiamo oltraggiato e vituperato? Tale è il pensiero di questo sconosciuto pubblicano che neppure osa sollevare lo sguardo verso l'alto, riconoscendosi falso e ipocrita nei confronti di Colui che ha più volte offeso e dileggiato con il peccato.

La sua umiltà è tuttavia giudicata pari al peccato commesso, la contrizione che manifesta, il dolore per le sue colpe sottende anche alla volontà di porvi rimedio e pertanto la sua preghiera viene ascoltata ed esaudita. Dio gli concede il perdono richiesto (è giustificato) ma certamente gli otterrà anche ciò che non aveva osato domandare. A differenza del pubblicano, che ha perduto tempo profanando il tempio del Signore con la propria autoesaltazione e con il giudizio improprio di condanna rivolto al compagno accanto.

Nella nostra attività orante siamo soliti considerare noi stessi davanti a Dio, sempre e comunque, come peccatori? Siamo soliti iniziare la nostra preghiera quotidiana con la richiesta di perdono a Dio per le nostre manchevolezze, errori e imperfezioni? O ci rivolgiamo al Signore solamente per domandare questo o quel beneficio?

Se la preghiera non inizia con l'umiltà e se questa non è realmente identica quale fuga dall'ipocrisia e dalla presunzione e non si esterna nell'ammissione dei propri peccati, probabilmente non è neppure preghiera. E se l'umiltà è l'anticamera delle perfezioni, non può non essere che l'anticamera della nostra fede, che ci conduce ad essere perfetti e irreprensibili come il Padre sulle orme di Cristo.

 

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