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TESTO Nessuno può servire due padroni

mons. Gianfranco Poma

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/09/2013)

Vangelo: Lc 16,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

È comunemente accettato, oggi, che Luca, di origine pagana, prima di essere diventato discepolo di Gesù Cristo, si è accostato alla Sinagoga, e si è familiarizzato con le Scritture ebraiche. Si spiega così il fatto che la sua narrazione risenta della conoscenza della Bibbia nella versione greca dei LXX e delle regole dell'esegesi ebraica, arrivando ad una nuova presentazione del Vangelo, che denota una prossimità con la teologia paolina, all'interno di una visione della teologia del "pagano-cristianesimo". Non ha una risposta definitiva la domanda sul luogo della composizione del Vangelo di Luca: Efeso, Antiochia, l'Acaia, la Macedonia, Roma... Questa indecisione è rivelatrice dell' universalità dell'autore e della sua opera: gli scritti di Luca (Vangelo e Atti), a differenza di Matteo e Marco, non sono destinati ad una comunità dai contorni identificabili con precisione, ma piuttosto al "mondo nuovo" che l'annuncio evangelico sta generando. Anche sotto questo aspetto, Luca ci è di esempio: la sua è l'opera dell' "evangelizzatore" che annuncia il Vangelo al mondo, facendolo uscire dai confini dell'ebraismo (che non dimentica perché ne rimane la radice essenziale) per essere, come per Paolo, l'annuncio della gratuità infinita dell'Amore di Dio che si è rivelato nella Croce di Gesù per il mondo intero. In Luca, come in Paolo, il Vangelo incontra il mondo e lo trasforma: è l'Amore di Dio che si incarna nella concretezza del mondo e lo fa nuovo. Il Vangelo di Luca ci è esempio dell'opera di "inculturazione" che il mondo (villaggio globale) completamente cambiato attende oggi, da noi. Per Luca se il Vangelo non si "incultura" non è vero: Dio si incarna nella carne di Maria. Eppure egli sa che nessuna cultura esaurisce il Vangelo: così se tra gli evangelisti è quello che insiste maggiormente sulle implicazioni etiche della fede (diventare discepoli comporta la trasformazione concreta della vita), al tempo stesso con grande chiarezza insiste sulla radicalità profetica della fede. Non c'è Vangelo che non si inculturi, ma non c'è cultura che esaurisca la fede e si identifichi con essa: è incancellabile questa dinamica dialettica tra fede e storia, tra profezia ed istituzione, tra "il già e il non ancora"... Perché il Vangelo entri nel mondo e lo vivifichi è necessario che sia viva la radicalità della sua forza inesauribile e trascendente.

In questa luce possiamo leggere il brano che la Liturgia ci presenta nella domenica XXV del tempo ordinario (Lc.16,1-13).

Nel programma culturale-etico di Luca la componente socio-economica occupa un ruolo preponderante: per lui, il corretto uso dei beni è visibilmente un problema centrale. Non è difficile percepire che l'intenzione di Luca è di annunciare il Vangelo ad una comunità cristiana ricca o piuttosto di interpellare i ricchi che sono all'interno di una comunità cristiana alla quale sono rivolti i suoi scritti.

Così la Beatitudine rivolta ai poveri in Matteo, in Luca diventa: "Beati, voi, poveri" e "Guai a voi, ricchi" (Lc.6,20). La rinuncia radicale ai beni e la rottura dei legami familiari è condizione necessaria per essere discepoli di Gesù.

Ai discepoli che fanno parte della comunità cristiana immersa in un mondo ricco, Luca ricorda una parabola di Gesù che prende lo spunto, come sempre, dalla concretezza di ciò che accade nella vita: si tratta di relazioni personali, di dialoghi, di scambi di parole, attraverso i quali si realizza una logica che il commento "scandalizzante" del "Signore" mette in evidenza.

"Un uomo ricco aveva un amministratore...": l'intrigo si svolge attraverso le denuncie anonime contro di lui, il preavviso di licenziamento da parte del proprietario, il monologo dell'amministratore, il dialogo con i debitori, con la conclusione: "E lodò il Signore l'amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza".

La spiegazione di alcuni commentatori, nell'intento di attutire l'aspetto "scandaloso" del commento finale, ritiene che l'amministratore, facendo riscrivere i debiti, non derubasse il proprietario, ma rinunciasse al guadagno previsto per il proprio lavoro. Questa spiegazione sembra, in realtà contraddire l'intenzione della parabola: all'inizio dice che l'amministratore "dilapidava i beni" dell'uomo ricco e alla fine lo qualifica come "amministratore disonesto" (letteralmente amministratore della "ingiustizia") descrivendolo così come la figura tipica dei "figli di questo mondo" opposto ai "figli della luce".

Come, dunque, interpretare la parabola e l'elogio finale del "Signore" per l'amministratore disonesto che ha agito con abilità? È certamente di Gesù (o di Luca) il commento: "I figli di questo mondo sono più abili verso i loro simili di quanto lo siano i figli della luce" ed è questa la chiave interpretativa del messaggio evangelico.

Alla comunità cristiana immersa nel mondo, alle persone ricche presenti nella comunità, Luca coerentemente con tutta la sua impostazione richiama la radicale inconciliabilità della logica del mondo con la logica di Gesù: è necessaria una scelta fondamentale. Nel v.13 dirà: "Nessun domestico può servire due padroni: o odierà uno e amerà l'altro, o si attaccherà a uno e disprezzerà l'altro. Voi non potete servire Dio e la ricchezza". Il rischio dal quale Luca vuol mettere in guardia la sua comunità (e noi, oggi) è di non saper prendere una decisione chiara: è illusorio seguire la logica del mondo e cercare semplicemente di moralizzarla o pensare di seguire Cristo non staccando il cuore dalla logica del mondo.

L'elogio del "Signore" per l'amministratore disonesto è per la coerenza con la logica della sua scelta: ha scelto il suo bene e lo persegue con lucida scaltrezza.

Questo elogio non può non risuonare come un forte richiamo per la comunità cristiana (per la nostra, oggi): ha fatto veramente la scelta di Gesù, di seguire lui, nel radicale distacco dai beni e dalla ricchezza, oppure si aggira in una confusa e mediocre indecisione tra le due logiche?

La parabola ha scosso fortemente i primi cristiani che ad essa hanno aggiunto alcune parole di Gesù per concretizzarne ulteriormente l'applicazione. Luca non è contro la ricchezza ma è contro l'idolatria della ricchezza che affascina gli uomini: farne un fine e delegare ad essa il senso della vita. Egli continua il messaggio del cap.14: la scelta radicale di Cristo, il cuore nuovo, l'Amore, rende liberi per vivere e dar senso a tutto senza essere schiavi di niente.

Se l'amministratore infedele ha saputo servirsi della ricchezza per assicurarsi il suo domani, i discepoli di Cristo ne usano per "la vita eterna", che è la comunione, la comunità fraterna, la condivisione, l'Amore che è già vita di Dio.

Ai responsabili dell'autenticità della comunità cristiana nascente, in un mondo ricco, incaricati della bellezza della vita nuova portata da Gesù, della reale fraternità fatta di relazioni d'amore, Luca ricorda che, la ricchezza, quando diventa un idolo, è l'ostacolo più grande ad una vita d'Amore. Dio affida l'amministrazione dei suoi beni (la sua grazia, il suo Amore) a chi non è aggrappato ad idoli.

E Luca ricorda alla sua comunità, a chi è nella casa del Padre, che Dio non è nemico della ricchezza, ma la sua idolatria è incompatibile con la fiducia in Lui. La casa del Padre è casa fraterna: la comunione, la fraternità, la condivisione è la via concreta attraverso la quale passa la libertà dei figli di Dio, che "servono" Lui solo.

Ma con estrema chiarezza, Luca richiama noi, oggi: "non si può servire due padroni!" Noi, chi serviamo?

 

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