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TESTO Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?

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II domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (08/09/2013)

Vangelo: Mt 21, 28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,28-32

28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

La pericope odierna fa parte di una trilogia di parabole, dette "di rottura", pronunciate da Gesù dopo il trionfale ingresso in Gerusalemme e nelle quali si ha il confronto-scontro decisivo tra il Nazareno e i capi giudaici.

Le tre parabole fanno immediatamente seguito all'episodio in cui Gesù, che si trova nel tempio di Gerusalemme ad insegnare, viene avvicinato dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo, che vogliono sapere da lui con quale autorità egli esercita il suo ufficio di maestro; e il Figlio di Dio, visto che essi non osano prendere posizione su Giovanni Battista, suo precursore, non dà loro alcuna risposta e, a sua volta, propone il primo racconto parabolico.

Ora, la parabola consiste in un'interessante forma di strategia comunicativa, spesso utilizzata da Gesù, che la mette in atto quando si trova di fronte ad interlocutori troppo condizionati dai loro pregiudizi o troppo sicuri di sè per accettare di mettersi in discussione.

Essa si compone di due momenti. Il primo consiste in un racconto fittizio, ma molto verosimile, tratto dall'esperienza quotidiana e condotto secondo una logica stringente che coinvolge l'ascoltatore, portandolo ad esprimere un giudizio equilibrato e oggettivo.

Nella seconda fase il narratore trasferisce il racconto fittizio alla realtà dell'interlocutore in forza di un'analogia di struttura che il soggetto interessato non può più negare, prendendo atto così che il precedente giudizio da lui formulato si applica magari proprio alla sua persona!

Estremamente eloquenti a questo proposito sono nell'Antico Testamento l'episodio di Davide e Natan (2 Samuele 12) e nel vangelo quello di Gesù e Simone il fariseo narrato da Luca al cap.7 (vv.36-47). Ma anche nel brano di questa liturgia festiva possiamo constatare l'efficacia del metodo parabolico.

Il racconto è molto stringato, essenziale: un uomo, proprietario di una vigna, ha due figli, che si comportano in modo opposto; il primo obbedisce a parole, ma poi non fa nulla; il secondo dapprima risponde negativamente al comando del padre di andare a lavorare nella vigna, "ma poi, pentitosi, ci andò" (v.30). Il Nazareno chiede ai suoi interlocutori chi dei due ha veramente compiuto la volontà del padre e la risposta, logica e conseguente, è che solo il secondo figlio lo ha fatto.

A questo punto Gesù attua la successiva fase della sua strategia. Si rivolge direttamente a sacerdoti ed anziani facendo chiaramente capire loro che nel raccontino parabolico il padre rappresenta Dio e i due figli le due categorie di uomini nelle quali è divisa la società secondo il pensiero religioso giudaico: gli "eletti", i "chiamati", tutti quelli che avevano risposto positivamente al Dio dell'Alleanza, ma senza impegnarsi in una vera conversione del cuore; e gli indifferenti alla Legge, o addirittura i "peccatori", che, come il secondo figlio della parabola, erano ufficialmente e formalmente trasgressori della Legge di Dio, ma in realtà avevano ascoltato e creduto alla predicazione di Giovanni Battista prima e di Gesù dopo, si erano convertiti e avevano cambiato vita, adempiendo così di fatto alla volontà di Dio espressa nell'insegnamento di Gesù.

Le parole del Messia sono piuttosto dure, anzi scandalose, tanto che solo Matteo ha conservato l'espressione "i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio" (v.31); gli altri evangelisti l'hanno lasciata cadere.

Perché invece il primo evangelista l'ha mantenuta? Perché esprime in modo lampante una precisa presa di posizione di Gesù: egli non elogia certo pubblicani e prostitute in quanto tali, e in quanto pubblici peccatori, ma come persone che, di fronte a Cristo, hanno preso coscienza del loro peccato e hanno avuto la forza e il coraggio di convertirsi, cambiare vita e lasciare la vecchia strada peccaminosa. E' questo che Gesù vuole, che ogni suo seguace prenda coscienza del suo status di peccatore; perché, come ha affermato chiaramente S.Paolo, "non c'è distinzione: tutti hanno peccato" (Rom.3,22-23)

Quanto ad anziani e sacerdoti, si sono già giudicati da sé, dal momento che Gesù mostra chiaramente che a loro alludeva il primo figlio della parabola, obbediente solo a parole. "Voi - conclude Gesù - pur avendo visto queste cose, ( = pubblicani e prostitute che hanno creduto a Giovanni Battista) non vi siete nemmeno pentiti per credergli" (v.32); e tanto meno hanno creduto al Nazareno.

Il primo livello della parabola (quello storico del tempo di Gesù) è evidentemente un atto di accusa nei confronti dei capi giudaici che solo a parole, formalmente, hanno aderito alla chiamata di Dio, e soprattutto non hanno riconosciuto la salvezza portata dal Messia.

Quando poi Matteo redige il primo vangelo, siamo già oltre la metà del I° secolo e l'insegnamento della parabola ha come destinatari quei cristiani che si accontentavano di una dichiarazione puramente verbale e teorica della loro fede; questo è un punto su cui Matteo insiste molto: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli." (Mt.7,21).

Inoltre nel 49 d.Cr. il Concilio di Gerusalemme aveva decretato l'ingresso nella comunità cristiana dei convertiti provenienti dal paganesimo, senza che dovessero necessariamente passare attraverso il giudaismo; e questo aveva provocato la defezione di molti giudei convertiti, mentre i pagani accoglievano in massa il vangelo e dunque "passavano avanti ai giudei nel regno di Dio" (cfr. Matteo 21,31).

E oggi, come può essere letta la parabola? Ovviamente rimane sempre valida la denuncia del formalismo, che tuttavia subdolamente può tradursi nelle espressioni che capita di udire abbastanza spesso: "Ma che male ho fatto? Io sono onesto, lavoro, ho cura della mia famiglia, non rubo, non rapino e non uccido..." Chi parla così ha già stabilito a priori che cosa è importante e che cosa non lo è; è graniticamente sicuro della sua non colpevolezza; il formalista infatti si sente perfetto, inattaccabile, giusto di fronte a Dio e agli uomini. Non si lascia interrogare e scuotere da nulla e nessuno: né dalla Parola e dalla voce stessa di Dio (= coscienza), né dalla Chiesa.

E questa tentazione di autogiustificazione è in agguato per tutti, è un rischio possibile sia a livello personale che istituzionale. Prendiamone atto allora e chiediamo sempre Dio di donarci la presa di coscienza del nostro peccato!

 

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