TESTO Commento su Siracide 3,19-21.30-31; Salmo 67; Ebrei 12,18-19.22-24; Luca 14,1.7-14
mons. Vincenzo Paglia Diocesi di Terni
XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/09/2013)
Vangelo: Sir 3,19-21.30-31; Sal 67; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14
Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Introduzione
"Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato". I grandi maestri dicono che sarebbe meglio non darsi subito come obiettivo l'umiltà. Fissare questo obiettivo fin dall'inizio, significa scivolare impercettibilmente verso una sottile "sufficienza". Ciò può portare in seguito ad una eccessiva considerazione di se stessi, mentre l'umiltà consiste essenzialmente nel volgere il proprio sguardo al di fuori di se stessi, verso Gesù e verso le grandi realtà della fede, come la grandezza di Dio e la piccolezza dell'uomo, l'eternità e la limitatezza del tempo, la speranza del paradiso e la minaccia proveniente dalle nostre debolezze, la bellezza della santità e l'orrore del peccato.
"Chi si umilia sarà esaltato". Per diventare umili, bisogna cominciare ad amare. È quello che ha fatto Gesù. L'amore misericordioso l'ha fatto scendere dal cielo. L'amore l'ha spinto sulle strade della Palestina. L'amore l'ha condotto a cercare i malati, i peccatori, i sofferenti. Lo stesso amore l'ha portato, senza indugi, alla sua meta, il Calvario, dove "umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8).
L'umiltà è stata la forma esteriore della sua carità divina e il suo accompagnatore esterno. L'umiltà è stata un atteggiamento proprio della santa Madre che, per la sua purezza, fu a Dio gradita e, per la sua umiltà, attirò Dio a sé, perché Dio "resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia" (Gc 4,6). Maria era umile perché amava la volontà di Dio e delle persone che erano intorno a lei.
"Chi si umilia sarà esaltato". Come possiamo noi mettere in pratica questa frase del Vangelo? Dovremmo darci come obiettivo la carità primordiale del Vangelo e cercare di servire tutti quelli che incontriamo. Ogni persona è nostro Signore, e in ognuna di esse noi abbiamo il privilegio di servire Gesù.
Omelia
L'inizio del Vangelo di questa domenica ci aiuta a correggere un pregiudizio assai diffuso: "Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo". Leggendo il Vangelo da una certa angolatura, si è finito per fare dei farisei il prototipo di tutti i vizi: ipocrisia, doppiezza, falsità; i nemici per antonomasia di Gesù. Con questi significati negativi, il termine fariseo e l'aggettivo farisaico è entrato nel vocabolario della nostra e di molte altre lingue.
Una simile idea dei farisei non è corretta. Tra di essi c'erano certamente molti elementi che rispondevano a questa immagine, ed è con essi che Cristo si scontra duramente. Ma non tutti erano così. Nicodemo, che va da Gesù di notte e che più tardi lo difende dinanzi al Sinedrio, era un fariseo (cfr. Gv 3,1; 7, 50 s.). Fariseo era anche Saulo prima della conversione, ed era certamente persona sincera e zelante, anche se ancora male illuminata. Fariseo era Gamaliele che difese gli apostoli davanti al Sinedrio (cfr. At 5, 34 ss.).
I rapporti di Gesù con i farisei non furono soltanto conflittuali. Condividevano spesso le stesse convinzioni, come la fede nella risurrezione dei morti, sull'amore di Dio e del prossimo come primo e più importante comandamento della legge. Alcuni, come nel nostro caso, lo invitano perfino a pranzo in casa loro. Oggi si è d'accordo nel ritenere che non furono tanto i farisei a volere la condanna di Gesù, quanto la setta avversaria dei Sadducei, cui apparteneva la casta sacerdotale di Gerusalemme.
Per tutti questi motivi, sarebbe altamente auspicabile che si smetta di usare i termini fariseo o farisaico in senso dispregiativo. Ne guadagnerebbe anche il dialogo con gli ebrei che ricordano con con grande onore il ruolo svolto dalla corrente dei farisei nella loro storia, specie dopo la distruzione di Gerusalemme.
Durante il pranzo, quel sabato, Gesù diede due insegnamenti importanti: uno rivolto agli invitati, l'altro all'invitante. Al padrone di casa, Gesù disse (forse a quattrocchi, o in presenza dei soli discepoli): "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini..." Così ha fatto lui stesso, Gesù, quando ha invitato al grande banchetto del Regno poveri, afflitti, miti, affamati, perseguitati (le categorie di persone elencate nelle Beatitudini).
Ma è su ciò che Gesù dice agli invitati che vorrei soffermarmi questa volta. "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto...". Gesù non intende dare consigli di buona creanza. Neppure intende incoraggiare il sottile calcolo di chi si mette all'ultimo posto, con la segreta speranza che il padrone gli faccia cenno di salire avanti. La parabola qui può trarre in inganno, se non si pensa di quale banchetto e di quale padrone Gesù sta parlando. Il banchetto è quello più universale del Regno e il padrone è Dio.
Nella vita, vuol dire Gesù, scegli l'ultimo posto, cerca di far contenti gli altri più che te stesso; sii modesto nel valutare i tuoi meriti, lascia che siano gli altri a riconoscerli, non tu ("nessuno è un buon giudice in una causa propria"), e già fin da questa vita Dio ti esalterà. Ti esalterà nella sua grazia, ti farà salire in alto nella graduatoria dei suoi amici e dei veri discepoli del suo Figlio, che è la sola cosa che conta davvero.
Ti esalterà anche nella stima degli altri. È un fatto sorprendente, ma vero. Non è solo Dio che "si china verso l'umile, ma tiene a bada il superbo" (cfr. Salmo 107,6); anche l'uomo fa lo stesso, indipendentemente dal fatto se è credente o meno. La modestia, quando è sincera e non affettata, conquista, rende la persona amata, la sua compagnia desiderata, la sua opinione apprezzata. La vera gloria fugge chi la insegue e insegue chi la fugge.
Viviamo in una società che ha estremo bisogno di riascoltare questo messaggio evangelico sull'umiltà. Correre ad occupare i primi posti, magari passando, senza scrupoli, sulle teste degli altri, l'arrivismo e la competitività esasperata, sono caratteristiche da tutti deprecate e da tutti, purtroppo, seguite. Il Vangelo ha un impatto sul sociale, perfino quando parla di umiltà e di modestia.
Raniero Cantalamessa