TESTO Finire bene
Ascensione del Signore (Anno C) (23/05/2004)
Vangelo: Lc 24,46-53
46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
«Chi ben comincia è già a metà dell'opera».
Così afferma la saggezza popolare, certo con ragione: infatti nelle piccole o grandi imprese di ogni giorno è importante cominciare bene. Eppure tutti abbiamo sperimentato che non basta cominciare bene; è necessario anche concludere bene. Perché lo sappiamo: una buona conclusione non è mai scontata.
In realtà, concludere è sempre difficile, nelle cose piccole come nelle cose grandi: forse è più facile cominciare che concludere. È infatti difficile concludere un discorso, una discussione, una predica; come pure è difficile concludere una storia, un episodio, un capitolo della nostra vita. Concludere è sempre difficile: magari perché ci accorgiamo che le nostre opere sono spesso carenti e dunque inconcluse; oppure perché rimaniamo impigliati nella nostalgia di chi non sa accettare il trascorrere del tempo.
Proprio così avvenne in quei giorni, quando Gesù «fu portato verso il cielo», come racconta il Vangelo di domenica (Lc 24,46-53). Per i discepoli era certo difficile concludere la loro storia con Gesù: essi avrebbero ancora voluto rimanere con lui, ascoltare la sua parola, assistere ai suoi miracoli... E dunque quando Gesù «fu elevato in alto sotto i loro occhi» i discepoli se ne rimasero là, immobili, a guardare il cielo, pieni di rimpianto (At 1,1-11, prima lettura di domenica).
Eppure Gesù, nei giorni successivi alla Pasqua, aveva più volte tentato di liberare i discepoli da un simile rimpianto. Apparendo loro per quaranta giorni, egli aveva dimostrato che la sua storia non si era interrotta malamente con la morte di croce. Ma anche aveva testimoniato che nella morte di croce la sua storia era comunque giunta a compimento. Infatti «così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati».
Ai discepoli però non pareva vero che la storia di Gesù dovesse proprio concludersi in quel modo. Ed erano quindi delusi e sconsolati: esattamente come accade a noi quando la nostra storia ci sembra carente, e vorremmo in qualche modo porre rimedio alla sue insufficienze, trovando conclusioni migliori. Una simile impresa però ci appare ogni volta da capo impossibile: perché non è possibile rimediare del tutto alle insufficienze della vita. Appunto come non pareva possibile in quel tempo rimediare alla tragica morte di Gesù.
E tuttavia «ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». Così aveva detto il Maestro un giorno, ancora prima della sua crocifissione (Lc 18,27). E proprio così avvenne: perché Dio non abbandonò Gesù alla morte, ma trasformò quella morte ingiusta in occasione di salvezza.
Dunque non era necessario che Gesù rimanesse ancora in mezzo ai discepoli, e magari concludesse in altro modo la sua missione. Salendo al cielo, egli testimoniava che – grazie a Dio – il suo tempo si era compiuto, nonostante tutto, nonostante la morte... E in tal modo affermava che anche noi – grazie a Dio – possiamo vivere il presente come tempo pieno e concluso, e non invece come fuga continua verso un futuro irraggiungibile.