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TESTO Ti servo o mi sevo di te?

Marco Pedron   Marco Pedron

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/08/2013)

Vangelo: Lc 12,32-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Forma breve (Lc 12,35-40):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Dove siamo con questo vangelo? Siamo nel capitolo 12 di Lc un po' dopo il vangelo di domenica scorsa. All'inizio di questo vangelo Gesù chiama i "suoi" piccolo gregge (Lc 12,32) e assicura loro che il Padre vuol dar loro il regno. Noi commenteremo solo la prima parte (Lc 12,35-38): è sempre così ricco il vangelo che non si finisce davvero mai di commentarlo, di viverlo e di emozionarsi!

Questo, anche se non sembra, è un vangelo eucaristico. Dobbiamo ricordarci che le prime comunità cristiane sono sorte attorno all'eucarestia.

Il riferimento è Lc 22,27 dove durante l'eucarestia Gesù dice: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve". E qui tutti servono: i servi che sono ancora svegli e attendono il padrone e il padrone stesso che serve i servi.

Il messaggio è chiaro: nella vita voi servite il mondo e nell'eucarestia Dio serve voi.

Dobbiamo fare un passo indietro: il culto nel mondo ebraico era ciò che gli uomini facevano a Dio. Quindi tu obbedivi alle sue leggi, ti presentavi puro, se eri in peccato ti confessavi, facevi offerte in denaro o in natura, in sostanza facevi delle cose per essere accetto a Dio. Il Libro dell'Esodo era ben chiaro: "Nessuno venga davanti a me a mani vuote" (Es 34,20). Quindi il culto era l'offerta (di denaro, di purezza, di ubbidienza) che l'uomo faceva a Dio. Il culto era il servizio degli uomini a Dio.

Ma con Gesù, e lo vedremo in queste tre righe di vangelo (e in tutta la sua vita), tutto cambia. Il culto (l'eucarestia) non è più ciò che tu fai per Lui ma ciò che Lui fa per te. E il servizio non lo devi più rendere a Dio ma alle persone. Un uomo pose a Madre Teresa questa domanda: "Madre, chi è Dio?". E lei: "Non ho la più pallida idea di chi sia. Ma dove c'è l'amore, Lui c'è".

In 1 Gv 4,7-21 Giovanni dice: "...l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio... Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede". Più chiaro di così.

Ci fu un tempo in cui la santità si vedeva da quante messe, rosari, preghiere, digiuni, sacrifici, una persona faceva.

Ma il vangelo non parla mai di tutto questo: la santità di una persona si vede se non giudica... se sa mettere in luce, valorizzare, le doti positive degli altri... se sa lasciare andare... se sa offrire disponibilità a chi ne ha bisogno... se non prova invidia e gelosia... se sa lasciare liberi... se è felice della gioia degli altri, ecc.

Se ami Dio non si vede da quante volte vai in chiesa ma da quanto amore il tuo cuore vive.

Veniamo al nostro vangelo.

"Siano i vostri fianchi cinti e le lampade accese" (Lc 12,35), e qui il verbo di Lc è all'imperativo. Un verbo all'imperativo è diverso da un verbo all'indicativo significa che l'affermazione è molto forte, molto importante. E' diverso dire: "Mi prendi un bicchiere" da "Prendimi un bicchiere!".
Ma cosa significa cingere i fianchi?

1. L'abito normale degli uomini era una tunica che arrivava fino ai piedi. Quando bisognava lavorare, questa tunica era di impaccio e di intralcio. Allora si prendevano i bordi, si alzavano e si cingevano alla vita.
Cingere i fianchi significa lavoro.

2. Ma cingere i fianchi significa anche qualcos'altro. Quando si doveva viaggiare, quando si doveva camminare, bisognava alzare la tunica altrimenti si impolverava e si insudiciava.

Cingere i fianchi significa cammino.

Ma dove ritroviamo quest'espressione nella Bibbia? La ritroviamo in Es 12,11. Qui si parla dell'agnello pasquale che gli ebrei devono mangiare nella notte dell'uscita dall'Egitto. Lo devono mangiare così: "Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta" (Es 12,11).

Quindi i "fianchi cinti" rimandano a questa situazione dove gli ebrei ritrovano la libertà. Quindi "fianchi cinti" indica un lavoro libero, volontario, esercitato per amore, che rende l'uomo libero. Solo l'uomo libero può mettersi a servizio degli altri.

L'altra indicazione sono le "lampade accese" (Lc 12,35). Dove si trova quest'espressione?

Si trova sempre nel libro dell'Esodo dove c'è l'ordine di tenere sempre accese le lampade nella tenda del convegno, la tenda particolare dove si adorava, si venerava, la presenza del Signore, affinché la comunità sia davanti al Signore (Es 27,20-21: "... per tenere sempre accesa una lampada nella tenda del convegno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione").

Cosa dicono queste due espressioni allora messe insieme?

Che Gesù chiede alla sua comunità di essere in un atteggiamento di servizio libero e che il servizio libero è l'unico santuario dal quale si irradia la luce dell'amore di Dio.

Questa comunità per Gesù è un santuario ma a differenza dell'antico santuario è un santuario in movimento. L'antico santuario era statico: le persone dovevano andare, sottostare a determinati riti per poter essere ammesse, ma molte persone per la loro condizione di peccato, di impurità, per la loro situazione religiosa, avevano l'accesso vietato al tempio.

"Siccome tu vivi in quella determinata condizione di peccato tu al tempio non ci puoi entrare" per cui il Dio nel tempio escludeva molte persone dal contatto con lui.

Ma il nuovo santuario non è più statico ma dinamico, in movimento. Non sei più tu che vai al Tempio ma è il Tempio che viene da te. E da chi va il Tempio? Va verso i lontani, gli allontanati, gli esclusi.

Quindi la comunità di Gesù è una comunità di persone libere che orientano la propria vita al servizio degli altri.

I cristiani non obbediscono; i cristiani lo fanno per amore. Non lo fanno perché glielo dice il Papa, il Vescovo, il Parroco, la paura di non essere bravi o di finire all'inferno o di non essere degni di Dio.

Lo fanno perché glielo dice il loro cuore. Lo fanno "volontariamente, liberamente" perché sentono la bellezza che essi stessi hanno prima sperimentato, della luce del Signore, del Santuario che viene da te per amarti, onorarti, darti forza, coraggio, accettazione e misericordia.

Quindi il cristiano non è un ubbidiente: chi ubbidisce è un funzionario. Nella storia tutte le personalità più pericolose hanno ubbidito a qualcun altro: i nazisti ad Hitler, Hitler ad una "pazza" voce dentro di sé. L'ubbidiente non tiene conto delle sue azioni, delle sue conseguenze: lui ubbidisce, lui fa perché qualcuno gliel'ha comandato.

Eichmann, il coordinatore e il responsabile delle deportazioni degli ebrei verso Auschwitz, quando fu interrogato e gli fu chiesto dall'accusa: "Ma lei si rende conto che sono stati uccisi sei milioni di ebrei?", lui senza nessuna emozione disse: "Dovrebbe provocarmi qualcosa questo?". Eichmann uccise un milione e mezzo di persone ubbidendo a quello che gli veniva detto di fare. E non riuscivano ad incriminarlo, infatti lui si difendeva così: "I vostri soldati non vi hanno ubbidito? Li avete condannati? No, anzi, gli avete dato delle medaglie al valore. Beh, anch'io ho fatto la stessa cosa: ho ubbidito al mio capo (Hitler). Merito una medaglia al valore per essere stato così scrupoloso (i treni ad Auschwitz arrivavano senza sgarrare di un minuto!)".

Ma, ed è interessante, mai nei vangeli Gesù chiede di essere ubbidito. Il verbo ubbidire nei vangeli viene usato cinque volte e mai riferito a persone: al vento e al mare (Mt 8,27; Mc 4,41; Lc 8,25), ad un gelso (Lc 17,6), agli spiriti immondi (Mc 1,27). Nella prima Regola S. Francesco aveva scritto: "Se un ministro avrà comandato ad un frate di fare qualcosa contro la nostra vita o contro la sua anima, il frate non sia tenuto ad obbedirgli".

Il vecchietto che abitava vicino a casa mia, quando non andava in chiesa perché era ammalato con la febbre si sentiva così in colpa che la prima cosa che faceva quando poteva uscire di casa era andarsi a confessare perché aveva perso la messa.

Per molto tempo andare in chiesa era "precetto": guai se non andavi! Ma andare in un posto perché "tocca" non alimenta il cuore, né l'anima, né lo spirito. Se fa qualcosa, lo avvelena.

Poi il vangelo continua: "E voi siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze per aprirgli subito, appena arriva e bussa" (Lc 12,36). Ora questa frase è davvero incapibile o travisata se non la contestualizziamo.

Nell'A.T. il Signore viene presentato come lo sposo. Ora qui c'è il padrone di casa (che è anche un po' sposo!) che torna dalle nozze: ma perché bisogna aspettarlo? Se è il padrone di casa avrà pure le chiavi di casa! Chi comanda ha le chiavi. Perché deve bussare correndo il rischio che gli altri dormano e non gli aprano?

Cosa si vuol dire allora qui? Che Gesù, lo sposo, il padrone, non è padrone come i nostri padroni. Lui non impone mai la sua presenza ma si propone: "Ti va? Lo vuoi? Che dici? Ti piacerebbe...". Lc 9,23: "Se qualcuno vuol venire dietro a me...". E' una possibilità, non è una necessità.

Il testo è in assonanza con Ap 3,20: "Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me".

Facciamo un esempio: se adesso io ti voglio abbracciare bisogna che tu accolga il mio abbraccio. Se tu non lo vuoi e io ti abbraccio lo stesso, io te lo impongo. Allora il mio abbraccio non è più un'espressione d'amore ma di violenza. Anche se io ho un'intenzione buona, ogni imposizione è una violenza.

Dio non si impone ma si propone. Lui vuole entrare dentro di te, Lui vorrebbe venire: ma non lo farà senza di te e il tuo consenso.

William Holman Hunt nel suo dipinto del 1853 "La luce del mondo" disegna Gesù che bussa ad una porta ricoperta di erbacce e a lungo non aperta (che rappresenta la mente ostinatamente chiusa). Ma la porta non ha la maniglia, perché può essere aperta solo dall'interno. Lui entra... solo se tu gli apri.

A volte i catechisti dicono: "Ma che senso ha dare il sacramento a questi ragazzi che non partecipano mai al catechismo, né a messa? Non è ingiusto nei confronti di chi viene sempre?". Se Dio fosse un premio questa logica non farebbe una piega. Ma Dio è un dono, è Qualcuno che si propone, che si offre, che bussa. Allora: Lui fa la sua parte (bussa) e poi starà alla persona, se lo vorrà e se lo potrà, aprire e farlo entrare.

"Beati..." (Lc 12,37): ascer=felicità piena. La felicità (ascer indica una felicità divina) è per l'atteggiamento volontario, libero, di servizio.

Ma cosa succede adesso? Succede qualcosa di incredibile: è Lui stesso adesso che "si cinge i fianchi" e li serve, cioè si mette in atteggiamento di servizio verso i suoi servi.

Ma qual è il padrone o il maestro che serve i suoi servi? Ma nessuno!, ovvio. Eppure Gesù lo ha fatto e lo fa sempre (Gv 13)!

Letteralmente il testo dice che "li servirà reclinandosi e passando li servirà" (Lc 12,37): perché si reclina?

Erano i signori, i ricchi, che a tavola mangiavano sdraiati e quindi c'era bisogno di qualcuno che li servisse portando loro da mangiare. Ecco cosa fa Lui: li serve, cioè, li fa sentire "signori". Gesù si fa servo (liberamente) perché coloro che sono considerati servi si sentano signori.

Questo cambia la nostra comprensione dell'eucarestia: l'eucarestia non è il culto degli uomini a Dio, non è ciò che gli uomini fanno per Dio (e se non lo fanno devono aver paura o sentirsi peccatori o in colpa).

L'eucarestia è ciò che Dio fa per l'uomo. L'eucarestia è un distributore gratuito di benzina: puoi andarci quando ci vuoi e puoi prenderne quanta ne vuoi. E' gratis, è tutta per te. Se poi non ci vuoi andare pazienza!, hai deciso così. Ma è lì per te.
Servire significa nutrire, rafforzare, comunicare vita.

Nella vita c'è bisogno di benzina: si da ma poi ci si esaurisce; si infonde energia e amore ma poi il "pieno" finisce; si ama ma poi si ha bisogno di essere amati; si accoglie ma a volte è difficile accogliere anche noi stessi; si dà la propria disponibilità ma a volte si ha bisogno che qualcuno la dia a noi; si stima e si incoraggia gli altri ma a volte noi stessi siamo vuoti di tutto ciò; si sollevano e si condividono le lacrime e le sofferenze degli altri ma poi si ha bisogno che qualcuno si prenda cura delle nostre. Ecco l'eucarestia: tutto questo tu lo trovi qui. E' tutto per te.

Vedete quanto lontana è l'idea di sacrificio: nell'eucarestia non ci si toglie qualcosa per darlo a Dio. Ma è Lui che si fa Pane per noi perché noi poi ci facciamo pane per gli altri.

Una volta si diceva: "Hai peccato, non puoi andare all'eucarestia!".

Ma Gesù dice l'esatto contrario: "Hai peccato, ti senti sbagliato, in errore, ti senti vuoto, un niente, una nullità, depresso, ammalato, uno schifo, l'hai combinata grossa, e dove vuoi andare? Vieni qui!".

Non è più l'uomo che offre i suoi sacrifici e i suoi meriti per avere Dio. Ma è Lui che, senza nostro merito, viene da noi.

Poi dice: "E se giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!" (Lc 12,38).

Ma perché dovrebbero stare svegli per il padrone che tanto ha le chiavi di casa?! "Li troverà così", si riferisce all'atteggiamento di servizio. Il "Beati loro" si riferisce a ciò che il padrone-Gesù farà: li servirà (per questo sono beati).

Allora: la vita è servire gli altri. L'eucarestia è Dio che serve te.

Ma perché a volte è così difficile, se non impossibile, servire gli altri?

Da bambini abbiamo ricevuto (siamo stati serviti), da adolescenti abbiamo dato e ricevuto, da adulti diamo (prevalentemente).

Ma cosa succede, invece, se da piccoli non abbiamo ricevuto? Succede che da grandi abbiamo ancora un buco, una mancanza dentro. Per cui se il ruolo ci chiede di dare, la parte "mancante", invece, vuole ricevere.

La moglie che da piccola non è mai stata gratificata dal proprio padre ("Ma che bella figlia! Ma quanto bella sei! Brava!") chiederà al proprio marito di farla sentire bella e importante: "Non mi dici mai che sono bella! Mi ami? Ti piaccio? ecc.". Invece di servire suo marito stimandolo e apprezzandolo si servirà di lui per il suo bisogno di essere lei sempre stimata e apprezzata.

Oppure al contrario farà la "strafiga" per ottenere oggi quell'ammirazione che un giorno non ha avuto. Si servirà degli altri per riempire il buco che ha dentro.

La madre che da piccola non è stata amata come persona, ma solo se ubbidiva, se stava zitta e se faceva quello che i genitori volevano, ai suoi figli potrebbe chiedere di riempire il proprio buco, volendoli tutti per sé, screditando il padre, diventando l'amica dei suoi figli, ecc. Non servirà dando loro amore in libertà ma si servirà di loro per ottenere l'amore che non ha avuto.

Oppure si vendicherà oggi su di loro facendo esattamente quello che ieri i suoi genitori hanno fatto su di lei: "Tu mi ascolti... Tu non esci... Tu fai così... Io sono tua madre". Non li serve permettendogli di sviluppare la propria individualità, ma si serve di loro per vendicarsi di un odio antico.

Il marito che da piccolo è stato umiliato ("Che vuoi sapere tu! Stai zitto! Parlerai quando crescerai! Quando parla tuo padre tu non fiati! ecc.") potrebbe cercare una donna forte, decisa, che faccia per lui quello che lui non sa fare e che non ha imparato a fare: decidere, essere autorevole, radicato, dire sì e dire no. Invece di servire sua moglie con la sua forza maschile si serve di lei per riempire il suo buco.

Oppure all'opposto potrebbe vendicarsi con il silenzio o con l'autorità o con la violenza su di lei: scarica oggi su di lei l'aggressività, la rabbia, l'odio, che un tempo aveva per i suoi genitori. Non serve lei con il suo amore maschile ma si serve di lei per vendicarsi di ciò che un tempo non ha fatto.

Il padre a cui da piccolo sono stati negati i suoi sogni ("no, non vai a giocare a calcio perché poi non studi") facilmente proietterà il suo buco e la sua mancanza sui suoi figli: "Tu fai il liceo... E' bene per te che faccia questo sport... non frequentare quello lì... tu non fai così... ti ho detto di no... io so cosa è bene per te...". Invece di servire i figli si servirà di loro per fare ciò che lui avrebbe voluto fare ma che non ha fatto.

Oppure al contrario sarà un cinico, un disfattista: "Nessuno ti regala niente; belle parole ma la vita è un'altra cosa; non ci si può fidare di nessuno; bisogna accontentarsi, ecc.". Si servirà degli altri per scaricare il suo risentimento e la sua delusione invece di servirli incoraggiandoli e invitandoli a provare.

Per servire gli altri dobbiamo essere liberi. Altrimenti ci serviremo di loro.

Serviremo gli altri o ci serviremo degli altri?

Un giorno chiesero ad Osho come poter distinguere i veri amici dai falsi amici. Rispose:

"Quello vero ti dice: "Io ci sono"... quello falso: "Tu ci sei per me"...";

"Quello vero ti dice: "Sono qui per te, per ascoltarti... " quello falso: "Ascolta me, che io so!";

"Quello vero ti dice: "Fa quello che vuoi, il mio amore rimane"... quello falso: "Mi hai deluso!";

"Quello vero ti dice: "Puoi rimanere o puoi andartene, come vuoi tu"... quello falso: "Non lasciarmi!";

Quello vero ti ama servendo la tua vita, quello falso ti ama servendo la sua vita.

Un padre lasciò in eredità ai suoi due figli un campo di grano. I due fratelli divisero equamente il campo. Uno era ricco e non sposato, l'altro povero e con numerosi figli. Mietuto, ognuno dei due fratelli raccolse il granaio nel suo granaio. Una volta, al tempo della mietitura, il fratello ricco si girava nel letto di notte e diceva tra sé: "Io sono ricco, a che mi serve tutto questo grano? Mio fratello è povero, e ha bisogno di molto grano per la sua famiglia". Si alzò da letto, andò nel suo granaio e portò di nascosto una dose consistente di grano nel granaio del fratello. La stessa notte, l'altro fratello, quello povero e sposato disse: "Mio fratello non ha la gioia della moglie né dei figli, l'unica gioia è la ricchezza". Così portò una buona dose del suo grano nel granaio dell'altro fratello. Ora entrambi si meravigliarono alla mattina, perché il proprio granaio non era minimamente sceso. La cosa si ripeté per varie sere successive, finché una sera i due fratelli si incontrarono con i sacchi pieni di grano che portavano all'altro fratello. Si abbracciarono a lungo.

Risaputa la cosa, Salomone scelse proprio quel posto per la costruzione del suo tempio: "Questo luogo è un luogo sacro perché qui l'amore si è manifestato. Qui si costruirà il mio tempio". E così fu.

Pensiero della Settimana
Ogni giorno è un'opportunità.

Immagina la fortuna che hai ogni volta che al mattino ti alzi.

Ogni giorno, puoi investire il tempo per te, per il tuo lavoro,

puoi scegliere, tra tutte le scelte disponibili, di lamentarti e non agire

o trasformare ogni secondo in un'opportunità per te e per gli altri.

La scelta è solo tua, hai tra le mani la più grande opportunità
del tempo da investire per gli altri e per te stesso,
tocca a te fare questo investimento.
Sii grande, sii folle! Sii te stesso!
(Stephen Littleword, in Nulla è per caso)

 

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