TESTO I poveri ci salveranno
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/07/2013)
Vangelo: Lc 10,25-37
In quel tempo, 25un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
A Dio non ci si rivolge solamente per chiedere qualcosa, per ringraziarlo o per pregarlo. A Dio ci si può rivolgere anche con un doppio fine, camuffato di innocenza o di desiderio di sapere di più su tutto ciò che lo riguarda: in realtà, lo si vuole "mettere alla prova" per sapere da lui se "ereditare la vita eterna" è proprio così difficile come ce lo hanno sempre dipinto. In fondo, cosa c'è di così complicato nell'osservare qualche piccolo comandamento? È sufficiente voler bene a Dio, considerarlo l'Essere più grande e più importante al mondo, e cercare di non fare del male a nessuno. È scritto nella Bibbia: una volta fatto questo, possiamo ritenerci a posto. Se poi siamo già un po' esperti delle cose di Dio perché studiosi della Bibbia o anche solo perché fedeli frequentatori delle varie manifestazioni religiose della nostra fede, ancor meglio: non abbiamo molto da chiedere a Dio, ci basta quel che sappiamo. Per cui, ci possiamo pure permettere di sfidarlo, di "metterlo alla prova", come fece un giorno quel dottore della Legge che chiese a Gesù "cosa devo fare per ereditare la vita eterna?". Come se già non lo sapesse di suo; come se avesse bisogno che Dio glielo insegnasse.
A cosa serve, del resto, stare in contatto con Dio, se io ho la Legge che mi dice tutto quello che devo fare? Di certo, Gesù non cade nel suo tranello: lascia che siano la sua cultura e la sua conoscenza della Legge a dargli la risposta, egli non ha bisogno del parere di Dio. E finché non capirà di avere bisogno di Dio, sarà tempo perso andare alla ricerca di un dialogo e di un'amicizia con una persona così piena di sé. Quest'uomo non ha bisogno di Dio: anzi, a quanto pare non ha bisogno di null'altro che non sia se stesso e la sua cultura, la sua conoscenza delle cose di Dio e la sua presunta fede. Quando poi viene allo scoperto, non accontentandosi di un Dio che lo rimanda alle proprie responsabilità ("Hai risposto bene; fa' questo e vivrai"), allora mostra anche i limiti della propria umanità, chiedendo a Dio - con lo stesso atteggiamento di sfida, "giustificandosi" - "chi è mio prossimo", ovvero chi è costui che dovrei amare come me stesso, dal momento che il mio "io" è già tutto per me.
Che bisogno ho di Dio, e di sapere che c'è qualcuno a me prossimo da amare quanto me stesso? Ho la Legge, la fede, la religione, la patria, le tradizioni, il clan, il gruppo: ho tutto! Basto a me stesso! Il mio prossimo...qualcuno che si fa prossimo a me...ci mancherebbe pure quello! Ho già tante persone a cui fare del bene: quelle simili a me, quelle del mio giro! Che bisogno ho di guardare fuori, di guardare lungo la strada, lungo i marciapiedi, agli angoli delle strade, alle porte delle chiese...se quella è gente della strada, è perché ha voluto esserlo!
Salvo poi accorgersi che su quella strada che da Gerusalemme scende a Gerico ci passiamo tutti, ma proprio tutti; salvo poi comprendere che i malcapitati siamo noi; salvo poi vedere che chi ci è prossimo non è chi ha bisogno di noi, ma - al contrario - colui di cui noi abbiamo bisogno, "colui che ha compassione di noi". Lui sì, ci vede e ci soccorre, e ci fa capire che avere fede non significa solamente amare Dio e gli altri, come se Dio e gli altri avessero bisogno di noi; avere fede significa lasciarsi amare da Dio e da chi si fa prossimo a noi, del quale abbiamo bisogno anche quando il nostro orgoglio fatica ad ammetterlo.
Sì, perché su quella strada che dalla Gerusalemme Santa ci porta alla Gerico adultera siamo ogni giorno tutti incamminati, senza distinzioni: peccatori e santi, giusti e iniqui, dottori e ignoranti, giudei purosangue e samaritani stranieri a cui non daremmo un soldo e dei quali mai potremmo fidarci. E invece sono proprio loro a prendersi cura di noi. È sconvolgente pensare come il nostro prossimo non sia innanzitutto il malcapitato da assistere, perché i malcapitati siamo noi! E chi ci è prossimo è "un samaritano", uno che non è dei nostri, uno straniero, uno senza tutto quel Dio che invece noi riteniamo di avere in abbondanza... Ma no, noi non potremmo mai avere bisogno di lui, figuriamoci! Anche qualora fossimo i malcapitati, abbiamo chi ci è prossimo, ci sono i nostri: qualche sacerdote, qualche levita, qualcuno che torna come noi dal tempio, qualcuno che ha fede come noi e che crede le stesse nostre verità! E invece no: proprio loro passano dall'altra parte, tirano dritto...mica hanno tempo da perdere con noi! Hanno molte cose da fare, molte preghiere da dire, non possono certo esserci prossimi!
"Invece un Samaritano", che di sicuro non veniva dal tempio, vedendoci ha compassione e ci si fa vicino, si fa prossimo a noi. Lui, il reietto, l'escluso, il disprezzato, il lontano da Dio, si fa vicino agli uomini: nella Storia della Salvezza, abbiamo avuto Uno solo "disprezzato e reietto dagli uomini" che si è fatto prossimo e vicino a noi. È Lui che sulle nostre ferite ha versato - profezia dei Sacramenti - l'olio della consolazione e il vino della speranza; è Lui che ci pone sulla sua cavalcatura e ci fa entrare sicuri in una Gerusalemme di pace; è Lui che ci affida alla Chiesa, comunità di credenti, perché abbia cura di noi fino al suo ritorno.
E allora, "chi è mio prossimo?". È Colui che ha compassione di me. È Cristo Buon Samaritano, che ancor prima di essere da noi amato vuole che ci lasciamo amare da lui; egli, lungo l'insidiosa strada che scende da Gerusalemme a Gerico, non ha il volto e la veste del benpensante, ma quelli del povero e dell'emarginato; lui non ha bisogno di noi, vuole anzi aiutarci a comprendere che siamo noi ad avere bisogno di lui, perché il prossimo è lui.
Alla fine, non saremo noi a farci prossimi per salvare i poveri e i bisognosi; essi, i poveri e i bisognosi, ci salveranno dalla nostra autosufficienza e dal nostro presuntuoso perbenismo.