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TESTO Croce sinonimo di vittoria

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/06/2013)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

" E ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno". Tale proibizione si ripete più volte da parte di Gesù e avviene talora in occasione di alcuni esorcismi (quando comanda ai demoni di non riferire a nessuno che egli è il Cristo), di qualche miracolo, di alcuni insegnamenti e ora nel presente episodio evangelico in cui Pietro gli rivolge l'importantissima confessione: "Tu sei il Cristo di Dio". Essa viene definita "segreto messianico"e a detta di alcuni studiosi non sarebbe neppure originaria di Gesù, ma sarebbe stata aggiunta successivamente dai redattori dei Vangeli o sarebbe stata addirittura inventata da alcuni studiosi! Personalmente sono convinto che non sia affatto un'invenzione, ma che Gesù abbia davvero imposto questo "segreto" nelle predette circostanze, poiché ciò era necessario. Gesù infatti non voleva essere conosciuto come un grande personaggio fautore di prodigi, e nemmeno si accontentava che qualcuno come Pietro capisse per altre vie la sua vera identità di Messia Unto di Dio, ma voleva che essa fosse accolta da tutti in forza della sua Parola e del suo stesso annuncio del Regno. In particolare, voleva che la sua messianicità emergesse nell'ora suprema della passione e della morte di croce. E' lì infatti che egli si rivelerà come il Figlio di Dio, Signore della gloria. Quindi imponeva loro di non dirlo a nessuno fino a quando tale annuncio non fosse stato reso evidente con la morte e con la risurrezione.

E della croce parla infatti la versione di Luca relativa al presente episodio, che si collega immediatamente al profeta Zaccaria (I Lettura): "guarderanno a colui che hanno trafitto", poiché il Figlio dell'Uomo deve tanto patire, essere rifiutato dalle autorità giudaiche, essere ucciso e poi risorgere dopo tre giorni poiché proprio la sua morte concedere all'uomo il riscatto dal peccato e la salvezza e compirà definitivamente il disegno del Padre a vantaggio dell'uomo. La croce è stata indispensabile perché il Cristo umiliato fosse poi esaltato dal Padre dopo la resurrezione e di conseguenza entrasse nella gloria per non morire più; la morte di Cristo, preceduta dalla condanna e dal disprezzo degli uomini era l'unico mezzo necessario perché egli riscattasse l'umanità addossandosi sulle sua spalle i peccati di tutti e comprando tutti noi a caro prezzo (1 Cor 6, 20); è stato indispensabile perché dall'umiltà si passasse alla gloria e all'esaltazione. E infatti questa è la pedagogia che, secondo lo scritto di Luca, seguita immediatamente al segreto messianico: "chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la propria croce ogni giorno e mi segua".

Se la nostra fede fosse incentrata sui soli dati miracolistici, forse la nostra religione non sarebbe differente dall'Ebraismo o da qualche altro Credo lontano da noi. Se dovessimo entusiasmarci solamente per i miracoli e per gli avvenimenti straordinari e restare affascinati dalle apparizioni mariane (molte volte fittizie e infondate) non ci allontaneremmo di molto dal paganesimo e vanificheremmo la morte stessa di Cristo sulla croce.

Certo, i segni esteriori possono sempre essere di supporto alla nostra fede, aiutarci nell'accettare il mistero del Messia e del resto anche i miracoli e gli esorcismi assumono nei vangeli la loro grande importanza, perché rivelano in Cristo la misericordia di Dio e parlano essi stessi del Regno che Cristo ha già realizzato con la sua incarnazione.

Tuttavia è il suo donarsi estremo al supplizio che determinerà definitivamente che Gesù è il Salvatore nonché Messia e cosa vi è infatti di più affascinante e degno di nota del fatto di un Dio che si lascia uccidere per noi? Nella croce del Suo Figlio Dio ci ragguaglia che non siamo noi a cercare Lui, ma che è da sempre Lui che ci viene incontro cercandoci in ogni luogo e raggiungendoci fino all'estrema profondità. La croce dovrebbe esaurire ogni dubbio intorno alla validità della rivelazione e della nostra fede, dovrebbe estinguere ogni incertezza e ogni inquietitudine quando ci sorprenda il dubbio e la perplessità se valga la pena accettare l'umiliazione e la sconfitta nella vita.

La croce che abbracciamo tutti i giorni prende il nome di malattia, sofferenza, patimenti e ingiustizie subite da altri, persecuzioni e frustrazioni a cui siamo costretti anche a motivo della nostra stessa fede; per alcune persone corrisponde alla tortura materiale e alla morte fisica, come nel caso dei cristiani perseguitati in terre di esasperato fanatismo religioso. La croce assume i connotati di sacrificio, sofferenza, lotta... Il più delle volte il gravame che essa comporta per le nostre spalle, il suo peso e la sua insostenibilità ci inducono a rifiutarla come inutile e illusoria e vi è la tentazione di considerarla semplicemente un dato astratto. Paolo però suggerisce parole confortanti in merito alla croce: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la fame,, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati." (Rm 8, 35 - 37) Parole che non mettono in discussione l'amara realtà del male e della vessazione a cui tutti si è costretti, ma che infondono fiducia e coraggio con la garanzia che, dal momento che Cristo ha vinto la morte con l'amore, anche noi con il suo amore trionferemo.

La nostra croce è sempre sproporzionata in difetto rispetto a quella che ha abbracciato Cristo ed è soprattutto per questo che, quando essa ci sembra insostenibile e assillante, siamo invitati a metterla a confronto con quella dello stesso Signore risorto: si trova sempre consolazione nel dolore quando lo si relativizza pensando a quanti sperimentano un dolore più pesante, considerando tutte quelle persone che soffrono molto più di noi; gettare uno sguardo sulla croce di Cristo mentre ci accingiamo a portare ciascuno la nostra ci darà consolazione, costanza e fiducia. Soprattutto perché lo stesso destino del Signore è riservato a noi: se con lui andiamo al patibolo, con lui anche risorgeremo.

Il cristiano non fugge le ansie e i pericoli del mondo; non si aliena dalla realtà e non si rifugia in chimeriche consolazioni inesistenti quando debba affrontare l'esperienza della prova e l'assillo della croce. Piuttosto, egli condivide lo stesso destino del Maestro nella croce che diventa risurrezione e nella risurrezione che presuppone il dolore e la crocifissione, senza sottrarsi né alla prima né alla seconda. Non c'è sacrificio immolativo, infatti, al quale non faccia seguito il premio della gloria nella Risurrezione e poiché Cristo è risorto primizia di coloro che sono morti, anche noi siamo destinati a risorgere, cioè a gioire, nel quotidiano trionfo che di volta in volta fa seguito all'apparente sconfitta.

Guardare a Colui che hanno trafitto e che non ha ricusato l'immolazione e il sepolcro ci è di sprone e di incoraggiamento e il luogo della speranza, prima che si cada nella disperazione, è appunto la croce di Cristo. Essa è la speranza che è diventata certezza nella gloria.

 

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