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TESTO Ecco che veniva portato al sepolcro un morto

Riccardo Ripoli   Amici della Zizzi

X Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (09/06/2013)

Vangelo: Lc 7,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 7,11-17

In quel tempo, 11Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Quando camminiamo per la strada, quando siamo intenti a fare le nostre case ci può capitare di imbatterci in una situazione diversa da quella che ci aspettavamo, una circostanza che ci proietta in un altro mondo, vuoi che sia la sofferenza di una persona ammalata, la povertà di una famiglia, l'abbandono o il maltrattamento di un bambino. Siamo ignari o quantomeno non pensiamo ai problemi degli altri, siamo presi dalla nostra quotidianità e quasi a testa bassa percorriamo i sentieri della nostra vita, ma quando veniamo coinvolti nostro malgrado nella sofferenza altrui come possiamo restarne al di fuori? Come è possibile andare avanti e non riflettere, non lasciarsi coinvolgere, non provare una fitta al cuore per quella persona, empatia con la sua sofferenza? Ci sono tantissimi bambini maltrattati anche nelle nostre belle città, spesso emarginati vivono la loro sofferenza nel silenzio, nel nascondimento dove il nostro ben pensare spesso li relega, ma ognuno di noi, prima o poi si trova a doverci fare i conti, prima o poi viene a conoscenza di storie di abbandono, malnutrizione, violenza su un bambino. Prima o poi deve farci i conti, prima o poi deve mettere a nudo la propria coscienza e prendere una decisione: passare oltre e far finta che siano solo ombre che così come sono apparse nel giro di un istante svaniranno, oppure fermarsi a riflettere, accudire, accogliere. L'affidamento nasce in risposta a questo desiderio di non andare oltre dinanzi al problema di tanti bambini vittime delle loro famiglie e della nostra società.

Si può essere presi da mille impegni, non accorgersi della realtà che ci circonda, ma non si può e non si deve essere sordi quando sbattiamo il viso contro certi muri.

Possiamo essere divisi in mille sfumature, ma dobbiamo essere uniti nel mostrare al nostro prossimo cosa significhi affido, cosa voglia dire per un bambino vivere in una situazione di estremo disagio. Non obbligare gli altri verso l'accoglienza, certamente no, ma sottolinearne l'importanza, al di là dei pensieri, delle gioie e dei dolori che ogni scelta cela.

Il Signore se ne andava per i fatti suoi quando si imbatté nella disperazione di una madre che aveva perso il suo unico figlio. Non proseguì il suo cammino, si fermò a consolare quella mamma, ad asciugare le sue lacrime, a cambiare una situazione affinché il dolore si trasformasse in gioia con la resurrezione.

Chi pratica l'affido in un certo senso è chiamato anche a questo, ad asciugare le lacrime che escono dal cuore di tanti bambini, ad accoglierli e dar loro una nuova vita, fargli fare un percorso di resurrezione da una situazione negativa ad una positiva.

 

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