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TESTO Pasqua tempo di necessaria gioia

mons. Antonio Riboldi

Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno C) (11/04/2004)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Furono ore di profonda tristezza e paura quelle che vissero i discepoli di Gesù. Era difficile per loro dare una spiegazione a quella morte impossibile ed incredibile. Poteva mai il Figlio dell'uomo, come Gesù si faceva chiamare, uno di noi, tutti figli dell'uomo, ma in realtà "Figlio di Dio", abdicare alla sua infinita potenza, per andare incontro senza alcuna opposizione alla più brutale ed incredibile ferocia dell'uomo che quando si fa prendere la mano dall'odio, arriva a spogliare il fratello di ogni dignità, fino a distruggerne le impronte? Colui che era sulla croce, Gesù, meritava ancora, in quel disprezzo totale, l'appellativo di uomo? O era fango da calpestare? Perché davvero Gesù "umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce", afferma S. Paolo.

Fa impressione, dolce impressione, contemplarLo calato dalla croce, come uno sconfitto dalla ignoranza e cattiveria umana, Lui che aveva perdonato dalla croce; commuove vederlo nelle braccia della Mamma e delle pie donne che si danno un gran da fare, come è capace il vero amore, per togliere da quel corpo sfigurato ogni segno della violenza e del disprezzo e ridargli, anche se morto, quella dignità che non si può mai togliere ad alcun uomo; anche il peggiore...perché l'uomo, agli occhi di Dio, porta sempre le impronte del Padre. E Gesù si abbandona alla dolcezza ed alla pietà della mamma, che lo prepara per la sepoltura.

Quindi il rito doloroso del deporlo in un sepolcro, che è il tornare alla terra di tutti noi, che veniamo dalla terra.

Doveva essere grande la tristezza di quei gesti di quanti non avevano voluto lasciare Gesù, ma seguirLo fino in fondo, fin sotto la Croce, fin nel sepolcro. Piacerebbe a tutti noi, credenti, che a volte nella vita passiamo momenti simili alla passione di Gesù, entrare nel cuore di Maria, attingerne la fede che tutto quello che era successo, altro non era che il dono di amore di Dio per noi e quindi...l'amore doveva conoscere il suo trionfo.

Quanti avevano crocifisso Gesù, certamente erano convinti di avere tolto dalla terra un Dio scomodo. Ma potevano essere felici di avere fatto "morire chi non conosce la morte?"

C'è tanta voglia, ancora oggi, di crocifiggere gli uomini, ed è come un ripetersi in modo globale del delirio del calvario. Quanti crocifissi abbiamo nel mondo! Senza colpa. Come quelli che vengono immolati dalla violenza o dal terrorismo, in tante parti della terra, a cominciare da Madrid.

E' facile immaginare lo sbandamento, la paura, il senso del "tutto è finito e si è spenta ogni speranza": sentimenti simili alla morte dell'anima, che certamente regnavano in quanti erano stati scelti da Gesù, avevano seguito Gesù, credendo in un futuro "diverso", un futuro di pace, di gioia, forse anche di sicurezza. Tutti sentimenti umani che erano poca cosa in confronto a quello che sarebbe avvenuto e donato con la Resurrezione: e non solo a loro, ma a tutta l'umanità. Non poteva l'amore conoscere la morte: semmai passa dalla morte alla vita...come avviene in quanti sanno fare della vita un sacrificio per entrare nel meraviglioso mondo dell'amore di Dio e degli uomini...come hanno saputo fare i Martiri, i santi, tutti gli uomini di fede.

Quante volte, anche noi, viviamo il buio del venerdì santo! "Mi viene la voglia di farla finita con questa vita senza orizzonti di speranza. Sembra che tutto sia un brutto, ignobile scherzo per fare soffrire e basta!" è l'espressione che corre su tante bocche. E quante persone si incontrano che davvero vivono a un passo della disperazione, come numerosi crocifissi che popolano il grande calvario del mondo. E non meraviglia la grande paura che ci assale in quei momenti. E' uguale alla paura, allo smarrimento degli apostoli il sabato santo. "E adesso?" E' la domanda di angoscia che spunta sulle labbra.

Ma l'amore del Padre ci dona nella vita una croce da portare, ognuno la sua, misurata con le nostre forze, ma soprattutto con il Suo amore che si fa Cireneo con noi. Non è il Calvario la nostra eterna destinazione; se così fosse Dio davvero non ci avrebbe fatto un dono nel darci la vita. Questa è solo "Via alla gioia" e non eterno sabato santo, chiusi in un sepolcro dove non può filtrare neppure un raggio di luce, imbalsamati. Semmai questo lo scegliamo noi, con il nostro testardo e doloroso modo di coltivare il nostro egoismo, e rifiutare l'Amore, Dio. Dio ci ha creati per partecipare alla sua immensa felicità, per sempre; una felicità immensa come è quella di vedere il volto del Padre ed essere rivestiti della gioia senza fine che è l'amore. Ma tutto passa per la croce. E dalla croce alla Pasqua di resurrezione.

Leggendo i racconti, che ci tramandano i Vangeli, è descritta bene la sorpresa e l'immensa gioia degli apostoli, di Maria, nel vedere Gesù risorto.

Sorprende quella voglia infinita di "credere e amare" Gesù, che pure era chiuso nel sepolcro ben sigillato. E lo vanno a visitare.

Basterebbe il racconto di Maria Maddalena, che di prima mattina, nel primo giorno della settimana, che da allora chiamiamo "giorno del Signore" (e sappiamo che il giorno del Signore non conosce tramonto, anche quando noi cerchiamo, per ignoranza, di creare dannose notti) corre al sepolcro e nel vederlo vuoto, piange. Dentro vi erano due angeli in bianche vesti, uno dalla parte del capo e l'altro dalla parte dei piedi. Le dissero: "Donna perché piangi?" Ed essa: "Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l'abbiano posto". Detto questo si voltò indietro e vide Gesù in piedi, ma non lo riconobbe. Gesù le domandò: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?" E Maria, credendo che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai posto e io lo andrò a prendere". Gesù a questo punto la chiamò: "Maria!" Ed essa voltandosi, esclamò: "Rabboni" che vuol dire Maestro!" (Gv. 20,11-187)

Commuove l'amore di Maria, che non si rassegna alla morte del Maestro. L'amava tanto, diremmo noi, alla follia, e senza di Lui la vita non era più vita.

L'amore le diceva che Gesù era vivo. Come capita a tutti noi quando qualche nostro carissimo parente o amico ci viene sottratto dalla morte. L'amore non conosce la morte. E come Maria, piangiamo, ma li cerchiamo e li chiamiamo, certi che ci ascoltano perché sentiamo profondamente che possiamo essere privati di questo corpo, tolti dalla nostra croce, sepolti, ma partecipi della resurrezione. E' la Pasqua davvero il meraviglioso dono del Padre che così, con la passione e morte del Figlio, atto supremo di amore, ci spalanca le porte della eternità con Lui...se siamo come Maria!

La notizia che la vita ora è trasformata, questa gioia incontenibile del Maestro sempre con noi, non può essere contenuta, ma sente il bisogno di essere gridata, data a chi aveva creduto e amato Gesù.

E quella notizia è giunta fino a noi. Quella gioia arriva a noi con la Pasqua. Quella gioia non solo la dobbiamo provare, ma raccontare a questo mondo troppo triste per un calvario che continua a costruire mettendoci infinite croci. Occorre, questa gioia, farla passare di bocca in bocca, come facevano i primi cristiani che incontrandosi si salutavano: "Cristo è risorto". "Alleluja!"

La dobbiamo donare a tanti, ma tanti, che soffrono, fino a farli entrare nel mondo della speranza. Solo allora, i Calvari del mondo vedranno, con l'amore tante croci trasformarsi in fiori che cantano l'Alleluja.

Che sia così la nostra Pasqua: uomini, donne, giovani che escono dal sepolcro con Gesù e danzano la meravigliosa danza della resurrezione.

 

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