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TESTO Commento su Atti 4, 32-37; 1 Cor 12, 31-13,8a; Gv 13, 31b-35

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

V domenica T. Pasqua (Anno C) (28/04/2013)

Vangelo: Atti 4, 32-37; 1 Cor 12, 31-13,8a; Gv 13, 31b-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31b-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Atti 4, 32-37
Luca, scrivendo il seguito del suo Vangelo come proseguimento e sviluppo della presenza e dell'opera di Gesù risorto, nel breve testo di oggi degli Atti, racconta la vita della comunità di fratelli e sorelle, unita nel nome di Gesù. Tutti portano il nuovo sigillo della vita piena e sono detti "i cristiani", (dopo qualche decennio, "Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani" At 11,26). Per essi la vita piena di fede deve avere riflessi anche nei rapporti quotidiani con le persone della comunità che si riconosce nella fede. Così la scelta fondamentale di Gesù deve essere capace, insieme, di conoscere il Salvatore e verificare la fatica, la sofferenza che vediamo attorno, e il bisogno a cui portare sollievo. Non possiamo provvedere a tutto ma, per lo meno, verificare e sottrarre fratelli e sorelle dal bisogno, poiché si mettono insieme le risorse.
E' vero che nel mondo greco ci sono richiami e ricordi mitici dell'età dell'oro quando si favoleggia che, all'inizio "tra amici tutto è in comune". Ne parla Platone e altri scrittori greci e latini, come Seneca.
L'amicizia diventa un elemento fondamentale di coerenza e di coesione per cui non si accetta, potendo alleviare il bisogno, che un amico soffra. Per questo all'amico si mette tutto a disposizione.
Luca, probabilmente, non ha la pretesa di ricostruire il mito. Luca vuole aiutare a cogliere il senso di una esperienza che capovolge i criteri della vita.
La proprietà non è un assoluto ma le risorse si utilizzano per alleviare la fatica di quelli che conosciamo.
Probabilmente non si tratta però di un fatto generalizzato dal momento che si sente l'esigenza di ricordare il gesto di donazione di Giuseppe che offre il ricavato di una sua vendita agli apostoli. E tuttavia non si tratta di minimizzare la generosità della Comunità cristiana (ci sono tre sommari che riprendono lo stesso tema: At 2,42; 4, 32-37 (testo di oggi) e 5, 12-16). Infatti scopriamo che c'è la impegnata e seria preoccupazione di un servizio giornaliero di mense per i poveri e, in particolare, per le vedove. E questa provvidenza, nella Comunità cristiana, costa molte energie e pone fortemente un problema di carità generosa e disinteressata. In realtà a Gerusalemme, molto presto, per carestia e per il moltiplicarsi dei poveri, finiscono presto le risorse dei cristiani nella città e si sente il bisogno dell'aiuto delle altre chiese (At 11,29-30) per cui s. Paolo si fa portavoce e raccoglitore della colletta (Gal 2,10). Anzi, proprio questa è una delle più grandi preoccupazioni che Paolo riprende nelle due lettere ai Corinzi (1 Cor 16,1-3; 2 Cor8-9; 12,16-18).
Nella prima Comunità cristiana l'ideale perseguito non è quello della spogliazione e della povertà volontaria, ma quello di una carità che non può tollerare che vi siano dei fratelli e sorelle nella indigenza. Paolo parla di "uguaglianza" (isòtes) che nell'ellenismo è considerato elemento specifico dell'amicizia, e che diventa il tratto distintivo della carità fraterna (2Cor 8,13 "Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza"; 2Cor 8,14 "Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza)". La comunità dei beni materiali può essere la manifestazione di una più profonda comunione di cuore. Per chi è cristiano, allora, questa attenzione all'uguaglianza deve diventare sempre più il contenuto vero della democrazia. Ed è necessario che la nostra sensibilità politica, che è impegno per il bene comune, si alimenti di queste attenzioni e preoccupazioni.
1 Cor 12, 31-13,8a
La Comunità cristiana di Corinto, pervasa dalla presenza dello Spirito, in particolare, gode di una ricchezza di doni (carismi) che, a volte, raggiunge anche una sua spettacolarità. Ci sono manifestazioni che conducono ad una utilità della Chiesa per la conversione degli infedeli e sono frutto dei doni di Dio e del suo Spirito,, ma altre assomigliano di più a stati estatici pagani che portano al delirio, a perdita parziale o totale della razionalità, a manifestazioni spettacolari, ambite e apprezzate spesso, ma che inducono al disordine, alla stravaganza e che, comunque, tolgono la libertà. Diventano fenomeni di dubbia autenticità e vanno tutti verificati dalla fede. Paolo suggerisce di attendere ai carismi più grandi e più utili per l'edificazione della Comunità, ma suggerisce che il vero fondamento è dato dalla "carità" (in greco "agape") che, poco usata, nel linguaggio cristiano corrisponde all'amore di comunione. E' "la via più sublime". Essa è dono di Dio, è strada da percorrere, è stile credente, è coscienza operativa nella vita, è apertura di cuore che accoglie gratuitamente l'altro, preoccupati, prima di tutto, dei suoi problemi. Ci troviamo di fronte ad un testo famoso e bellissimo, mai sufficientemente meditato. Sono molti gli aspetti che vengono riletti e calati nella quotidianità: non è assolutamente un testo astratto o moralistico. Esprime una ricchezza infinita che solo Dio pienamente raggiunge, ma che a noi è dato come paradigma per confrontarci e maturarvi la nostra esistenza.
- Il parlare nelle varie lingue mi farebbe un buon comunicatore, ma senza la "carità" non evangelizzerei nessuno perché non comunico il Signore.

- Così, senza la "carità", la profezia, la conoscenza e la fede non mi mettono pienamente in sintonia con il Signore e le sue opere

- Anche il dare tutti i beni e il corpo stesso in sacrificio, senza la "carità" non mi fanno un benefattore: sono nulla.

- Si propongono 3 aspetti in positivo: la "carità" è paziente, benevola (v 4) e si rallegra della verità (v.7).
- 8 stili di vita descrivono la "carità" negando il male (o negando la morte: il numero 8 richiama la risurrezione, "il giorno dopo il sabato"): "non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia" (vv 4-7).
- 4 atteggiamenti del cuore garantiscono una totalità di accoglienza: "Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta". Il tutto è ripetuto 4 volte: è la totalità dell'orizzonte umano (numero 4). Si sommano l'accoglienza, la fiducia, l'attesa piena e la non violenza.
- "La "carità"" non avrà più fine (v 8) poiché è eterna come Dio, che è carità" (Gv 4,8).
Il pensiero di Paolo viene ripreso, con chiarezza e nello stesso spessore, nella lettera ai Galati (5,14): "Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso".
Gv 13, 31b-35
Le parole che leggiamo oggi sono tratte da un dialogo di Gesù con gli apostoli, sviluppato durante la cena ultima, prima della sua morte. Il testo di Giovanni carica di significati le parole di Gesù che, all'inizio, non possono essere capite e tuttavia restano il testamento perenne di Gesù alla sua Comunità.
Ma nella vita è questa la condizione di rapporto con Dio: riceviamo segni e viviamo fatti che lentamente stratificano i loro significati e poi si svelano per dono di grazia e per riflessione di fede sulla nostra vita.
Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, anche a Giuda. E se, nel suo cuore si sviluppa il dramma del proprio futuro prossimo che sta vivendo in anticipo, Gesù sa affrontarlo con coraggio e con lucidità e lo circonda di amore e di lode: il dramma che vivrà, dal tradimento di Giuda all'abbandono dei suoi, dai processi al rifiuto del suo popolo ed alla condanna a morte sono racchiusi nella glorificazione del Padre e nell'amore alla sua comunità.
Il dramma si trasformerà in gloria e bellezza agli occhi di Dio poiché tutto si svolgerà nel cuore di Gesù, nell'accoglienza e nell'ubbidienza amorosa per il Padre e nella profonda donazione ai suoi, affidati dal Padre (Gv 17,6), compreso Giuda a cui Gesù dà il boccone della predilezione (13, 2-6). "Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola (Gv17,6)". Il Padre infatti glieli ha affidati.
In questa glorificazione che è dialogo amoroso e garanzia reciproca tra il Padre e Gesù si inserisce una raccomandazione che è, essa stessa, una garanzia: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".
Gesù lascia alla nostra libertà ed al futuro del mondo un progetto che garantisce il capovolgimento del male e della violenza. Noi siamo ammalati di paura e di ansietà e continuiamo a sognare un mondo fatto con le nostre mani, ma che si distorce nel conflitto, nella potenza del nostro vincere e nella nostra rassegnazione a non avere mai la speranza della pace.
Gesù ci consegna il segreto: "Amatevi come io ho amato voi", che fa escludere ogni rivincita,. Il Signore ci consegna al mondo ed alla storia come un popolo che sa amare, disarmato, coraggioso e ricco di una presenza, pur invisibile, di Gesù e della sua esemplarità,
- Ci lascia un parametro consegnato alla nostra libertà: ma il parametro è Lui, senza scorciatoie.

- Ci garantisce che è efficace nella nostra convivenza tra i popoli per quel "come io vi ho amato".

- Ci offre un comandamento nuovo, non nella formulazione (c'è già in Levitico 19,18), ma è nuovo per l'ampiezza che non deve trovare barriere né sociali, né razziali, né culturali. Perciò ogni forma di diffidenza per lo straniero, l'estraneo, il nuovo deve prima di tutto lasciare spazio ad identificarlo come fratello e sorella, pur con tutte le nostre paure, e insieme alle nostre prudenze.

- Il termine di misura è lo stile e l'amore di Gesù che arriva a dare la vita.

- Il vero segno che identifica i discepoli è il volersi bene. Tutto il resto, fatto di simboli (crocifissi, statue), di gesti, di luoghi sacri, di dichiarazioni non è sufficiente ad identificarci nella storia poiché tutto questo può diventare ambiguo.
E infine, e non è poco, c'è la reciprocità: "vi amiate gli uni gli altri". E' il vero terreno di coltura della fede, è l'inizio della fecondità dei valori cristiani nella storia. Se devi amare, mi dice Gesù, devi anche cercare di rendere facile l'essere voluto bene. La reciprocità è curiosa e difficile, eppure è essenziale, pare.

 

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