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TESTO Non solo croce

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/06/2004)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

Tutte le volte che mi trovi a viaggiare a bordo di un aereo o di una nave mi capita, sia pure fuggitivamente, di gettare uno sguardo di comparazione fra l'interno e l'esterno del mezzo su cui sto viaggiando: un aereo infatti, come anche una possente imbarcazione ospitano internamente tutte le comodità per una paicevole traversata, quali potrebbero essere il cinema, il bar, la ristorazione; all'esterno invece non vi è che la moltitudine dei flutti marini per chi viaggia in nave o della coltre di nubi per chi sta volando, ma in ambedue i casi non si può omettere di considerare lo stato di disagio, di paura e la moltitudine dei pericoli a cui andremmo incontro qualora in quel momento ci trovassimo al di fuori del nostro mezzo di trasporto... Andremmo incontro a morte sicura.

Dentro quindi il piacere del viaggio e la comodità; fuori l'imprevoisto e il pericolo e un solo sguardo dal finestrino consente di concludere che tale piacevolezza è solo prefabbricata. Facendo un'analogia con la quoridianità della nostra vita, non sono poche lòe circostanze in cui pretendiamo che qualcuno ci preservi dai rischi e dai pericoli, che ci si metta in condizioni di "viaggiare" con comodità e con la garanzia che ci vengano evitati malesseri e difficoltà... e questo è -fra parentesi- il motivo per cui l'uomo cerca alienzazioni, droghe, forme di fuga o altro simile atto a procurarci la la chimera di una sicurezza del tutto fittizia.

Nella liturgia di oggi rifletteremo sul fatto che questo non soltanto è impossibile a verificarsi, ma addirittura banale è sconveniente. Specialemente per chi ripone la propria fiducia in Gesù Cristo.

Osserviamo innanzitutto la domanda rivolta da parte di Gesù agli apostoli: "Chi dice la gente che io sia?"; in questo caso il Signore fa riferimento a quello che potrebbe essere il parere unanime della popolazione sui requisiti "anagrafici" di Gesù; quindi: "Quale persona, fra le tante del passato, è convinta di vedere la gente in me?". E dopo aver ottenuto varie risposte (Elia, uno dei profeti) Gesù interpella gli stessi suoi interlocutori: "E voi chi dite che io sia?"; questa volta, come afferma qualche esegeta, la domanda è molto più profonda: con essa il Maestro intende scoprire non cosa pensano gli apostoli intorno alla sua figura e alla sua identità dal punto di vista sociale, storico o culturale, bensì appurare che Lo abbiano davvero riconosciuto per quello che intendeva mostrarsi; ragion per cui, in definitiva il senso della domanda rivolta a Pietro e compagni è il seguente: "Chi sono io PER voi?" "Sono un personaggio famoso del passato o un uomo che cambierà e fonderà la vostra vita?"; "Se sono uno che intende lasciare una traccia nella vostra formazione vitale, in che senso secondo voi lo farà?"; "Siete realmente convinti di me?"; in una parola Gesù voleva domandare: "Mi avete davvero ACCETTATO come il Verbo di Dio fatto uomo per la vostra salvezza?"

Quando Pietro risponde in senso affermativo (Il Cristo di Dio), Luca, a differenza di Matteo (che introduce l'elezione di Pietro a capo visibile degli apostoli) sembra non vedere ancora Gesù soddisfatto: probabilmente non basta che i suoi lo abbiano riconosciuto come Messia e Salvatore, ma pretende che in questa dimensione "lo seguano", cioè che siano disposti a percorrere tutte le sue tracce. Infatti, egli afferma quasi immediatamente una prospettiva tutt'altro che piacevole: Il figlio dell'Uomo deve essere riprovato e ucciso e come conseguenza necessaria che anche i suoi apostoli si dispongano a seguire la sua stessa sorte: "Chi vuol essere mio discepolo, prenda la propria croce tutti i giorni e mi segua". Riepilogando questa spinosissima questione potremmo dire: 1) Gesù non lo si deve confondere con un qualsiasi elemento nazional popolare e neppure con una delle qualsiasi personalità promettenti; 2) Piuttosto, va riconosciuto come il Messia, Salvatore, Dio fatto uomo; 3) Questo comporta che si sia disposti a seguire il percorso doloroso, la croce....

Attenzione: se è vero che Gesù nei Vangeli annuncia sempre la sua morte, egli non annuncia MAI la sua crocifissione: dell'argomento croce sta parlando soltanto adesso ai suoi apostoli, per sottolineare la pesantezza del fardello che va accettato nell'essere cristiani e che non può essere evitato o rifuggito. No, nessuno può evitare le immolazioni, i dolori, i dispiaceri, in sintesi la croce: non importa a quale religione l'uomo possa appartenere o quali siano le sue convinzioni antropologiche o culturali e neppure è importante il termine adoperato per identificarla: c'è chi la chiama prova del destino, c'è chi la identifica con la malasorte, chi con la jella... ma sempre di quello si tratta, della croce, ossia delle difficoltà e delle vicissitudini in negativo riservate a tutti gli uomini.

E neppure è possibile liberarcene relegandola agli altri e noi esserne dispensati: quand'anche ci riuscissimo non mancherebbero occasioni nelle quali essa ci si ripresenti con la doppiezza del suo peso; e neppure chi crede di esserne dispensato ne è esente, se è vero che il problema più grande e assillante è proprio quello di non averne, di problemi.

Noi cristiani però abbiamo il privilegio di non subirla con rassegnazione, bensì di abbracciarla con fiducia e speranza: nella nostra comunione con Cristo infatti la croce è destinata non a restare tale, ma a diventare resurrezione; nella misura in cui la sia accetta, tanto più si godrà dei benefici futuri che essa non manca di arrecare e nei termini di immediata concretezza questo vuol dire che i perseveranti nel bene non mancheranno di godere dei frutti dei loro spasimi; i sofferenti nella solitudine godranno della compagnia continua del Signore che colmerà le loro afflizioni; quanti vivono di stenti otterranno ricompensa effettiva e intanto la gioia nell'accettare le stesse penitenze e sofferenze... Tutto ci viene ricompensato, come tante esperienze potrebbero testimoniare (comprese alcune delle mie). Quello che conta è non procacciarsi l'illusione di viaggiare solo in senso piacevole.

 

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