TESTO Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati
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IV domenica T. Pasqua (Anno C) (21/04/2013)
Vangelo: Gv 15,9-17
«9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
La prima parte del cap.15 di Giovanni sviluppa la metafora della vite (Gesù è la vera vite) e dei tralci (paragonati ai discepoli) e insiste sulla necessità che essi rimangano uniti al Signore, per poter portare frutto.
Il testo di oggi riprende il tema del "rimanere" in Gesù, sviluppando soprattutto due motivi: l'amore e il "comandamento" di Gesù.
"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi" (v.9) Per la prima volta nella Scrittura ci viene detto che la fonte dell'amore è Dio Padre, il quale ama totalmente il Figlio e questi, a sua volta, riversa questo amore straordinario sui suoi seguaci. E' da notare che la congiunzione greca "kathos"=come) può avere, oltre al valore comparativo, anche quello causale: "poiché"; e allora si vede ancora meglio la qualità dell'amore divino: è il Padre che lo rende possibile nel Figlio ed è il Figlio che lo rende possibile in noi; da soli, non potremmo mai amare come ci chiede Gesù, anzi come Egli ci "comanda".
Il v.12 dice infatti "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi" e il termine "comandare", nella forma verbale o nel sostantivo corrispondente, ricorre ben 5 volte nel brano della liturgia odierna.
Viene spontaneo chiedersi: "E' mai possibile comandare l'amore? Non dev'essere piuttosto questo un sentimento libero e spontaneo?"
Il termine originale greco "entolé" non corrisponde a "comandare" nel senso di imporre e ordinare (gr."nomos"); ha piuttosto il significato di "entrare in pienezza nella volontà di Dio", derivandone la strada su cui camminare, o anche deducendone un incarico, un compito affidato; questo pare proprio il senso voluto dall'evangelista, mentre anche la nuova traduzione CEI ha preferito "comandamento/i" per conservare l'opposizione a quelli dell'antica alleanza, cui si sostituiscono i nuovi "precetti" del Nazareno.
Ora, se si tiene presente quanto detto circa "comandare/mento", il brano assume un'intonazione diversa, in quanto non è più connotato dalla categoria dell'imposizione, ma presenta un'altra intonazione: quella esplicitata del resto da Gesù stesso quando sottolinea che i discepoli non sono più per lui dei "servi" (che appunto si limitano ad eseguire ciò che "comanda" il padrone), ma degli "amici", tra i quali corre familiarità, e cui si può dire tutto quello che si ha dentro: "Tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (v.15)
Gesù per primo ha "osservato i comandamenti del Padre" (v.10 b), cioè ha accettato in pieno l'incarico affidatogli e questo gli consente di "rimanere nel suo amore"; la stessa cosa Egli dice ai suoi discepoli: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore" (v.10 a); e abbiamo già visto che "il" "comandamento-incarico-cammino" per eccellenza indicato da Gesù, e ripetuto ancora nel v.17, è l'amore reciproco, "come io vi ho amati", cioè totalmente, fino a dare la vita per l'amico.
Si tratta di un impegno davvero molto alto, impossibile ad attuarsi, se il destinatario si trovasse ancora nella situazione dell'antica alleanza. Infatti, come sappiamo da Giov.13,34, questo è un "comandamento - incarico" nuovo,inedito, possibile solo dopo la venuta e l'offerta di sé da parte del Cristo.
E' stato il suo libero consegnarsi alle guardie del Tempio (in consonanza col volere del Padre) per essere giudicato e condannato a morte che ha reso possibile, da parte sua, il dono dello Spirito ("E, chinato il capo, emise lo Spirito" Giov.19,30) ed è solo lo Spirito Santo effuso in ciascuno di noi che ci rende possibile amare, essere Suoi amici e amarci gli uni gli altri, come Lui ci ha amati e come ancora Lui ci richiede.
Gesù, nuovo Mosè, ha promulgato quest'unico nuovo "comandamento", che sostituisce il codice dell'antica alleanza e, come la Legge dava identità al popolo di Israele, così questo precetto la dà alla nuova comunità umana costituita dal Signore: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Giov.13,35), quello stesso amore - ricordiamolo! - con cui Lui ci ha amati.
Proveniente da una fonte trascendente (il Padre), l'amore si rivela il contenuto essenziale dell'esistenza cristiana. E proprio attraverso la comunità dei discepoli capace di testimoniare tale realtà, il Figlio potrà continuare a rivelarsi lungo il corso della storia.
Negli "Atti degli Apostoli" leggiamo infatti che le gente riconosceva i cristiani da come si amavano tra loro; e dopo? E oggi? Possiamo affermare la stessa cosa? Le comunità cristiane sono un "segno" convincente dell'amore di Gesù?
Purtroppo la riposta non è sempre positiva; ma questa constatazione è anche un invito a "convertirci" dalla nostra vecchia logica egoistica alla perenne novità dell'amore di Cristo: per vivere tale amore nuovo, bisogna trasformarsi in Cristo, così che - riecheggiando S.Paolo - "non sono più io che amo, ma Cristo ama in me" (cfr. Galati 2,20).