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TESTO Commento su Atti 13, 14.43 - 52; Salmo 99; Apocalisse 7,9.14 - 17; Giovanni 10,27 - 30

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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (21/04/2013)

Vangelo: At. 13, 14.43 – 52; Sal 99; Ap. 7,9.14 – 17; Gv. 10,27 – 30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,27-30

27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

La liturgia della scorsa domenica ci ha presentato la Chiesa che esce all'esterno per predicare a tutti la Parola del Signore.
La liturgia di questa domenica si svolge tutta intorno alla figura del "Pastore" e della sua "Incarnazione" in Cristo Gesù.
La prima lettura ci presenta gli apostoli Paolo e Barnaba che arrivati a Perge in Antiochia di Pisidia predicano l'annuncio cristiano cioè la novità assoluta del Cristo Salvatore che diventa con la sua risurrezione il centro della storia.
Paolo e Barnaba entrati nella sinagoga iniziano il grande discorso missionario che per coloro che vogliono seguire il Cristo significa non chiudersi nelle proprie case ma aprirsi al mondo intero sino agli estremi confini della terra.
I Giudei, ai quali era destinato l'annuncio, non sono pronti ad accoglierlo e vista la grande folla che seguiva la predicazione dei due Apostoli, divenuti gelosi e anche impauriti per le moltitudini che li seguivano, sobillati i notabili e le pie donne del luogo fecero in modo che Paolo e Barnaba fossero perseguitati e mandati fuori dalla città.
Segno di profonda divisione fra il mondo giudaico e quello dei pagani. Le scritture di un tempo sono state tutte un preannuncio di ciò che sarebbe avvenuto, il mondo ebraico ha atteso la venuta del Cristo ma non tutti hanno accolto il messaggio che lui predicava.
Gli Apostoli non si fermarono al rifiuto dei "Giudei" ma se ne andarono facendo un gesto che ancora oggi leggiamo nel Vangelo: usciti dalla città si scrollarono dai sandali la polvere quale segno del rifiuto e si diressero verso quelli che erano contenti di accogliere il messaggio evangelico.
Quante volte, nelle nostre assemblee domenicali, ascoltiamo la Parola e ci sembra di averla fatta nostra, poi, presi da mille attività ce ne dimentichiamo?
Quante volte nelle nostre associazioni leggiamo la Parola e ce ne appropriamo, la facciamo diventare un nostro privilegio sentendoci come cristiani, tenutari della salvezza.
Quante volte il Cristo vorrebbe entrare nelle nostre case per farle sue, ma noi non siamo pronti e disponibili all'incontro ed allora si scrolla la polvere dai sandali e passa oltre.
Con il ritornello del Salmo responsoriale "Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida" il salmista invita tutti i popoli della terra ad acclamare e servire con gioia il Signore, che è l'unico Dio di tutti noi che siamo il suo gregge, e stupendo è il terzo versetto "il suo amore è per sempre la sua fedeltà di generazione in generazione".
Nella seconda lettura tratta dal libro dell'Apocalisse, l'apostolo Giovanni ci racconta di aver veduto una moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni nazione, tribù, lingua, popolo, erano davanti al trono e all'Agnello in vesti candide e con in mano rami di palme. Costoro erano quelli che avevano lavato le loro vesti passando attraverso la grande tribolazione ed ora servivano il Signore ventiquattro ore al giorno e non avevano più fame né sete, e il Signore aveva steso su di loro la sua tenda e tergeva dal loro volto le lacrime.
La Grande moltitudine che Giovanni vede è il nuovo popolo di Dio che non appartiene più solo ad una nazione, ma a tutti i popoli della terra. Per appartenere a questo popolo è necessario aver conosciuto la "sofferenza ed aver portato la croce".
Far parte del "suo popolo" non significa essere preservati dalle sofferenze, dalle tribolazioni, oggi potremmo dire dagli insuccessi, dalla mancanza di lavoro, dalla precarietà del domani, ma significa passare attraverso la negatività della vita e uscirne "lavati" non soccombendo ma vittoriosi.
Anche le lacrime sono segno di purificazione, solo allora potremo entrare sotto la "tenda" che significa entrare nell'intimità di Dio, e essere eternamente felici in lui.
Giovanni nel vangelo si sofferma particolarmente sulla figura del Pastore e delle Sue Pecore.
Il pastore conosce le sue pecore una ad una e le pecore lo ascoltano e sentono la sua voce. Nessuno potrà mai strappare le pecore al pastore perché queste le sono state date da Dio. Dio non può permettere che le pecore si allontanino, le ha date al Figlio, Cristo Gesù che diventa così immagine vivente del Padre
Conoscere, ascolto, voce, vedere, sono i termini che Giovanni mette in evidenza in questo racconto.
Quando noi diciamo di "conoscere" una persona significa che, in qualche modo, siamo entrati in relazione con lei. Gesù entra in relazione con le sue pecore, cioè ognuno di noi. Siamo per lui, una cosa assoluta, non un qualcuno che fa parte di un grande numero. Egli ci conosce in tutta la nostra persona, conosce i nostri carismi, le nostre caratteristiche, le nostre negligenze, i nostri peccati, e ci ama così come siamo. Egli non permetterà a nessuno di portarci via lasciandoci liberi di agire nella nostra vita.
Quando riusciamo a fare silenzio e entrare in comunione con il Cristo, a volte, ci sembra che lui sia presente vicino a noi, ci sembra di vederlo con i vostri occhi, e possiamo immaginare il Padre vedendo lui.
Per noi sposi, è abbastanza facile capire il significato di questa conoscenza di cui parla Giovanni, del Pastore verso le sue Pecore. Entriamo in relazione con il partner attraverso l'amore, quando lo conosciamo, cioè quando entriamo in relazione con l'altro, riconosciamo non solo la sua voce, ma anche percepiamo i suoi passi, il suo modo di respirare, le sue piccole manie le sue tenerezze, potremmo dire tutto ciò che fa parte della sua persona ci è sempre presente, lo abbiamo vicino anche quando non c'è, con una parola, siamo due in una sola persona.
Per la riflessione di coppia e di famiglia:
- Siamo disponibili all'"annuncio della Parola" non solo nel nostro volontariato specifico ma anche quando capita l'occasione e di portarlo avanti nell'indifferenza generale del tempo contemporaneo?
- Ci sentiamo parte del suo "gregge"?

- Sapere che l'amore di Dio e la sua fedeltà sono per noi eterni ci aiuta a vivere con gioia e serenità la nostra vita cristiana?

- Accettiamo la sofferenza con pazienza quale mezzo di purificazione per poter entrare nella "tenda" di Dio?

- Siamo capaci di vedere e ascoltare la voce del "Pastore" e di entrare in relazione con lui per mezzo dei fratelli che ogni giorno incontriamo nella nostra vita?

Commento a cura di Gianna e Aldo - cpm Genova -

 

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