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TESTO Una pace sconosciuta?

mons. Antonio Riboldi

V Domenica di Quaresima (Anno C) (28/03/2004)

Vangelo: Gv 8,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Quando si avvicina la Pasqua, chi di noi ancora crede nella necessità di conoscere la misericordia del Padre e di tornare cosi a vita nuova, che è poi il vero significato della Pasqua di Cristo ed il suo frutto, comincia a programmare quando e come accostarsi al Sacramento della Penitenza o Riconciliazione. Volutamente ho detto Penitenza o riconciliazione, perché "la confessione" sa troppo di tribunale, dove si ha l'impressione di accedere a chi ti giudica, ti condanna, ti assolve, ti dà la pena.

E anche solo pensare di confidare ad altri, - il sacerdote o meglio il Vescovo - lo sporco della nostra coscienza, i nostri peccati, mette addosso una naturale paura o vergogna.

Si è troppo affezionati al culto della propria stima, che conta di più l'apparire giusti, anche se dietro questa facciata di umana giustizia, vi è una vita talmente in crisi o sporca, che a volte suscita vergogna in noi. "Mi faccio schifo" - mi diceva un giorno una persona che era ritenuta perbene e agli occhi della gente sembrava modello di legalità.

"Vorrei nascondermi agli occhi del mondo, talmente ho vergogna per quello che sono. Mi sento un verme e voglio apparire un'aquila. Vorrei togliermi di dosso questa sporcizia, ma non so chi possa restituirmi una innocenza che invidio e sento sia la sola pace possibile dell'anima".

Abbiamo ancora nella memoria la triste storia di tangentopoli, che mostrava alla pubblica gogna, uomini che sembravano onesti. Erano scene da brivido, che non avrebbero mai dovuto essere mostrate, perché non è lecito mai e poi mai calpestare la dignità dell'uomo, anche se è colpevole. Non è giustizia questa, di esibire gli uomini indagati, come fossero trofei di una caccia da offrire al massacro del loro diritto al rispetto...anche quando si è sbagliato.

Credo che tanti di questi nostri fratelli, di fronte a questa giustizia divenuta spettacolo, avrebbero preferito morire: perché davvero è "morire dentro".

Agli occhi di Dio, siamo tutti pieni di colpe. Molte volte riusciamo a nasconderle agli occhi degli uomini: ma davanti a Dio, che vede nel segreto delle nostre anime, non si può bleffare.

Solamente che la giustizia di Dio ha un altro volto; quello della misericordia, che non vuole la morte del peccatore, ma che viva. E il sacramento della penitenza altro non è che il gesto di amore del Padre che guarisce, come abbiamo meditato nella parabola del figlio prodigo.

E Gesù ha voluto e vuole che questa misericordia sia un dono per tutti noi con il sacramento della Penitenza.

Già chiamarlo sacramento, è fare esperienza di un Dio che ama.

Non ha senso nasconderci dietro una falsa coscienza, che continua a fare esibizione di innocenza, che non esiste: Una falsa innocenza che si prende poi il diritto di farsi giudice degli altri.

Occorre riconoscere umilmente ciò che siamo ed avere grande, immensa fiducia nella misericordia.

Quando ci capita di sbagliare (e chi non sbaglia), non abbiamo bisogno di dita puntate contro. Ci sentiamo già "morti" nell'anima quando sbagliamo e abbiamo bisogno di uno che ci tenda la mano per rialzarci e riportarci alla vita.

E' quello che racconta oggi Giovanni: una scena di pietà divina, che cancella una volta per sempre la nostra stupida sete di condanna e invita ad avere fiducia e fede nella misericordia.

Meditiamolo questo gioiello di bontà di Dio e facciamolo nostro. Ne abbiamo bisogno. E sia il modello del sacramento della Penitenza: un modello che non fa più paura...anzi vorremmo, nel Sacramento della Penitenza, incontrare e sentire la dolce voce di Gesù che non condanna, ma ci dice: "Va in pace e non peccare più".

"Gesù si avviò verso il monte degli ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo al tempio e tutto il popolo andava a lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava". Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?"

Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarLo.

Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".

E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?"

Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno: va e d'ora in poi non peccare più" (Gv. 8,1-11).

Possiamo facilmente immaginare la vergogna di quella donna sorpresa in adulterio; questo essere sorpresa nel peccato, doveva essere una vergogna da desiderare di morire.

Essere posta poi al centro della condanna di tutti, come fosse un panno immondo, che non aveva più diritto di vivere tra di noi, come se noi fossimo veste bianca, doveva diventare una liberazione morire lapidata.

Per lei, non c'era più posto nella stima e nella compagnia degli uomini. Per cui era quasi dolce morire.

Sapeste, carissimi, quanti casi come questi avvengono ogni giorno tra di noi. Quanta gente, uomini, donne, che hanno la coscienza di avere sbagliato e cercano parole di conforto e trovano solo ipocrite condanne.

Ho conosciuto una persona che aveva sbagliato: era stato in carcere: ma davanti a tutti, anche se aveva pagato il suo debito con la giustizia, si sentiva estraneo tra la gente. Lui, solo un delinquente, punto e basta. Non riuscendo a tollerare di vivere tra la gente con disprezzo, decise di togliersi la vita.

"Mi sento ogni giorno come un morto e giudico morire una liberazione". Fa meditare, e a lungo, quel distacco voluto da Gesù, dal coro di condanna, che doveva, suonare bestemmia alla sua missione di amore, che Lo vedeva tra di noi non a farsi giudice, ma a farsi perdono, con il dare la vita sulla croce.

Dirà sulla croce, a quegli uomini assetati di falsa giustizia, felici di condannare sempre e tutti, ieri e oggi: "Padre, perdona loro non sanno quello che fanno". Sulla croce Gesù si distacca dagli uomini, che accusano questa volta Lui, non scrivendo sulla sabbia, ma dando la vita per amore. E avrebbero dovuto i suoi crocifissori essere i condannati.

Chi ha paura di questo Gesù che ama e non condanna? Chi non vorrebbe conoscere la gioia di quella donna che aveva sbagliato, era stata vicina alla morte e trova chi le offre la vita, il perdono? Quale deve essere stata, non solo la felicità, come una resurrezione, ma con la felicità, la ferma volontà di non peccare più!

Se meditiamo bene, questa è la gioia del figlio prodigo, che sperimenta la misericordia del Padre: "Facciamo festa perché questo figlio era morto ed è tornato in vita".

Perché allora avere timore di sperimentare anche noi il cuore di Dio che, nel sacramento della Penitenza, ci riporta alla festa del tornare in vita? Ricordiamo che quel sacerdote o vescovo, che incontrate non è un giudice da tribunale, ma è Gesù che ascolta, scrive per terra, fa suoi i nostri peccati e alla fine ci dice: "va in pace e non peccare più".

Chi ha paura di tornare in vita, uscendo da quel lezzo di morte che sono i nostri errori? Al posto della vergogna o paura, vestiamoci della fiducia di quella donna adultera o del figlio prodigo e abbandoniamoci nelle braccia del Padre per fare festa. "Va in pace e non peccare più!".

 

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