TESTO Padre ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio
Riccardo Ripoli Amici della Zizzi
Sabato della II settimana di Quaresima (02/03/2013)
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32
La parabola del figliol prodigo offre miriadi di spunti di riflessione, oggi uno in particolare ha toccato le corde del mio cuore, quello del perdono nei confronti di noi stessi. Tutti noi, più o meno consapevolmente, facciamo danni, offendiamo, umiliamo il nostro prossimo, in altre parole siamo peccatori, fa parte della nostra natura umana. Ogni volta che faccio un errore nei confronti delle persone e me ne rendo conto, ogni volta che tradisco l'amore di Dio compiendo azioni che non dovrei commettere mi si sgonfiano le ruote, mi abbatto, non riesco a perdonarmi e mi riesce difficile accettare che il Signore perdoni le mie colpe. In grado di perdonare coloro che mi hanno fatto del male, non è nella mia natura perdonare me stesso. Non mi sono mai posto la domanda sul perché ciò avvenisse, vedendo in questo mio comportamento un'autopunizione alle colpe commesse, ma qualche giorno fa', parlando con un sacerdote, mi ha fatto vedere un altro punto di vista che mi ha sconvolto i pensieri, "non perdoni te stesso perché sei orgoglioso, pensi di essere uno che non può sbagliare" e a supporto di questo mi ha fatto leggere il capitolo 8 della lettera ai Romani scritta da San Paolo, nella quale appare chiaro che laddove ci sia peccato il Padre perdona se c'è consapevolezza e pentimento sincero delle proprie colpe.
D'altra parte questo è anche nella natura umana, quale buon genitore infatti non è disposto a perdonare il proprio figlio sempre e comunque? Aspetta di vedere in lui il pentimento sincero, il riconoscimento del proprio errore affinché possa far tesoro dell'esperienza negativa che ha fatto, del dolore che ha inflitto, per poi azzerare tutto con il perdono e da quel punto ricominciare. Quante volte saremo disposti a perdonare gli errori di nostro figlio? Innumerevoli perché l'amore, quello vero, travalica ogni confine. Così il Signore è disposto a perdonarci, in quanto Suoi figli, ogni volta che sinceramente Gli chiederemo scusa dal profondo del cuore, avviliti ed amareggiati per averLo offeso, tradito, dimenticato.
In casa nostra, con i ragazzi in affido, c'è un buon dialogo ed inevitabilmente ci sono alti e bassi, momenti di nervoso e di arrabbiatura, cose fatte che non vanno bene, ma aleggia lo spirito del perdono continuo e reciproco. Non ho mai visto uno dei miei ragazzi scontroso nei miei confronti più di tanto, né io lo sono con loro dopo una brontolata. Arrabbiarsi spesso significa chiarire un punto, far capire che le cose non stanno andando bene, significa fare una tappa forzata, lungo una marcia che dura una vita, per riprendere fiato e capire in quale direzione dobbiamo andare, riflettere sulla meta che vogliamo perseguire. Importante per noi adulti, fondamentale per i ragazzi in crescita. Non si deve aver paura di amare, non si deve aver paura di dire ciò che si pensa. A volte la paura nasce dalla poca fiducia nell'altro, si ha paura che facendo un'osservazione, brontolando per qualcosa si possa incrinare un rapporto. Il dialogo è un allenamento continuo, un momento che deve essere quotidiano di confronto. Abituate i vostri ragazzi a dialogare con voi, imponeteglielo se necessario quando cercano di svicolare dalle loro responsabilità, ma non rinunciate al dialogo per paura, pigrizia, mancanza di tempo. Mancanza di dialogo significa inevitabilmente sfilacciamento dei rapporti, incomprensioni che si accumulano che portano alla rottura di un'unione, tanto più grave quanto maggiore è stato il tempo che non ci siamo confrontati.
I vostri figli crescono ogni giorno molto velocemente, sono spugne che assimilano gli input che arrivano dall'esterno in modo impressionante. Se lasciate che crescano da soli, senza commentare un fatto del giorno, senza parlare di valori e principi, senza vedere insieme a loro la differenza tra il bene ed il male. Se date per scontato ciò che per voi ormai è acquisito li perderete e quando torneranno da voi saranno uomini e donne che forse vi rimprovereranno di essere cresciuti da soli, troppo soli per avere un legame significativo con voi.
Purtroppo il dialogo da solo non basta, entra in gioco anche il carattere, la capacità di riflettere perché le parole sono il nostro cibo e senza esse si muore, ma la digestione di esse dipende da ognuno di noi. Ci sono coloro che si nutrono di parole legati a riflessioni e valori, le digeriscono, le assimilano, le fanno proprie e si fortificano crescendo in saggezza, altri che le rifiutano arrivando ad ascoltarle per abitudine, ma non a sentirle con il cuore e, alla pari di un anoressico, una volta soli le eliminano lasciando spazio al nulla o, peggio, a modalità di vita non proprio edificanti.
Avete il tempo per andare in palestra? Il tempo per andare a fare shopping o a correre? Il tempo per uscire con gli amici? Genitori, avete un ruolo che vi siete scelti e come in tutte le cose non ci sono solo diritti, ma anche, e sopratutto, doveri. Siete obbligati a parlare con i vostri figli se volete costruire con loro un rapporto, se volete donar loro la vita, se volete dar loro una possibilità per camminare nel mondo a testa alta, consci dei propri difetti e forti dei propri valori. Create in loro le fondamenta per gli uomini e le donne che saranno.
Non basta donare la vita una volta sola nel giorno del parto, bisogna donar loro la nostra vita ogni giorno della nostra esistenza.