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TESTO I frutti

don Roberto Rossi  

III Domenica di Quaresima (Anno C) (14/03/2004)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il ritornello del salmo responsoriale "Il Signore ha pietà del suo popolo" riassume bene il messaggio della liturgia di oggi. Quello che ci viene rivelato e proposto è un Dio premuroso e attento, che osserva la miseria della sua gente, non è indifferente al suo popolo, ma ascolta il grido del suo dolore ed esaudisce. Se sentiamo molto l'invito alla conversione verso il Signore, possiamo dire che Dio, il Signore, per primo si è convertito al suo popolo, si è chinato verso ognuno dei suoi figli. Il pianto di chi geme risuona agli orecchi di Dio come una lunga preghiera; ogni lamento dell'uomo che soffre tocca il cuore di Dio. Non sempre si è pensato alla misericordia di Dio: era più istintivo e più facile credere in un Giudice supremo pronto a colpire che in un Padre che si preoccupa per la sorte dei suoi figli. Questo insegnamento della compassione e della misericordia è già presente in tutta la storia della salvezza dell'Antico Testamento. Mosè viene chiamato al roveto ardente, a lui Dio rivela il suo nome; ¸õs

Anche Gesù deve correggere quell'errore: parla di una disgrazia successa e ammonisce coloro che la vedono, come un castigo divino, come la vendetta di un Dio crudele. Il male non è una punizione per i cattivi (basterebbe pensare a Gesù e ai santi); il dolore è un enigma, un mistero che accompagna la nostra storia, ma che può servire a Dio per chiamarci a conversione e per diventare strumento di salvezza. Tutti siamo peccatori, ma Dio è colui che ripone sempre la sua fiducia in noi proprio come il contadino che zappa il fico sterile, gli mette concime e attende che porti frutto. Nessun peccato potrà mai distruggere la speranza che Dio ripone in noi: Egli non ci chiude nei nostri errori, ma crea sempre per ciascuno nuove opportunità. Questa è la vera conversione: camminare sulla strada che Dio sempre ci indica con la sua fiducia e un suo amore indescrivibile verso ciascuno di noi.

Le letture della liturgia di oggi ci richiamano l'impegno che ciascuno di noi ha di rispondere alla chiamata di Dio. Ci sono stati presentati tre casi: il caso di Mosè, che risponde subito e offre se stesso al Signore, il caso degli Israeliti i quali dicono " si" e " no", ubbidiscono e disubbidiscono, punteggiano con questo atteggiamento tutto il periodo della traversata del deserto; ci viene presentato anche il caso di quegli ascoltatori di Gesù che non si convertono; non si convertono neanche davanti a segni forti. Non si convertono come quel fico che non porta frutto. Ci viene messo di fronte, come in un trittico, la possibilità di tre risposte: la risposta di chi dice "sì" al Signore, la risposta di chi tentenna e oscilla e la risposta di chi si chiude.

Forse in ciascuno di noi ci sono tutte e tre queste risposte. In noi c'è Mosè, senza dubbio, e guai se non ci fosse; in noi ci sono gli Israeliti nel deserto, è normale che sia così nel cammino della nostra vita, e non dobbiamo neanche stupirci di questo; in noi c'è anche qualche cosa di quegli ascoltatori di Gesù i quali non si convertono e c'è anche qualche cosa del fico, che non porta frutto.

La liturgia ci invita a riflettere sulla nostra posizione; dobbiamo esaminarci dove non portiamo frutto e se certe volte nella nostra vita perdura questo atteggiamento di incredulità o poca fede, per cui la parola di Dio ci chiama e noi non rispondiamo.

Tutto questo possiamo trasformarlo in preghiera. Un giovane un giorno, commentando questo vangelo, ha scritto nel suo diario spirituale: "Signore, abbi pazienza ancora con me, non mi abbandonare, vedrai che porterò frutti buoni anch'io. Aiutami. Se vuoi, potami, metti concime, ma non sradicarmi, non abbandonarmi. Io credo in Te, ti amo, aiutami nella fede, accresci il mio amore!"

 

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