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TESTO Vivere il tempo che ci è donato

Paolo Curtaz   Ti racconto la Parola

III Domenica di Quaresima (Anno C) (14/03/2004)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Nel deserto Taborizziamoci, dunque. Riscopriamo la bellezza del volto di Dio, usciamo dalle nostre mediocri visioni di fede, saliamo sul Tabor, senza addormentarci, per vedere, almeno un po', il sorriso di Dio. Obiettivo della nostra fede è proprio l'incontro con Dio, niente di meno.

Siamo chiamati, nel cammino dell'essenzialità, a convertire il nostro cuore, a rivedere la nostra fede, a calibrare il nostro cammino. Il primo passo da fare, in questo anno dedicato a san Luca, è la conversione dall'idea di un Dio che mi mette i bastoni di inciampo al vero Dio, che mi lascia libero di scegliere.

Gesù, citando due noti eventi di cronaca dei suoi tempi, smonta una credenza popolare molto diffusa allora (e oggi). Un devoto medio pensava che le disgrazie, come appunto il crollo della torre di Siloe, punissero delle persone che – in qualche modo – avessero commesso degli orribili peccati. Così come la malattia, o l'handicap, la disgrazia veniva letta come un intervento corrucciato di Dio che, dall'altro della sua somma giustizia, scatenava la sua ira divina. E se un bambino nasceva malato? Orribile ma coerente risposta: i colpevoli erano i suoi genitori. Niente pietà, quindi, per i malati, né comprensione per le vittime della repressione romana: se erano stati uccisi era a causa dei loro peccati.

Meno male che sono passati duemila anni di cristianesimo! Oggi non siamo più così crudeli e diretti, ma la sostanza non cambia. Incontro molte persone che – in momenti di dolore e di sofferenza – se la prendono con Dio che, evidentemente, non sa fare il suo mestiere. Dio risulta, grottescamente, una specie di assicuratore sulla vita: la polizza che pago settimanalmente dovrebbe tutelarmi almeno dalle tragedie peggiori!

Banalizzo, lo so, e chiedo scusa agli amici lettori che davvero sono stati scaraventati nella prova malgrado la loro profonda fede. Ma ciò che Gesù dice è sorprendente, sconcertante: la vita ha una sua logica, una sua libertà. La causa del crollo della torre di Siloe è da imputarsi al calcolo delle strutture errato, o al lucro compiuto dall'impresa che ha usato materiali scadenti; l'intervento crudele dei romani è causa della loro politica di espansione che usa la violenza come strumento di oppressione. Non esiste un intervento diretto e puntuale di Dio, le cose possiedono una loro autonomia e noi possiamo conoscerne le leggi.

La torrida estate scorsa molti turisti accaldati e scocciati mi invitavano a pregare per il fresco. Rispondevo che il problema, probabilmente, era da ricollegarsi all'effetto serra, e che sarebbe stato meglio pregare Bush di firmare l'accordo di Kyoto. Anche Dio fa quel che può amici, anche lui è fermato dalla nostra ostinazione e durezza di cuore.

Dio è limitato, quindi? No, ma ferma la sua mano e ci lascia liberi, perché vuole dei figli, non dei sudditi. E, conclude Gesù, noi discepoli siamo chiamati a leggere questi eventi disastrosi come un monito che la vita, non Dio, ci fa: sotto la torre crollata potremmo esserci noi. Il tempo è serenamente fugace, amici, tragicamente breve, approfittiamo di questi giorni come giorni di salvezza e di conversione, non aspettiamo, non temporeggiamo.

Oggi il Signore passa e ci salva, oggi siamo chiamati a usare bene la nostra libertà ed andare a vedere il grande prodigio del roveto ardente, di un Dio che conosce il nostro nome e la nostra condizione.

A Mosé che tentenna nell'andare a parlare di Dio al popolo, Jawhé racconta di sé, dice il suo nome, e si svela come un Dio che conosce le sofferenze del popolo. Se anche la nostra vita attraversa momenti di fatica, Dio non è lontano ed interviene, chiedendo a qualcuno di agire in nome suo. Dio non guarda indifferente alle tragedie del mondo, ma chiede a noi, come a Mosé, di renderlo presente accanto a chi soffre. Al popolo che aspetta liberazione Dio manda un pastore pauroso, Mosé, come liberatore.

La vita è un'opportunità da cogliere per scoprire chi è Dio e chi siamo noi e il deserto è il luogo in cui esercitiamo la nostra libertà. Non esiste una vita più o meno semplice, ma ogni vita è un soffio breve che siamo chiamati a vivere con intensità e gioia. Gesù ci svela il volto di un Dio che pazienta, che insiste perché il fico produca frutti. La conversione, il cambiare atteggiamento, il ri-orientare la nostra vita è il frutto che ci è chiesto. Fermarci davanti agli eventi tristi della vita senza incolpare Dio, né scuotere la testa e tirare innanzi, ma guardarli come un monito che la vita stessa ci rivolge per giocare bene la nostra partita. Dio – da parte sua – è un Dio che conosce, che interviene, ma che rispetta, trattandoci da adulti, le nostre scelte, anche se catastrofiche e schiavizzanti. Sapremo svegliarci?

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