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TESTO Commento su Isaia 30, 18-26b; Seconda Corinzi 4, 1-6; Giovanni 3, 23-32a

don Raffaello Ciccone  

5a domenica Tempo di Avvento (anno C) (16/12/2012)

Vangelo: Is. 30, 18-26b; 2Cor. 4, 1-6; Gv 3, 23-32a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,23-32a

23Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.

25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».

31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza.

Lettura del profeta Isaia 30, 18-26b
L'orizzonte, entro cui ci si muove, è il mondo Assiro, violento di una violenza predatoria, che vuole combattere, vincere e saccheggiare i popoli dell'area mediterranea. Perciò tutti sono in subbuglio, poiché la guerra procura devastazione e morte. In Gerusalemme i consiglieri e il re, responsabili dei rapporti con i popolo vicini, stanno progettando alleanze con l'Egitto. Il profeta suggerisce invece che l'unico rimedio debba essere il ritorno a Dio, senza confidare nelle alleanze.
Perciò tutta la prima parte del cap. 30 è una durissima critica a questa fiducia nell'Egitto dei faraoni. Tra l'altro l'Egitto viene chiamato "Rahab l'oziosa" (30,7) e Rahab è il mostro marino femminile della mitologia corrente (a Babilonia è chiamato Tiamat) che Dio sconfigge nella creazione quando controlla e mette i confini al mare. Scelte non fondate sulla fiducia nel Signore comportano per se stesse tragedie e sconfitte: "Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui" (v 18).
Questo popolo deve mettere in conto che ci saranno sofferenze ("Anche se il Signore ti darà il pane dell'afflizione e l'acqua della tribolazione" v 20) e ci saranno momenti tristi. Ma tutto questo non dimostrerà certamente che Dio vi abbia dimenticati. Anzi il Signore vi accompagnerà con dolcezza e vi correggerà se vi saranno sbandamenti. (v 21). Le deviazioni sono in riferimento a quelle accettate tentazioni dl rivolgersi agli idoli. E il male che fa l'idolatria non è sempre compreso. Gli dei, costruiti dagli uomini con legno e metallo, non hanno e non propongono un orientamento morale. Allora tutta la legge di Dio, che è stata data sul Sinai nel deserto per conservare la propria libertà, diventa insignificante. Quando la si dimentica, si diventa schiavi delle proprie passioni senza verifiche e senza aiuti.
Ma se Israele si purificherà, allora ci saranno grandi doni per il lavoro che darà frutto. Si parla di agricoltura e di pastorizia che rappresentano i lavoro comuni e raggiungeranno risultati floridi. Le immagini si accavallano per raccontare l'abbondanza, la bellezza e la bontà dei doni.
Il contrasto interessante tra le torri che cadono (le difese sono sbriciolate) e i canali e torrenti sui monti dicono la difesa di Dio al popolo e l'abbondanza agricola di raccolti e di bestiame che si sviluppano perfino su terreni inadatti all'agricoltura.
Anche la luce della luna e del sole aumenteranno incredibilmente e Dio stesso si fa medico che guarisce "le piaghe del suo popolo" (v 26).
Seconda Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi 4, 1-6
In questa parte della lettera Paolo desidera sviluppare un confronto tra l'Antica Alleanza con le sue istituzioni e la Nuova Alleanza e il suo ministero che ha già svolto nella Comunità di Corinto, ma che alcuni cristiani, ancora molto legati all'ebraismo e alla sua cultura ("giudaizzanti"), gli contestano. (cap. 3).
Così Paolo, nel cap. 4, che leggiamo in parte oggi, inizia la descrizione del ministero della Nuova Alleanza, chiamato in precedenza, "il ministero dello Spirito". Paolo afferma con convinzione e consapevolezza che centro della propria predicazione è "Gesù, Messia e Signore" e che sua preoccupazione è quella di far splendere nel mondo la luce divina che brilla sul volto di Gesù.
Paolo stesso elenca le esigenze che il suo ministero comporta: manifestare la verità alla coscienza di ciascuno, preoccupato di non dissimularla, non nasconderla, proposta con un coordinamento corretto e coerente, in modo integro.
Paolo si impegna di dare un profilo alto dell'apostolo, ricco della sua esperienza di evangelizzatore itinerante: costanza, fortezza di spirito, sincerità, fedeltà, umiltà, servizio.
Paolo si rammarica, ma constata che il Vangelo predicato non è percepito nella sua genuinità e risulta "velato". Se non c'è chiarezza, il Dio di questo mondo (Satana) ha accecato la mente dei suoi, rendendoli increduli. Ma Paolo ha annunciato con correttezza "Gesù Messia e Signore": è la formula essenziale che esprime l'umanità storica di Gesù (Messia) e la sua glorificazione (Signore). Questa formula viene detta anche "Kerigma cristiano": è la sintesi della fede e tutto l'insegnamento degli apostoli si orienta su questa formula e la sviluppa. Il Vangelo, che non è sapienza di uomini, non può essere manipolato nel suo annuncio, né ci si può approfittare: " noi non predichiamo noi stessi" (v 5).
Il Dio, che ha creato la luce (Gn1,3), ha fatto splendere la nuova luce prima di tutto nel cuore degli apostoli e quindi nella sua manifestazione nel mondo: questa luce nuova risplende sul "volto di Cristo" e comunicare Gesù aiuta a intravedere questo disegno splendido di Dio che ci ha inviato Gesù uomo e luce stessa di Dio.
Accoglierlo significa, perciò, essere trasfigurati dalla stessa luce di Gesù.
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 3, 23-32a
ha aperto la strada a Gesù. Il brano che leggiamo riprende alcuni aspetti della testimonianza di Giovanni il Battista (vv 3,22-30) e si rifà alle riflessioni riguardanti il Messia iniziate con Nicodemo (vv 3,31-36).
Giovanni il Battista ha un seguito di discepoli che si sono aggregati a lui sia con il battesimo di penitenza e sia per l'insegnamento, mentre il suo compito si svolge prevalentemente con le folle che lo raggiungono, desiderose di ricevere dal profeta una comprensione del tempo che si sta vivendo e di essere aiutati per una conversione del cuore.
Ma i suoi discepoli incominciano a veder calare la frequenza della folla che si assottiglia mentre voci insistenti di pellegrini comunicano che molta più gente va in cerca di Gesù che battezza non molto lontano (ma proprio l'evangelista, qualche versetto dopo, chiarisce che sono i discepoli di Gesù che battezzano, non Gesù stesso: Gv 4,2).
Giovanni il Battista viene avvisato delle iniziative di Gesù e del suo seguito, ma il racconto è venato di irritazione: questo comportamento viene giudicato dai discepoli come un grave segno scorretto di concorrenza e di mancata lealtà. Giovanni allora chiarisce con una splendida testimonianza.
Giovanni garantisce che quello che avviene è corretto perché era in previsione e li aveva anche avvertiti: "Io non sono il Cristo, ma sono mandato davanti a Lui" (v.28).
«Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo» (v 27).
Per spiegare egli utilizza una immagine, familiare a tutti, che rappresenta anche una brevissima parabola: quella del matrimonio. Tale immagine restituisce il riconoscimento della identità e della vocazione di Gesù che è lo sposo e a Giovanni viene, per le sue stesse parole, affidato il ruolo dell'amico dello sposo. E l'amico dello sposo è incaricato di domandare la mano della sposa e, preparate le feste nuziali, di introdurla dallo sposo.
Perciò Giovanni gioisce perché lo sposo sta incontrando la sposa che si è preparata per Gesù. Essa, il popolo del Signore, è stata iniziata da lui stesso alla purificazione con la parola e l'invito alla conversione. Giovanni dichiara perfetta la sua gioia perché Gesù cresce e lui diminuisce (vv 29-30).
Le riflessioni successive (vv 31-36), di cui noi oggi leggiamo solo due versetti, sono pensieri dell'evangelista che accoglie la testimonianza di Giovanni Battista e garantisce che la Parola di Gesù è grande, viene dall'alto e testimonia ciò che ha visto e udito (v32a), a differenza delle molte altre parole che vengono da uomini della terra. Queste non sono necessariamente cattive, ma non svelano il volto di Dio come invece può e sa fare Gesù che viene dal cielo.
La testimonianza di Giovanni come la coerenza di Paolo e l'invito alla fedeltà del popolo di Dio incoraggiano ad uno stile di pienezza e di verità, lucido e trasparente, coerente con i propri valori e continuamente impegnato a non tradire la luce che il Signore ha voluto offrirci.
Il mondo ha bisogno di testimoni.
Non a caso, ai discepoli che debbono tornare da Giovanni a riferire la risposta al suo interrogativo angoscioso e profondo: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?" Gesù ha risposto: "Andate a riferire ciò che avete visto e udito" (Lc 7,20-22). Prima è necessario "vedere", e il testimone, dovendo manifestare ciò che ha visto, non può manipolare la sua testimonianza, ma è chiamato solo a dare garanzia di ciò che è avvenuto. Il vedere ci mette nella linea del conoscere, del verificare, del giocarsi come garanti. Poi è necessario "udire", e il testimone riporta il significato, il valore, l'innesto alla vita. Di fronte a ciò che il Signore ci fa vedere e quindi ci dice, è necessario non strumentalizzare, non deformare, non utilizzare per i propri interessi e comodi, non deteriorare, non manipolare.
Siamo in un periodo di crisi, di difficoltà in cui la sofferenza maggiore è la mancanza di lavoro.
Il grave disagio esistente si fa sempre più forte quando si constata la disparità di condizione sociale, e, insieme, l'arroganza di chi ha, l'incompetenza di chi è responsabile, la voracità di chi cerca solo il profitto, 'attaccamento al danaro che lo posta al furto, all'appropriazione indebita, al sottrarre al fisco i propri beni particolarmente vistosi, l'approfittarsi di un ruolo per guadagnare anche illecitamente.
In questi tempi la pace si gioca su una testimonianza gratuita, e allo stile della gratuità si dà ancora credito, salvo le malignità, le perplessità, le diffidenze. Ma il vero gratuito lo si chiarisce a distanza, a secondo della intelligenza, della passione, dell'accoglienza che viene offerta, della fedeltà.
La pace, quindi, si regge sulla collaborazione e condivisione, matura nel far emergere il valore di leggi giuste e l'importanza di una società coesa, si solidifica quando ci si preoccupa di riconoscere la dignità di ogni persona, incoraggiandola allo sviluppo, alla crescita, al coinvolgimento in opere comuni.

 

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