TESTO Avvento, amore ed umiltà
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
IV Domenica di Avvento (Anno C) (23/12/2012)
Vangelo: Lc 1,39-45
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Il tempo liturgico dell'Avvento, come abbiamo riscontrato con un colpo di zoom in queste Domeniche, non muove in senso casuale e non è privo di contenuti. Abbiamo infatti riflettuto sulla Domenica del Signore che viene, poi sull'avvento come conversione, quindi sull'avvento come motivo di gioia. Le letture odierne ci ragguagliano invece sulla semplicità e sull'umiltà di Dio, sulla sua predilezione per gli ultimi, per i poveri e per i semplici. Dio ama gli umili perché egli stesso si umilia.
Nessuno avrebbe mai concepito che un profeta potesse sorgere a Nazareth o che il Messia potesse nascere nel grembo di una servilissima donna, che lo accudisce nelle asperità di una grotta. Umanamente parlando, il Figlio di Dio dovrebbe pretendere ben altro, esigere maggiore attenzione da parte degli uomini e richiedere un'accoglienza sulla terra degna della sua grandezza. Anzi, per condurre l'uomo a salvezza avrebbe potuto procedere in ben altro modo che incarnarsi, per esempio manifestando la sua potenza per mezzo di segni sconvolgenti o comunque di estrema evidenza.
Ma il pensiero propriamente umano non collima affatto con quello del nostro Dio, nel quale Onnipotenza e Amore coincidono senza opporsi e l'amore per l'uomo si esplicita nell'umiltà e nell'accettazione delle umiliazioni.
Non è impossibile quindi a Dio incarnarsi e raggiungere l'uomo nella più assoluta delle precarietà e delle ristrettezze, nella più deprezzabile delle condizioni sociali, mostrando preferenza per la piccolezza e per l'assoluta modestia.
Ad enfatizzare la semplicità di Dio è il profeta Michea (I Lettura): "E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che dovrà essere il dominatore d'Israele." Non sono parole improvvisate queste del profeta minore d'Israele, perché tendono a recuperare le origini e a collocare la nascita del Messia nel contesto vivo della sua genealogia terrena. E anche essa è fatta di persone e di situazioni intensamente umili e semplici: Davide, uomo dalla profonda umanità e dalla spiccata generosità, capace di perdonare e soprattutto di chiedere umilmente perdono; la sua casa, la sua discendenza. Michea può profetizzare così quanto poi riferirà Paolo a chiare lettere: "Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono" (1 Cor 26 - 28). Si riscontra qui che la logica propriamente umana è incompatibile con le aspettative del Dio cristiano: questi si mostra logico e sapiente appunto perché rifugge dall'umano. In tutti i casi la sapienza di Dio è superiore di gran lunga a quella che l'uomo concepisce come tale.
Mentre le nostre scelte si orientano verso le mode dell'ultimo grido e prediligono i posti più elevati e le posizioni più eminenti, mentre la propaganda circuisce con la sua subdola persuasione occulta, facendoci apparire indispensabili cose in realtà del tutto futili e meschine, mentre siamo sempre più avvinti dal sensazionalismo di cose superbe e altisonanti, Dio ci suggerisce la via della semplicità e dell'umiltà. La fuga dalle altezzosità e la ricerca del nascondimento e della semplicità di vita apportano di fatto molte più gratificazioni che non la spettacolarità e il successo umanamente intesi. E' da prediligersi la sobrietà il procacciamento delle cose umili e dimesse, che alla fine esaltano molto di più, ci rendono maggiormente credibili agli altri e procurano inaspettate soddisfazioni e ricompense anche da parte di chi ci sta intorno. Non è forse vero che quanti lavorano nel silenzio, restando a lungo privi della considerazione degli altri, si mostrino molto più proficui e concreti di coloro che pavoneggiano se stessi nell'effimero esibizionismo di progetti in realtà presuntuosi e arrivistici? Come pure è ineccepibile che i più capaci di carità e di servizio disinteressato e sincero sono proprio coloro che si guardano dall'affermare e dall'autoesaltare se stessi: solo gli umili sono i veri generosi e i veri altruisti. Forse la soluzione di molti dei nostri problemi risiede proprio nel mancato amore per l'umiltà e per la mansuetudine. Da parte di Dio si manifesta una concezione del tutto opposta a quella conclamata dal sistema del nostro vissuto: nelle parole e nelle opere di Gesù Cristo egli rivela che la sua misericordia è indirizzata soprattutto ai più deboli e ai reietti, agli esclusi e a quanti non dispongono di un nome o di una posizione che li renda meritori di attenzione. Egli infatti si rende povero per essere dalla parte dei poveri, si umilia per esaltare quanti subiranno umane sopraffazioni, si espone all'odio e alla persecuzione altrui per recare speranza e fiducia ai vessati e agli oppressi di questo ingiusto sistema, si concede alla violenza e al dolore per glorificare le ferite e il dolore di tutti gli uomini. E' esaltante notare che nel Signore l'umiltà è una via percorribile anche per noi, poiché le caratteristiche di semplicità di vita che ci vengono richieste non sono per nulla paragonabili all' annullamento di se stesso che Dio stesso ha vissuto nel suo Figlio.
Essere umili e semplici non corrisponde però a mancare di intraprendenza e di creatività, e d'altra parte a poco varrebbe il non esaltarsi quando questo fosse sinonimo di inerzia e di inattività. E infatti Maria, la cui piccolezza e semplicità è stata appena esaltata da Dio nell'Arcangelo Gabriele, si accinge subito a partire verso la montagna, abbandonando la propria casa e le relative faccende per lo spazio di tre mesi. Capisce che, sia pure nell'umiltà e nella sottomissione, deve condividere la propria gioia con la cugina Elisabetta, che intanto ha ricevuto un motivo di esultanza parallela nella gravidanza straordinaria di chi prenderà il nome di Giovanni. Anche nell'incontro di esultanza fra le due madri gravide Dio mostra preferire la modestia e la piccolezza alle grandi cose, perché rivela come doppiamente la sua onnipotenza sia capace di prodigi: nella gestazione del precursore e nella preannunciata nascita del Messia. La salvezza viene quindi concessa a tutti, ma ne beneficeranno quanti si mostreranno palesemente contriti e umili di cuore, disponendo se stessi alla semplicità e all'amore verso gli altri.