TESTO Commento su Giovanni 18,33-37
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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) - Cristo Re (25/11/2012)
Vangelo: Gv 18,33-37
33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Padre Gianmarco Paris
Cerchiamo un re?
La fine dell'anno liturgico ci fa incontrare con due aspetti importanti della nostra fede (che vogliamo riscoprire, assaporare di nuovo, in questo anno della fede): la venuta finale del figlio dell'uomo (domenica scorsa) e Gesù re dell'universo.
Chiamare Gesù con il titolo di "re" suona un po' male alle nostre orecchie, ce lo rende forse un po' meno vicino, perché da tempo abbiamo superato la fase delle monarchie, e sentire parlare di re ci dà l'idea do qualcosa di passato. Di fatto questa festa non vuole allontanare Gesù da noi, semplicemente la liturgia si esprime con i termini della Bibbia, che frequentemente parla di Regno, di regalità, di trono, di re per parlarci di Dio e della sua presenza nel mondo.
Per capire il significato di questi termini dobbiamo chiederlo alla Bibbia, la quale racconta una storia, in cui ci sono molti re (antichi) e alla fine c'è un solo re, del tutto diverso da quello che pensiamo noi. La Bibbia contiene una storia, non delle idee, e solo ripercorrendo questa storia possiamo accogliere il messaggio di Dio per noi.
Le letture di questa domenica, come sempre, ci presentano qualche quadro della storia.
Cerchiamo di collegarli con la storia intera, per valorizzarne il messaggio.
L'evangelista Giovanni non parla di Gesù che annuncia il "regno di Dio", come gli altri evangelisti. Ma durante la sua passione, davanti a Pilato che lo interroga, non esita a riconoscersi re. In questa forte scena del processo, la parola "re" assume significati diversi, a secondo di chi la pronuncia. I giudei, che attendono un Messia-re, hanno consegnato Gesù a Pilato con l'accusa di proclamarsi re in senso politico, in alternativa a Cesare, come pretesto per farlo condannare. Pilato inizia l'interrogatorio su con questa prospettiva, e chiede a Gesù di pronunciarsi. Gesù dapprima nega di essere re; poi afferma di esserlo. Nega di essere un re politico, per cui non rappresenta un pericolo per l'impero romano; non si proclama neppure erede del regno di Davide. Quando dice che il suo regno non è di qui, sottintende che in un certo senso è re. Pilato incalza e Gesù approfondisce: di fatto è re, di un regno che viene da più lontano e più alto. Il suo regno accade per la presenza della verità, della quale dà testimonianza; i suoi sudditi sono coloro che stanno dalla parte della verità. Per Pilato, e per tutti noi che partecipiamo a questo processo, queste parole sono più che una spiegazione: sono un invito a mettersi dalla parte della verità, accettare Gesù come re, riconoscere il suo potere. Pilato capisce che Gesù va oltre, più in profondità, ma risponde on modo evasivo, mostrando di non aspettarsi nulla da quel galileo: cosa è la verità? Gesù non risponde a parole alla domanda di Pilato, perché sta rispondendo con la sua persona, con la sua obbedienza al Padre. Eccola la verità: è Gesù che si dona per amore, è la forza di chi si fa debole per stare con i deboli. accetterà Pilato di mettersi dalla parte della verità? Accetti tu di metterti da quella parte?
E così, senza accorgerci, invece di essere Pilato che fa il processo a Gesù, è Gesù che siede come giudice per fare un giudizio di separazione, tra chi sta dalla sua parte e chi non sta: in questo processo non c'è posto per la neutralità, lo stare fermi a guardare. Gesù è re in questo modo: come colui che non ha nessun potere politico o militare, come colui che sta per essere condannato da chi ha questo potere.
In questa condanna, paradossalmente, si conferma il potere di Gesù, principe dei re della terra, come dicono i primi versetti dell'Apocalisse: gloria e potere a colui che ci ama e con il sacrificio della sua vita (sangue) ci ha liberato dal peccato e ci fa partecipare del suo "regno" come sacerdoti, cioè coloro che sono in grado di offrire il suo stesso sacrificio, cioè il sacrificio della propria vita. Gesù ci insegna che il Regno che è venuto a instaurare si realizza quando siamo capaci di vivere per gli altri, vincendo il peccato dell'egoismo.
Un regno così debole e così forte è davvero il desiderio di tutti i popoli. Infatti Daniele nelle sue visioni ha visto venire sulle nuvole una figura umana che ha ricevuto da Dio il potere, l'onore, la regalità, al punto che tutti i popoli lo servono e che il suo regno non sarà mai distrutto.
Celebrare Gesù re dell'universo significa professare la fede nella presenza del suo Regno nel mondo, inaugurato dalla sua offerta sulla croce, e nel quale tutti siamo chiamati a far parte, seguendo l'agnello, il re, imitando il suo esempio. Significa anche relativizzare ogni altro potere che si impone sugli uomini.