TESTO Commento su Isaia 49,1-7; Filippesi 2, 5-11; Luca 23, 36-43
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
Domenica di Cristo Re (Anno B) (11/11/2012)
Vangelo: Is. 49,1-7; Fil. 2, 5-11; Lc 23, 36-43
36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Lettura del profeta Isaia 49,1-7
La speranza d'Israele poggia sulla forza di Dio e sulla sua fedeltà, ma l'intervento di Dio è posto sulle spalle di suoi "servi" che sono stati mandati: fedeli, coraggiosi, tenaci, consapevoli di ubbidire a Dio e di vivere nella sua volontà poiché questo è stato il progetto della loro vita: "Dal seno di mia madre mi hai chiamato" e servi di Dio sono stati Mosè, Samuele, Davide, i profeti e molti che si sono messi a servizio del Signore.
Ma poi il profeta introduce un personaggio misterioso, detto proprio "Servo di Jhwh", a cui ha consegnato una parola forte, coraggiosa, tagliente e lo ha scelto per raggiungere obiettivi di vita e di gloria.
L'esperienza, tuttavia, ha portato ad un insuccesso. E' crollato ogni tentativo, si sono esauriti tutti i progetti e tutte le energie. Si è salvata solo la fiducia del Servo di Dio e la fedeltà alla sua attesa. Il progetto doveva unificare "i superstiti d'Israele", coinvolgerli in un popolo fedele e coraggioso che sapesse riconoscersi nella fedeltà al Signore.
E' stato tutto inutile.
Eppure i Signore non si è scoraggiato e ha richiamato il suo servo a diventare "luce delle nazioni".
Tutto il mondo creato ha bisogno della speranza e della salvezza che viene da Dio poiché tutto il mondo è stato creato dal Signore e quindi Egli sa di che cosa gli uomini e le donne hanno bisogno. Questo è il messaggio che viene riproposto "a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti".
Non sappiamo che cosa l'autore biblico pensi quando ha detto ed ha scritto questi testi (un profeta anonimo che passa sotto il nome di "secondo Isaia"). Poteva riferirsi ad un profeta perseguitato che il Signore libera o poteva richiamarsi ad Israele che, finalmente, si orienta nella fedeltà dell'Alleanza, anche e nonostante le persecuzioni e le oppressioni subite.
Certamente i cristiani, che rileggono la Scrittura, vedono in questo testo una profezia bellissima sul Messia Gesù e ritraducono la fedeltà di Dio per mezzo suo e la fedeltà di Gesù verso il Padre che ha amato e ubbidito fino ad offrire la sua esistenza.
La Parola, che ha una sua consistenza, e la luce, che aiuta a capire ed a vedere, sono i doni che i credenti colgono e che accettano come eredità da offrire al mondo.
Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2, 5-11
Paolo sta sperimentando un cammino impensabile solo pochi decenni prima: egli sta operando nel nome di Gesù una convergenza di popoli nella umanità intera.
Giudei e pagani (detti "gentili" da "le Genti") si ritrovano insieme, riconciliati in Gesù e quindi in pace tra loro, con la stessa dignità e la stessa figliolanza con Dio. Per un segno nella carne (la circoncisione: l'espressione dell'Alleanza) che non hanno, i Gentili sono stati esclusi dalla cittadinanza di Israele e dalle promesse dell'Alleanza stessa. E questo ha tolto loro l'accesso ai doni di Dio e quindi alla salvezza.
Tra i due popoli non c'era comunicazione, tanto che anche solo un semplice passaggio di cortili del tempio, superando il muro di separazione che divideva i circoncisi dai pagani, sarebbe stato punito con la morte.
"Eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo".
Si parla di cittadinanza e di patti della promessa.
- La cittadinanza era un privilegio politico molto importante: essa oltrepassava i confini territoriali e Roma offriva, per meriti particolari, cittadinanza romana anche a degli stranieri. Paolo era un custode fiero e geloso della sua cittadinanza romana che lo salvò molte volte da processi, linciaggi e prigioni. E sapeva molto bene il valore di sentirsi, insieme, cittadini di un popolo.
- "I patti della promessa" si richiamano a fatti operati dai Patriarchi e dal Popolo condotto da Mosè, escludendo i pagani che sono cittadini di un mondo senza Dio, con idoli muti che non comunicano la loro volontà né la loro salvezza.
Cristo ha fatto un popolo solo con il suo sangue e si è sottoposto nella sua umanità ai precetti di quella medesima legge fino a subirne la maledizione: "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito (Gal3,13-14)". Così Gesù ha distrutto ogni inimicizia tra Dio e gli uomini e negli uomini tra loro.
Ora diventa possibile vivere, costruire ed annunciare la pace. Per Lui riceviamo lo stesso Spirito ed entriamo nel mondo di Dio. Paolo riprende il tema della cittadinanza (vv19-22) che si allarga oltre i confini e le culture.
Dalla cittadinanza alla casa-famiglia di Dio (2,19), alla casa-edificio. Tale costruzione si edifica sul fondamento dei profeti e degli apostoli, avendo come pietra angolare Gesù. Questa abitazione è il tempio di Dio nello Spirito, è la Chiesa Assemblea che accoglie e vive in comunione con il Padre. In questa Chiesa non ci sono distinzioni, ma compiti e responsabilità nel mondo perche sappia aprirsi a tutti, mantenendosi ben compaginata.
Lettura del Vangelo secondo Luca 23, 36-43
Luca, nel suo racconto sul Calvario e la crocifissione, sintetizza alcuni elementi fondamentali che, a suo parere, sviluppano tutti i messaggi di novità e di rivoluzione che Gesù porta nei momenti conclusivi della sua vita terrena.
Al centro della scena c'è una scritta: "Costui è il re dei giudei" (v 38).
E' la sintesi della sentenza, dell'umiliazione e del sarcasmo. E' l'infamia che rimanda alla frode, all'inganno, alla negazione e alla derisione della vita di Gesù. E' il suo fallimento ed è la giusta condanna che gli vogliono infliggere.
"Il popolo stava a vedere" (v 35), frastornato ed estraneo, poiché ciò che sta avvenendo è terribile e assurdo, senza alcun significato comprensibile. Il popolo è disarmato poiché è colpito nei suoi sentimenti più profondi e le sue sicurezze vacillano. Quest'uomo lo hanno incontrato sulla propria strada. Lo hanno giudicato giusto, uno che ha potere, colui che ha affrontato tutti, disarmato e lucido. Proprio quest'uomo non può subire una tale sorte. Così ciò che avviene è come un sogno brutale e impensabile.
Ci sono i capi che deridono il crocifisso. Questi sanno invece il valore di questi momenti. Erano stati scandalizzati dal Dio misericordioso di Gesù, lo avevano contrastato in ogni modo. Ora hanno messo alla prova questo suo Dio con un atto terribile ed un giudizio di condanna. Se Cristo ha operato con giustizia, Dio non sopporta un delitto così mostruoso. In fondo la loro lotta è con Dio. Ed hanno vinto. Ne sono sicuri. "Non è il Cristo di Dio, l'eletto" se non sa sottrarsi al giudizio, se non sa salvarsi, se Dio non viene a salvarlo.
I soldati sono carne da macello, impegnati in un mestiere violento, lontani dalle loro famiglie per guadagnarsi una paga per campare, buttati in una realtà assolutamente diversa dal loro mondo, diversa per cultura, tradizioni, religione e rispetto. L'unica loro garanzia sono il vivere la violenza e incutere paura. In questo caso è scattato un criterio che li coinvolge: quello di avere per le mani un re. Di potere e di regalità se ne intendono. Così si divertono e deridono Gesù mentre gli danno dell'aceto. Lo dissetano con quella schifosa bevanda che spesso bevono anche loro. Di regale non c'è nulla poiché questo re non ha un seguito, un esercito o almeno un drappello di guardie e tutti gli sono contro. Il cartello della regalità è una solenne menzogna che li diverte: non è mai capitato a loro un tale processo, un tale imputato, un tale delinquente, un tale poveraccio, un tale credente.
In contrapposizione a tutto questo, non c'è nessuno che prenda le difese. Risuona solo una parola che è preghiera fiduciosa e filiale. "Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»".
Nel caos e nella tragedia è chiamato Dio come Padre per perdonare. Così il condannato non prega per essere salvato ma chiede al Padre che i suoi crocifissori siano salvati. Assurdità e pazzia. Ma la parola di Gesù è l'unica preghiera al Padre che si alza da questo luogo di maledizione e rimane come una sentenza di misericordia nel mondo.
Anche coloro che sono condannati con Gesù reagiscono a questo processo di annientamento. Uno insulta questo re senza potere che non salva sé né i malcapitati con lui in una solidarietà di sfida contro l'autorità. L'altro condannato apre un orizzonte insospettato di speranza. Anch'egli rilegge il cartello obbrobrioso, scandaloso, infamante, e scopre un significato terribilmente nuovo, carico di speranza.
Gesù sta costruendo un nuovo regno e sta entrando in un mondo nuovo, dove il potere è nelle mani del Padre che Gesù ama. E sente anche che il Padre è presente in questo momento, inconcepibile, di crimine e di peccato. Gesù sta ricuperando per il mondo il perdono dalla generosa mano di Dio e solo questo crocifisso, accanto a Gesù, lo sa.
E' il mistero che il buon ladrone dipana perché lucidamente apre gli occhi e il cuore al giusto e non giudica con i propri schemi, con le ideologie ereditate, con gl'interessi di parte, ma guarda, ascolta e ricorda, probabilmente, notizie e discorsi di questo maestro che sono corsi di bocca in bocca. Non sappiamo il motivo della sua condanna a morte. Probabilmente è uno degli oppositori accaniti contro l'esercito romano, un ribelle che ha sentito dire da parte di Gesù:"Amate i vostri nemici". Ed oggi sta sperimentando, lui stesso, il significato di questa parola, che Gesù ha predicato e che gli sembrava assurda. Ora, proprio Gesù la sta vivendo, intercedendo presso il Padre. Si accorge che gli sta offrendo il vero significato di re nel mondo. Egli è il vero pacificatore e salvatore di ogni realtà e si fida di lui. Non sa che cosa chiedere. Implora solo un ricordo, un pensiero di presenza, una intercessione: "Ricordati di me".
Gesù esprime la sua regalità sconcertante in questo momento. Nessuno l'ha ancora interpretata, eppure è vera, garantita. "In verità, in verità ti dico". Un regno c'è e un re sta per entrarvi trionfalmente poiché il Padre lo aspetta con tutto l'amore che porta e con tutti coloro che Gesù ha raccolto nel suo cammino terreno e che raccoglierà. Non c'è solo un ricordo, ma una ospitalità.
La riflessione della Comunità cristiana si piega su questa esperienza di Gesù, che è sempre sconcertante, e capisce ogni giorno che il significato della regalità di Gesù deve essere continuamente scoperto.
La Chiesa è serva e non padrona, offre e non pretende, ama e sostiene. La Chiesa deve fare opera di pace, giocandosi in ciò che è e ciò che fa. La Chiesa sta dalle parti del povero, del rifiutato, dello sprovveduto e ricostruisce un mondo dove sia veramente riconosciuta la dignità di ciascuno e dove la parola "fraternità" diventi un progetto da ricostruire ogni giorno.