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TESTO La parabola della zizzania del campo

Ileana Mortari - rito ambrosiano   Home Page

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Vangelo: Mt 13,24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

La seconda delle sette parabole del Regno contenute nel cap.13° di Matteo è quella del buon grano e della zizzania, che è propria del primo evangelista.

Come sempre, la parabola è ambientata su uno sfondo familiare agli ascoltatori di Gesù: la campagna. Il padrone di un campo semina il grano, ma durante la notte il suo nemico semina nello stesso luogo della zizzania, classificata dai botanici come "lolium temulentum", una pianta graminacea, anzi un'erbaccia pestifera che inizialmente non si distingue dal frumento, mentre al momento del raccolto è riconoscibile perché più corta, sgraziata e senza spighe; i suoi chicchi, se misti al grano, ne rendono amara e malsana la farina.

Ora i servi chiedono al padrone se possono procedere immediatamente a togliere di mezzo la pianta dannosa; ma il padrone osserva che, al momento, c'è il rischio di sradicare anche il grano con la zizzania e dunque è meglio separarli solo al momento della mietitura (le due piante infatti non si distinguono prima della maturazione e le radici della zizzania sono così solide che non si può strapparla senza compromettere anche gli steli di grano!); solo al momento del raccolto sarà possibile separare agevolmente le due piante, destinandole l'una al granaio, l'altra ad essere bruciata.

Come va interpretata questa parabola? Anzitutto è lo stesso Maestro che la spiega ai suoi discepoli (vv.36-43): il "padrone di casa" è Gesù (cfr. Matteo 10,25) e il nemico è il diavolo; grano e zizzania rappresentano il bene e il male. In secondo luogo, aldilà dei singoli elementi della parabola, che non sempre alludono necessariamente a qualcosa, occorre individuare la cosiddetta "punta della parabola", cioè il "centro" verso cui converge tutto il discorso e che deve soprattutto attirare l'attenzione dell'ascoltatore e farlo riflettere. In questo caso il punto focale è "lasciate che l'una e l'altra crescano insieme fino alla mietitura" (v.30), cioè bene e male sono di fatto coesistenti e intrecciati nel corso della storia umana ed è impossibile separarli nettamente.

Che cosa avrà voluto significare Gesù con questa parabola? A quale situazione avrà voluto alludere? Non è difficile rispondere se si pensa al tipo di attesa messianica allora largamente diffusa. La letteratura giudaica intertestamentaria parla di un imminente giudizio divino, che avrebbe nettamente separato gli empi dai giusti (cfr.il Salmo 5, vv.5-7), dato che "il popolo sarà tutto di giusti" (Deut. 60,21). Si aspettava di conseguenza un "giudice" escatologico che subito facesse piazza pulita dei malvagi e instaurasse la comunità dei puri. Al tempo di Gesù erano soprattutto farisei (termine che significa "separati"), esseni e circoli apocalittici che non tolleravano la convivenza con chi non era puro e incontaminato.

Ora è evidente che il messaggio di questa parabola va in tutt'altra direzione: non si deve avere l'impazienza, lo zelo sia pure buono di togliere subito di mezzo tutti gli operatori di iniquità; e questo fondamentalmente per due ragioni: prima di tutto è solo Dio che vede fino in fondo nei cuori

degli uomini e sa chi sono i giusti e gli empi; in secondo luogo la distinzione tra buoni e cattivi passa più nel cuore di ciascuno di noi che nel consorzio degli uomini. L'esperienza del peccato, purtroppo connaturata ad ogni essere umano, ci insegna che è innanzitutto dal nostro cuore che

dobbiamo estirpare il loglio/zizzania. E non solo a parole, ma soprattutto con il suo comportamento Gesù ha ribadito tale verità, tanto da attirarsi l'accusa di connivenza con i malvagi da parte di scribi e farisei.

Dunque l'insegnamento principale della parabola è proprio quello della pazienza, della tolleranza, della fiducia senza mezzi termini in Colui che, solo, scruta i cuori.

Passando all'attualizzazione, è evidente che il racconto della zizzania mostra come, in tutti i tempi, la compresenza di bene e male nella storia degli uomini fa sorgere l'inquietante interrogativo: "Perché Dio permette tutto ciò?" Vengono in mente le famose parole di Epicuro: "Se Dio vuole togliere il male e non può, è debole; se può e non vuole, è ostile nei nostri confronti; se vuole e può, perché non lo elimina?"

Una prima risposta ci viene dalla stessa parabola, successivamente spiegata ai discepoli da Gesù (vv.36-43): "Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti." (vv.41-42).

Cioè: è solo alla fine del mondo che verrà attuata quella giustizia divina che la nostra impazienza vorrebbe vedere in atto immediatamente.

Ma la risposta più importante ed esaustiva ci viene dalla vita stessa di Gesù, che incarna la pazienza di Dio e la vive in sè; ed è particolarmente nell'ora della passione che tale pazienza si rivela mirabilmente: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Luca, 23, 34). Piuttosto che fare immediatamente piazza pulita di tutti gli operatori di iniquità, Gesù ha preferito subire Lui il male fino alla morte di croce. Attraverso il Figlio Gesù, Dio stesso è passato nel male, nel dolore e nella morte, assumendoli, vivendoli, unendoli a sé. Ed è proprio in questo modo, dall'interno, che li ha sconfitti. La resurrezione di Gesù è la risposta èclatante, da parte di Dio, all'interrogativo di cui sopra circa la presenza del male. In Lui esso è radicalmente sconfitto, anche se gli è concesso, ancora, di imperversare sulla terra per il tempo della storia umana.

 

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