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TESTO Commento su Isaia. 43, 10-21; Prima Corinzi. 3, 6-13; Matteo. 13, 24-43

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

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Vangelo: Is 43, 10-21; 1Cor 3, 6-13; Mt 13, 24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Lettura del profeta Isaia. 43, 10-21
Tutto il brano è un incoraggiamento ad Israele, un popolo lontano da Gerusalemme, deportato dalla potenza di Babilonia ed ora profondamente nostalgico di un ritorno alla terra che il Signore gli aveva consegnato. Nella prima parte l'autore invita a guardare indietro, su quanto il Signore ha fatto, sulla liberazione che era sta voluta secoli prima uscendo dall'Egitto, progettata, maturata attraverso la fede di Mosè che seppe vincere Faraone. Il popolo d'Israele deve riprendere le sue forze ritornando alle origini, mantenendo fede alla legge ed alla memoria dei grandi fatti, operati da Dio. Questo popolo ha sempre creduto che, comunque, non doveva disperare e le meraviglie del Signore debbono diventare patrimonio delle nuove generazioni. Nel Salmo 78,3-4 il popolo prega: "Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto".
Stiamo leggendo un testo del "secondo Isaia", scritto nel secolo VI da un profeta anonimo che ha continuato il libro di Isaia, vissuto nel secolo VIII. Questa parte (capp.40-55) è chiamata "Il libro della consolazione" perché, in vari momenti, vengono annunciate liberazione e salvezza per Israele.
Ho trovato un bellissimo paragone per cogliere lo spirito e la fede d'Israele. Israele vive la sua storia come i rematori che avanzano, volgendo le spalle alla meta e si orientano fissando gli occhi sul punto di partenza e sul percorso ormai fatto. Da qui l'affermazione drammatica e altissima del Signore per mezzo del profeta: "Voi siete miei testimoni e il mio servo che io mi sono scelto" (43,10). Il profeta ripete i tre verbi propri della cultura ebraica nel confronto di Dio che Dio stesso pronuncia: "Vi ho scelto perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io" (43,10).
Il Signore si è messo con la sua potenza a servizio d'Israele: "Ti radunerò, ti faro tornare. Dirò al settentrione: "restituisci e quindi al mezzogiorno non trattenere, fa tornare, fa uscire" (43, 6-8).
Nella poesia del ritorno si sviluppano splendide caratteristiche del Signore che garantisce di essere: "il primo e l'ultimo, il tuo Salvatore, sono Dio, sempre il medesimo dall'eternità, il Redentore, il Santo d'Israele. Sono il Signore, il vostro Santo, il Creatore d'Israele, il vostro Re"(43,11-15).
A un popolo disamorato e rassegnato viene portata una speranza che lo risvegli. Si intravede la prospettiva della distruzione di Babilonia e, all'orizzonte, si profila il re Ciro che sconfiggerà Babilonia.
Ora, però, tutto si apre e l'invito capovolge il modo di esaminare il tempo: ora Israele deve guardare davanti e si deve organizzare per il futuro in un ritorno che ha le grandi immagini della creazione: acqua, abbondanza, gioia, libertà, facilità di cammino, convivenza con gli animali non più nemici.
Il Signore è sempre all'opera.
"Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" (43,19). E' necessario saper percepire i segni e le tracce di Dio nell'oggi
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. 3, 6-13
La Comunità cristiana fatica a maturare criteri di libertà e di fraternità poiché tende a dividersi in gruppi contrapposti, scambiando i predicatori o i missionari come politici o capiscuola di filosofia da contrapporre gli uni agli altri. Paolo rimprovera quelle divisioni che stanno frantumando la comunità stessa con gruppi contrapposti ("ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io di Apollo», «Io di Cefa (Pietro)», «E io di Cristo» 1,12). "E invece siete tutti una sola cosa in Cristo" (3,22).
Questa comunità è ancora molto lontana dalla sapienza di Dio. E per questo Paolo sente di dover trattare questi cristiani come fratelli incapaci di cogliere la vera sapienza. "Non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali ma carnali" (3,1). Ma cosa sono i ministri del Vangelo? Sono servi (3,5) che hanno il compito di intervenire, completando, aiutando a maturare, impegnando le energie e le sapienze di ciascuno perché si orientino verso il Signore Gesù, costruiscano e facciano crescere. Ognuno di noi ha un suo compito per guidare alla fede e non alla sapienza umana. Ognuno di noi dà una mano, ma non è nulla: "Solo Dio fa crescere" (3,7). E' la grazia del Signore la vera dispensatrice di sapienza e di vita. Coloro che sostengono il lavoro di evangelizzazione sono uniti: essi operano per lo stesso progetto, per la stessa sapienza. Saremo riconosciuti dal Signore, certo, ma "secondo il lavoro fatto", secondo la propria fatica (3,8). L'immagine del servo diventa l'immagine del collaboratore per due tipi di lavori comuni che si conoscono: l'agricoltura e l'edilizia. "Siamo collaboratori di Dio e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio" (3,8). Il Signore fa crescere, utilizzando ovviamente il lavoro di chi pianta, di chi irriga, di chi organizza la costruzione. E Paolo dice che il Signore, "per sua grazia" (3,10), gli ha permesso di porre il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra". Ma resta la responsabilità di dover costruire con sapienza e lucidità: "ciascuno stia attento a come costruisce". Tuttavia bisogna sempre ricordarlo: unico è il fondamento. "Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (3,11).
La riflessione successiva sui materiali di costruzione entra nella preoccupazione di lavorare al meglio e utilizzare ciò che è pregiato e resistente poiché, alla fine, tutto sarà saggiato con il fuoco. Non si tratta del fuoco dell'inferno o del purgatorio, ma il fuoco del giudizio, secondo la riflessione e credenza giudaica e cristiana, a cui spetta la verifica di ciò che ha avuto valore e di ciò che è scadente
Lettura del Vangelo secondo Matteo. 13, 24-43
Le tre parabole, che oggi leggiamo, fanno parte del terzo discorso (su cinque) che Matteo riporta nel suo Vangelo. Dopo il "discorso della Montagna", detto anche "delle beatitudini"(cc 5-7: Gesù non è venuto a abolire la legge ma a portarla a pienezza), e dopo il discorso "missionario" (c 10: il Regno è proposto a tutti dai discepoli, che hanno accolto le beatitudini, sapendo di vederlo accolto e rifiutato), Matteo richiama il terzo discorso sulle parabole (c 13): il Regno cresce lentamente ma sarà inarrestabile nella storia.
Le parabole di questo discorso sono sette ed oggi ne leggiamo tre. Gesù, alla riflessione unisce anche la narrazione, ponendo al centro il Regno che pure è misterioso e di non facile comprensione, anche se le parabole sono considerate facili esemplificazioni del mistero di Dio. Gesù stesso dice che: "(le persone) guardando non vedono e udendo non ascoltano e non comprendono" (13,13).
E invece a voi (discepoli) "è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli" (13,11). Le parabole vogliono condurre l'ascoltatore a prendere decisioni sul messaggio di Gesù.
La semina del buon grano e della zizzania. Un uomo (il padrone di casa) ha seminato del "buon" grano nel campo (e "buon grano" richiama la creazione dove Dio fece "buone" tutte le cose).
Il tempo passa e, con sorpresa, a distanza di mesi, ci si accorge che qualcuno, non visto, di notte, (il nemico) ha seminato la zizzania. Abbastanza simile al grano, con grani nerastri, cresce fino a 60 cm. Le sue radici si intrecciano a quelle del grano stesso e produce semi più leggeri del grano, immangiabili, mangime per gli uccelli.
Sorge tra i servi la preoccupazione di ripulire il mondo, di prendere le distanze poiché non siano contaminati, potendolo essere. La volontà di giudicare subito, e cancellare immediatamente ciò che è male, nasce dalla paura, ma potrebbe sradicare anche l'innocente, la persona fragile, debole, non ancora consapevole.
Il Signore, invece, suggerisce: nel mondo bisogna crescere, maturare, convivere per chiarirsi e sostenersi, prendere coscienza e decidere via via. Con equilibrio e pazienza bisogna conoscere, riflettere, scegliere e cambiare. Ciò che vale deve irrobustirsi per mostrare il proprio valore e riscattarsi. C'è tutto un mondo che va rispettato, salvato, ancorato in ciò che ha di bello e le nostre paure possono cancellare la stessa bellezza che il Signore ha seminato. E questo vale anche nella Chiesa che non è fatta di santi, ma di uomini e di donne che possono sbagliare, giocandosi la libertà.
Viene alla luce lo sguardo di misericordia con cui il Signore ci guarda. Gesù vive così la sua esperienza e si scontra con i sapienti della legge. Egli denuncia la loro rigidità di giudizio che spesso nasce da pregiudizi. Così facilmente giungono a condannare il giusto e addirittura a voler sradicare la bellezza di Dio tra noi che è Gesù.
Il Card. Martini ci ha aiutato a scoprire questo volto di Dio in ogni persona, questa piccola fiamma di luce anche in ogni non credente. Egli diceva che la sua parrocchia di elezione era il carcere e ci teneva ad andare spesso a trovare i detenuti ed a parlare. Lo capirono anche i brigatisti quando, accettando la sconfitta della loro violenza, consegnarono in Arcivescovado, nel 1983, le loro armi. E' importante per ciascuno che si accetti di capire, di ricercare, di ripensare.
Quando l'evangelista ripensa alla sua comunità che sta vivendo la fatica della fede nel mondo pagano, teme che si addormenti senza preoccuparsi della coerenza e della lotta. Perciò il racconto prosegue in casa, con i discepoli, che rappresentano la Comunità cristiana. Il racconto prosegue, probabilmente con una spiegazione che interpreta la fatica di quel momento nella comunità di Matteo. Il linguaggio si fa violento, sullo stile dei rabbini che con immagini angosciose rileggono il dramma del mondo, con le immagini del fuoco, del diavolo, del giudizio, della tragedia e della condanna. Probabilmente Matteo si preoccupa, nella spiegazione, di riprendere temi forti per scuotere i credenti addormentati: è il suo modo di ripetere ciò che aveva detto S. Paolo: "Risvegliatevi dal sonno" (Rm 13,11-12) e Gesù stesso, riportato da Marco: "Vigilate" (Mc 13,35).
Il granello di senape ed il lievito. Le altre due parabole (vv. 31-35) richiamano la ricchezza del Regno che sorge in realtà povere, con un profeta disprezzato e non certo glorioso. Come un seme, è fecondo e porta una forza sconvolgente.
Le due parabole hanno un curioso richiamo di coppia: l'uomo che lavora la terra e la donna che impasta 50 Kg di pane. Gesù vede l'uomo e la donna nella stessa dignità e valore, e lo richiama spesso, come quando sono usciti dalle mani di Dio nella creazione.
Dio agisce in modo imprevedibile e il Regno agisce in modo invisibile. Anche l'esempio del lievito che, per gli ebrei, era riferimento alla corruzione in rapporto con la purezza del pane azzimo (senza lievito) della Pasqua, ricorda l'aspetto della quotidianità come segno di ciò che Dio fa e offre nella positività. Così la Chiesa vive nel mondo la fiducia e la fedeltà di Dio. "Siete la luce del mondo, il sale della terra" (Mt5,13). Come luce, sale, lievito, seme, pazienza attiva e gioiosa, operosità attenta a tutto ciò che c'è di buono, in particolare del cuore di ogni persona, la Chiesa deve e vuole vivere il gusto, la purificazione e la preservazione dalla corruzione

 

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