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TESTO Alzati e mangia

don Cristiano Mauri   La bottega del vasaio

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Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Cammina Elia, cammina per quaranta giorni e quaranta notti. Cammina su una strada che non avrebbe voluto percorrere, sorretto da un cibo che non avrebbe voluto mangiare, verso una destinazione che non aveva desiderato.
Gli sta bene.

Perché fino a quel momento l'obbedienza autentica non era stata certo la sua prima virtù.

La passione, l'impeto, l'entusiasmo, il vigore, la forza - fino alla violenza - lo avevano spinto a sovrapporsi con facilità al disegno del suo Dio. Un eccedere continuo di zelo nel voler cercare di ricondurre Acab, dall'idolatria in cui era caduto, al culto di Jahvè aveva prodotto azioni discutibili, parole e atteggiamenti non sempre adeguati. Come se Elia, prima ancora di ascoltare le indicazioni di Dio, avesse un suo programma di lavoro, un discorso personale da portare avanti. Così l'agire e il parlare di Dio attraverso Elia arrivavano con l'aggiunta di qualche glossa.

La profezia di una siccità, un massacro di profeti avversari...

E così il profeta finiva col proporre un suo personale volto di Dio, non sempre così aderente a quello originale.

Elia aveva bisogno di placare questa sua volontà di potenza. Era necessario condurlo al silenzio. Occorreva che il discorso personale del profeta lasciasse effettivamente spazio alla Parola di Dio, alla Sua volontà, al Suo disegno.

Eccolo qui, allora, nel deserto. Spaventato. Solo. Nel pieno del fallimento. Desideroso di morire.

Ora, toccato il fondo, Elia può cominciare ad ascoltare. «Alzati e mangia». E ad obbedire.

Ora portato al silenzio, fatte tacere le sue voci su Dio, può finalmente ricevere da Lui la vera e piena rivelazione del Suo volto. Placato l'impeto, Elia si fa condurre fino all'Oreb, dove avviene il famoso episodio.

«Gli disse: "Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore". Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera (la voce di un silenzio svuotato). Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: "Che cosa fai qui, Elia?". Egli rispose: "Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita". Il Signore gli disse: "Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Cazaèl come re su Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsì, come re su Israele e ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto. Se uno scamperà alla spada di Cazaèl, lo farà morire Ieu; se uno scamperà alla spada di Ieu, lo farà morire Eliseo. Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone, tutti i ginocchi che non si sono piegati a Baal e tutte le bocche che non l'hanno baciato"» (1Re 19,11-18).

Nell'apparire a Elia, Dio si mostra anzitutto come Silenzio.

L'opposto dello strepitare chiassoso, violento, orgoglioso e arrogante con cui Elia finora aveva svolto la sua missione. Elia viene ricondotto alla vera identità del credente: colui che, fatta tacere ogni altra voce, rimane nell'ascolto della voce del suo Dio. La pazienza, l'amore e la pervicacia di Jahve accompagnano il profeta dentro la dimensione più autentica della fede: l'obbedienza; virtù di chi vive nell'ascolto e dell'ascolto di Dio. Ora Elia, vuotato di sé, accolta la rivelazione di Dio per ciò che è può riceversi di nuovo dalle Sue parole come autentico poeta. L'incarico di Dio ridà a Elia la sua più propria identità e il suo vero posto nella storia del popolo. Il dettaglio finale del discorso di Dio è decisivo. Dio apre gli occhi ad Elia anche su quella che era la vera situazione del popolo: Elia non era rimasto solo, ben settemila uomini non avevano rinnegato Jahve.

Perché Elia non li vede? Che cosa c'era ad impedirgli di riconoscerli? Che cosa portava i suoi occhi a posarsi altrove e non su quegli uomini fedeli a Jahve. Chissà, forse il ruolo eroico che si era ritagliato, forse un modello di Dio tutto suo che amava portare avanti, forse un orgoglio fuori controllo. Certamente un "discorso già pronto", un programma, un piano d'azione; insieme a delle precomprensioni, un modo di vedere le cose, un'esperienza religiosa che si era personalmente costruito. Qualcosa che lo rende molto simile ai Giudei del Vangelo: persi nei loro discorsi e nelle mormorazioni che Gesù rimprovera loro, non sono da tempo disponibili a lasciarsi istruire da Dio e, accecati, non riescono a distinguere nell'uomo Gesù la Sua presenza.

Ciò che colpisce di Elia è il fatto che proprio una certa esperienza o precompressione di fede gli fanno letteralmente "perdere" settemila uomini; senza dimenticare che arriva al punto di perdersi a sua volta. Da lì Elia ne esce solo perché viene ricondotto al silenzio e riattivato nell'esperienza del vero ascolto.

Esiste il pericolo reale di costruirsi un'esperienza di fede che, anziché aprire gli occhi sulla realtà e i suoi significati, rende ciechi, o quanto meno settoriali nella visione delle cose. Questo capita, evidentemente, quando si cade nello stesso errore di Elia. Quando ci si dimentica che la fede resta qualcosa che ci viene consegnata da un Altro, verso il quale dobbiamo rimanere in atteggiamento di dipendenza continua pendendo dalle sue labbra, letteralmente: obbedendoGli.

Mi chiedo quanto non si corra il pericolo come Chiesa di cadere in queste dinamiche. Quando prevale un certo attivismo pastorale, quando hanno la meglio gli schemi preconfezionati sul discernimento, quando anziché stare di fronte alle storie degli uomini si cerca di ricondurle ai nostri criteri interpretativi, quando la dimensione contemplativa della vita passa in secondo piano, quando la Parola non interroga ma diventa un ricettario...

Accade anche alle nostre Chiese di perdere per strada pezzi interi di storia dell'uomo, semplicemente perché non vengono letteralmente "visti". Non ci stanno nei nostri schemi, ergo non esistono.

Anche quando sento i soliti ritornelli: "siamo in pochi ... non c'è più nessuno che crede... siamo rimasti i soli..." mi vengono facilmente in mente le parole di Elia e i settemila che Dio gli mostra.

L'unico vero antidoto è quell'ascolto che Gesù ancora raccomanda.

Il discepolo è colui che rimane in costante atteggiamento di ascolto della voce del Suo Maestro che parla nelle Scritture, nella vita della Chiesa, nella storia degli uomini. Un ascolto umile e docile, permeato della disponibilità a lasciarsi condurre dove Dio vorrà e a lasciarsi nutrire del cibo che Lui riterrà opportuno; un ascolto dinamico, capace di rimettersi continuamente in moto e di rinnovarsi ad ogni Parola ascoltata.
Il discepolo è l'obbediente, vive dell'ascolto.
Chi non ascolta, perde la fede.

 

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