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TESTO Il Vangelo è martirio

mons. Antonio Riboldi

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/02/2004)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Vorrei che alla riflessione evangelica fosse ben presente quanto la Chiesa propone ogni prima domenica di Febbraio, chiamata "Giornata per la vita", che quest'anno ha un titolo suggestivo e nello stesso tempo impegnativo almeno per chi ha della vita il giusto concetto: "Il dono più grande che Dio ci ha dato e che va accolto con la gioia di chi sa apprezzare i veri tesori".

Il Vangelo di questa domenica pare ci conduca per mano in questo tema di capitale importanza (tutti abbiamo coscienza che il nostro Occidente ha aumentato il benessere senza volto e anima a scapito della accoglienza dei figli) invitandoci al "coraggio della profezia" o della proclamazione della verità, coraggio che esalta i martiri e evidenzia la grandezza vera dell'uomo o donna. Assistiamo tutti, credo, alla dissacrazione della vita che poi si traduce nel rifiuto dei bambini, o addirittura nelle manipolazioni della stessa vita, al suo nascere, le non si può non sentirsi indignati.

Ma l'uomo molte volte si indigna solo sul maltrattamento delle cose, della natura e di ciò che non ha anima, non ha la bellezza dell'uomo, e non fa lo stesso con la vita.

E' un perdere la conoscenza del valore dei beni di cui Dio ci ha fatto dono. E scandalizza vedere una certa indifferenza a tutto questo, permettendo così che sulla vita, al suo nascere, si possano fare esperimenti, come se gli embrioni non fossero il meraviglioso frutto dell'amore dei genitori, ma "una cosa" da usare o gettare. Tutti noi non finiamo di dire grazie al Signore per avere concesso a papà e mamma di unirsi a Lui nella procreazione.

E sapere che io, voi, siamo il frutto di un grande amore che si è fatto "carne e vita", ci fa quasi sentire la continuità di questo amore di papà e mamma nella stessa nostra genetica: ossia nel nostro carattere, nel colore dei nostri occhi, nello sguardo, nel fisico, tanto che è come se l'amore che ci ha concepiti continuasse in noi. E anche solo dire "papà" o "mamma" è come gridare una gioia, cantare un Te Deum. Chi potrà mai anche solo lontanamente descrivere il bello del cuore che sentiamo quando diciamo "mia mamma...mio papà!"? Parlo spesso pubblicamente di mamma, per rendere vivo un amore che ci lega, come se il cordone ombelicale non fosse mai stato reciso e non verrà reciso neppure in Paradiso.

Ma ci vuole coraggio oggi per difendere la vita, tanto coraggio. Si diventa corresponsabili del disamore, o peggio, alla vita, se siamo indifferenti o se tacciamo.

Il profeta Geremia oggi ci indica la via del coraggio: "Mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta su tutte le nazioni. Tu dunque cingiti i fianchi: alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno perché io sono con te per salvarti" (Ger. l,4-5).

E quanto costi dire la verità, con carità, senza guardare in faccia a nessuno, perché nessuno cada nell'errore che apre la strada al male, (come è nei confronti della vita) lo seppero i profeti, lo sanno i profeti del nostro tempo, ossia quei nostri fratelli che non svendono la propria dignità di uomini amanti della verità, preferendo l'emarginazione al piegare la testa. Lo ha provato Gesù nel suo debutto di Messia, nella sua cittadina di Nazareth. Dice il Vangelo: "Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: Non è il figlio di Giuseppe?" In altre parole, anziché fermarsi allo stupore dell'annuncio del giorno della salvezza che si stava compiendo, guardano alle origini del natale di Gesù, come quando ci si ferma al vestito povero che si porta e non alla grandezza che vi è nell'uomo vero, santo. E subito lo invitano a dare prova delle sue facoltà miracolistiche come aveva fatto a Cafarnao.

La risposta di Gesù è dura: "Di certo voi mi citerete il proverbio: medico cura te stesso". Mettevano alla pari, nella dignità e nella santità, Gesù e l'uomo qualunque di Nazareth. Nessun credito quindi alla sua profezia.

Non solo! ma quando Gesù risponde: "Nessun profeta è bene accetto in patria", e mostra come Dio è sempre pronto a manifestare il suo amore a chi è povero in spirito, aperto a Dio, come alla vedova di Zarepta al tempo di Elìa, o a Naaman il Siro, al tempo di Elisèo, narra il Vangelo, "tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città" e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli passando in mezzo a loro se ne andò" (Lc. 4,21-30).

Fa male la verità a chi ne prende le distanze e vorrebbe che le parole avessero il volto della menzogna, che più si addice tristemente a molti...anche oggi.

E' per questo che la Chiesa ogni anno propone la verità del rispetto alla vita, in questa giornata. Un rispetto che può urtare chi non vuole sentire la voce della verità. Ma guai se la Chiesa tacesse! E guai a noi se ci accodiamo a quelli che per paura seguono chi disprezza la vita.

Lascio la parola ai nostri Vescovi: "Senza figli non c'è futuro" intitolano il loro messaggio.

"Quando l'orizzonte si fa incerto e rischioso, si avverte sempre meno il desiderio di donare la vita, il coraggio di generare figli. Alla crisi delle nascite, al declino demografico e all'invecchiamento della popolazione, si riferiva anche il S. Padre nel suo discorso al Parlamento Italiano, il 14 Novembre 2002, invitando a un impegno responsabile e convergente per favorire una netta inversione di tendenza. Per riuscirci occorre avere presenti le cause della crisi che sono più d'una e di varia natura. Il Papa parlava di "problemi umani, sociali ed economici" insieme.

E' un problema l'uomo. Siamo sempre più concentrati su noi stessi, preoccupati della nostra realizzazione personale. Ciò non è negativo: lo diventa se degenera nell'unico obiettivo che divora tutto il resto. Un gigantesco "io" stritola un fragile "noi".

Perché allora lottare per tenere insieme la propria famiglia? Perché partecipare alla vita amministrativa e politica per rendere migliore la città e il proprio Paese? Una soggettività esagerata non concede spazio a nessuno, certo non a un figlio, a meno che non serva anche lui a fortificare l' "io". Viviamo inoltre nella modernità "liquida", in cui nulla deve essere solido, duraturo, permanente per sempre. I valori di ieri erano la stabilità e la fedeltà. Oggi sono il movimento e il cambiamento. Si dice che bisogna essere flessibili, senza un terreno su cui mettere le radici: che solo il presente è un valore: non lo sono né il passato né il futuro...Se questo è il contesto culturale, i figli non possono rientrare nel progetto della modernità.

I figli infatti sono per sempre: richiedono una famiglia solida per poter crescere, genitori che diano loro amore per tutta la vita, stabilmente...Senza figli così non c'è futuro. Ma anche senza genitori non c'è futuro. Un'intera cultura dominante ha scordato il valore della paternità e della maternità, anche spirituali" (Messaggio dei vescovi).

Ed allora? E' possibile pensare ad una vita personale, sociale, senza il bene della famiglia e dei figli? Davanti a questo quadro, che deve fare meditare e convertire, viene tanta nostalgia di un tempo povero di cose, ma ricco di figli; povero di cose inutili, ma ricco di amore, di valori.

E viene, con sofferenza, la bellezza di ridiventare bambini per urlare "mamma!", "papà!" Un "paradiso perduto?" No. Il Paradiso che siamo chiamati a ricostruire.

 

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