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TESTO La distanza necessaria

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/02/2004)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Uno degli imperativi diffusi ai nostri giorni è certo quello della familiarità. C'è infatti insofferenza verso i comportamenti formali, e cioè verso quegli atteggiamenti che sembrano creare distanza tra le persone. «Diamoci del tu» – ci capita ad esempio di dire quando vogliamo fare amicizia con qualcuno, aumentando la nostra confidenza con lui... «Diamoci del tu» – diciamo oggi con sempre maggiore frequenza: e pensare che settant'anni fa non si dava del tu neppure ai genitori!

Dunque la familiarità è imperativo diffuso ai nostri giorni. E anche nell'esperienza religiosa esso tende ad imporsi. Negli ultimi decenni – per fare qualche esempio – molto si è insistito sull'idea della Chiesa come comunità, della parrocchia come famiglia, della liturgia come incontro fraterno di persone... Molto si è insistito inoltre sulla necessità di rompere la separazione tra sacerdoti e fedeli, tra culto e vita quotidiana, tra sfera del sacro e sfera del profano... Come se soltanto la vicinanza potesse permettere l'incontro autentico con Dio.

Eppure non sempre è positivo cancellare le distanze e le differenze: troppa familiarità può anche essere fuorviante. Così di fatto accadde in quel tempo agli abitanti di Nazareth, quando Gesù parlò nella sinagoga (Lc 4,21-30). Quella gente conosceva bene Gesù, sapeva che lui era il figlio di Giuseppe, ed aveva una certa consuetudine con la sua famiglia. Ma appunto, troppo familiare era Gesù agli occhi dei suoi concittadini perché essi potessero riconoscere in lui il Santo di Dio, come invece era avvenuto nella straniera Cafarnao.

Appunto: non bastano proprio la familiarità e la consuetudine per approfondire la conoscenza tra le persone. Anche la distanza è necessaria: perché spesso soltanto a distanza si riesce a vedere l'immagine giusta degli altri. Nella vicinanza quotidiana, infatti, non di rado prevalgono i pregiudizi e i luoghi comuni: e dunque prevale una visione distorta delle altre persone, alla quale facilmente noi ci adeguiamo, come fosse l'unica visione possibile.

Allo stesso modo accade nei confronti di Dio, quando siamo troppo disinvolti e pensiamo di conoscerlo abbastanza. E invece dobbiamo essere consapevoli della distanza che ci separa da lui; come dobbiamo sempre da capo riconoscere l'inaudita novità del suo Vangelo. Perché la distanza non è sinonimo di indifferenza: essa piuttosto esprime un'attesa, quell'attesa che ci fa rompere la rigidità delle abitudini e l'affanno del tram-tram quotidiano.

Proprio di una simile distanza abbiamo bisogno per non essere travolti dal ritmo incalzante dei nostri tempi, e così ritrovare la bellezza di Dio e l'affetto degli altri.

 

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