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TESTO Commento su Marco 7,34-35

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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (09/09/2012)

Vangelo: Mc 7,34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 7,31-37

31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
Mc 7,34-35

Come vivere questa Parola?
Il protagonista del vangelo odierno è un sordomuto: un infermo toccato nelle capacità comunicative: non riesce a parlare perché non è in grado di sentire.
Ciò che è innanzitutto coinvolta è quindi la capacità di ascolto che crea inevitabilmente una barriera, isola nel proprio mondo interiore e rende difficile, se non impossibile, la comunicazione e di conseguenza la comunione. Una sordità, quindi, che va ben oltre il limite dovuto al cattivo o al mancato funzionamento di un organo: per quella fisica si può ovviare con altri canali comunicativi! Ed è da questa sordità che tutti abbiamo bisogno di essere liberati. Sì, dico tutti. Anzi chi ne ha più urgente bisogno è proprio chi crede di sentire bene e non si rende conto che quello che ode è soltanto il concitato vocio interiore che rischia di tacitare anche il sommesso richiamo di Dio.
"Avete orecchie e non udite!" ci ammonisce Gesù, il medico venuto per chi si riconosce manchevole e quindi gli permette di esercitare la propria arte risanatrice.
Solo quando gli permettiamo di aprire il nostro orecchio, come il Servo di cui parla Isaia, per un ascolto che non fa la cernita tra parola e parola, che non cerca di forzarne il senso con interpretazioni arbitrarie, vedremo sciogliersi il nodo della nostra lingua e potremo parlare correttamente, magari senza pronunciare una sola parola, resi testimoni di un amore da cui ci scopriamo raggiunti e risanati quotidianamente.
Nella mia pausa contemplativa verificherò quanto sia realmente capace di ascolto sia della Parola di Dio che di quella, forse non ancora verbalizzata, del fratello.
Rendimi consapevole, Signore, della mia sordità e apri il mio orecchio, ogni giorno, perché possa accogliere con cuore rinnovato la tua parola di vita, anche quando può risultarmi scomoda.
La voce di un Arcivescovo, teologo e pedagogo
Dio non smette di parlare; ma fuori il rumore delle creature e dentro di noi quello delle passioni ci stordiscono e ci impediscono di sentirlo
François de Salignac de La Mothe Fénelon

 

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