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TESTO E comandò loro di non dirlo a nessuno

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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (09/09/2012)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 7,31-37

31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Il vangelo odierno ci presenta uno dei 18 episodi di miracoli raccontati dall'evangelista Marco: per la prima volta qui Gesù fa ricorso a gesti molto comuni tra i guaritori dell'epoca; infatti pone le dita negli orecchi del sordomuto e gli tocca la lingua con la saliva, ritenuta elemento medicamentoso sia dagli ebrei che dai pagani; poi guarda verso il cielo, emette un sospiro e pronuncia una parola aramaica ("effatà!"), che subito l'evangelista traduce in greco ("apriti!"). Come effetto di questi gesti e della parola efficace di Gesù, gli orecchi del sordomuto si aprono, il nodo della lingua si scioglie ed egli comincia a parlare correttamente.

A questo punto, come in altri racconti analoghi, Gesù impartisce l'ordine di non dire a nessuno del miracolo da lui compiuto. "Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano:" (vv.36b-37) Questi versetti pongono almeno due interrogativi: perché Gesù vieta di divulgare l'azione miracolosa? E perché, al contrario, la gente ne parla, e assai diffusamente?

Cominciamo a rispondere alla seconda domanda. E' da notare che le parole pronunciate dagli astanti pieni di meraviglia costituiscono, per chi ha familiarità con la Scrittura, l'evidente eco di un passo di Isaia: "Allora...si schiuderanno gli orecchi dei sordi....griderà di gioia la lingua del muto..." (Is.35,5b-6 - 1° lettura di oggi), il quale mostrava in determinati miracoli il "segno" dell'era messianica ormai iniziata. Dunque, con l'esclamazione prima citata la gente dichiara di veder realizzate le antiche profezie e di riconoscere in Gesù l'atteso Messia; e la meraviglia, lo stupore, la gioia di tale constatazione sono tali e tante che non si può obbedire al comando del Nazareno; ma perché quest'ultimo vuole evitare che si sappia del suo gesto straordinario e soprattutto vuole tenere segreta la sua identità?

Siamo qui di fronte a un tema caratteristico del secondo vangelo: il cosiddetto "segreto messianico", espressione coniata da W.Wrede nel 1901, quando per primo pose la questione; su di essa sono poi stati scritti i classici "fiumi di inchiostro"! Ne riprendiamo qui di seguito le principali argomentazioni e le conclusioni attuali.

A differenza degli altri sinottici, Marco presenta nel corso della sua narrazione un continuo alternarsi di manifestazioni esplicite dell'identità messianica da parte di Gesù (che compie miracoli ed esorcismi) e di cautele, discorsi fatti a pochi, intimazioni di non divulgare i suoi gesti prodigiosi, come abbiamo appena visto; questo soprattutto nella prima parte del vangelo: si vedano ad esempio i passi di Marco 1,23-28; 2,10-11; 3,11-12; 4,11-12.

Con l'episodio di Cesarea di Filippo (cap.8, 27-35), il vangelo della prossima domenica, inizia la seconda parte del racconto marciano, in cui al contrario Gesù progressivamente accetta i riconoscimenti della sua identità e riduce i divieti di manifestarla.

Così, se a Cesarea, dopo l'esplicita affermazione di Pietro "Tu sei il Cristo" (Mc.8,29), Egli ancora impone "loro severamente di non parlare di lui a nessuno" (v. 30), dopo la Sua trasfigurazione (Mc.9)

ordina "loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti" (Mc.9,9). Dunque il comando del silenzio ora ha un limite nel tempo.

E nel seguito della narrazione si vede chiaramente come il "segreto" sul Messia viene man mano attenuandosi e il mistero di Gesù sempre più manifestandosi, fino a che nel corso del processo giudaico Gesù stesso, alla domanda del sommo sacerdote: "Sei tu il Cristo, il figlio di Dio benedetto?", risponde: "Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo" (Mc.14, 61-62). Sarà proprio questa esplicita dichiarazione a determinare la sua condanna a morte.

E' ormai accertato che i dati di cui sopra risalgono al Gesù storico e che l'intervento redazionale di Marco sia consistito soprattutto nel conferire loro un ruolo fondamentale nello svolgimento della vicenda, richiamando evidentemente l'attenzione del lettore. Questo perché l'evangelista voleva raggiungere uno scopo ben preciso: avvertire l'interlocutore di allora e di sempre che non era possibile capire veramente chi era Gesù di Nazareth, se non dopo la sua resurrezione dai morti.

Il Maestro era sì il Messia tanto atteso, ma la sua dimensione messianica era assolutamente nuova, e dunque radicalmente diversa da quella pensata dal popolo giudaico, che si aspettava un rivoluzionario Liberatore dall'odiata dominazione romana e un Restauratore politico del regno di Davide; e di questo erano convinti gli stessi discepoli e apostoli, come si vede chiaramente da vari episodi: ad esempio in Marco 8,32; 10,35-45; 14,50.

Ma Gesù, che era venuto a compiere la volontà del Padre, non era un Messia politico con funzioni limitate al popolo di Israele; era molto di più: un Messia spirituale e universale, quel Messia che peraltro le Scritture avevano preannunciato in due misteriose figure dell'Antico Testamento: il Servo di Jahvè, descritto da quattro cantici del Secondo Isaia (nei capp. 49-53) e il Figlio dell'uomo, che compare in Daniele 7, 9-14 (su cui ci soffermeremo nel commento al vangelo della prossima domenica)

Ecco perché il Nazareno, pur operando i gesti prodigiosi che rientravano nel suo compito terreno,

non poteva presentarsi apertamente come Messia, senza provocare un equivoco radicale sulla sua persona, equivoco che tra l'altro avrebbe potuto causare un movimento politico e un susseguente intervento delle autorità romane, che avrebbe ostacolato o addirittura impedito la sua missione.

Ecco perché Gesù, fedele al suo incarico di annunciare la Verità, sapeva che, scontrandosi con le autorità giudaiche, quasi certamente sarebbe andato incontro alla morte. Di qui la necessità di preparare almeno i suoi discepoli all'idea di un Messia sofferente, come avviene nei tre preannunci della Passione, presenti nei vangeli sinottici.

Ecco perché, dopo la Trasfigurazione, Gesù disse che si sarebbe potuto parlare di essa solo dopo la sua resurrezione dai morti, quando cioè non era più possibile equivocare sul significato del suo messianismo; e soprattutto quando, grazie al dono dello Spirito, che Gesù emise dalla croce, (e solo grazie a tale dono!) si poteva davvero cogliere la messianicità di Gesù, del tutto estranea alla gran parte del giudaismo del tempo: la realtà di un Messia che patisce e muore per i peccati del popolo in sostituzione del popolo stesso.

 

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