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TESTO Il Padre e le Scritture danno testimonianza di me

Ileana Mortari - rito ambrosiano   Home Page

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Vangelo: Gv 5,37-47 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Il testo costituisce la 2° parte di un ampio monologo di Gesù (Gv.5,19-47), nel quale Egli risponde alle accuse riportate nel v. 18: "Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio."

In verità - dice Gesù - il Figlio da sé non può far nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; cioè: quello che il Figlio fa non è per sua iniziativa, ma perché (v.20) il Padre ama il Figlio e gli manifesta tutto quello che fa. Il Padre come sorgente dell'attività del Figlio: è questo un "leit motiv" della teologia giovannea.

Il Nazareno poi ricorda che già Giovanni Battista aveva testimoniato in suo favore (cfr. Gv.1,32-34 e 3,28-34) presentandolo alla gente come l'inviato di Dio che deve venire in questo mondo; e che le sue stesse opere certificano che il Padre lo ha mandato; infine nel brano odierno Egli - in un contesto forense - si sofferma particolarmente su altre due testimonianze: quella del Padre e quella delle Scritture.

Il Padre è il testimone più competente, che sta alla base anche delle altre tre testimonianze, perché ha una conoscenza connaturale di Gesù, essendogli uguale; tale testimonianza del Padre è particolarmente forte e incontestabile, perché l'uomo può ingannarsi nei suoi giudizi, ma Dio no.

La testimonianza del Padre è costituita sia dalla teofania sul Sinai, dove Jahvè donò agli uomini la sua Legge, tutta orientata al compimento in Cristo, sia dal fatto che Dio ha reso e continua a rendere testimonianza al Figlio suo nel cuore di ogni uomo (v.38).

Quanto alle Scritture, "esse danno testimonianza di me" (v.39), perché - come specificherà meglio dopo - "Mosè ha scritto di me" (v.46). In che senso?

Per "Scritture" si intende il Primo Testamento nel suo complesso; esso è orientato al suo compimento Cristologico (cfr. Gv.1,41.45; Gv 5,46; 12,16.41; 20,9), visto che proprio Gesù adempirà l'intera Legge.

Quanto al fatto che "Mosè ha scritto di me", non si tratta di cercare qualche passo particolare, ma è il complesso delle Scritture, personificate in Mosè, che in taluni versetti allude o anticipa il Cristo; si vedano ad esempio l'attesa del Salvatore nel libro della Genesi (Gen.3,15), la profezia sul discendente di Giuda (Gen.49,10-12), il preannuncio di Gesù profeta in Deut.18,18, il versetto di Isaia "la vergine partorirà un figlio"(Is.7,14), le pagine del Deuteroisaia relative al Servo di Jahvè, l'affermazione di Gv.12,41: "Questo disse Isaia perché vide la sua gloria [=del Cristo] e parlò di lui".

E' significativo che la Chiesa primitiva si preoccupasse subito di raccogliere una nutrita serie di testimonianze (i noti "testimonia"), cioè un insieme di quei passi dell'Antico Testamento che sono stati adempiuti da Gesù, passi che ora ritroviamo distribuiti sia nei Vangeli che negli Atti degli apostoli.

Dunque l'Antico Testamento ha raggiunto la sua pienezza di senso e il suo compimento in Gesù di Nazareth. Ma i Giudei, in particolare i capi e responsabili ebrei, rifiutano di accoglierlo e di credere in Lui; il che avviene sia al tempo di Gesù, sia al tempo della comunità giovannea e della redazione del quarto vangelo (ca. 100 d. Cr.), quando, specie dopo la caduta del Tempio del 70 d. Cr., si erano particolarmente inaspriti lo scontro tra giudei e cristiani e la polemica tra sinagoga e chiesa: è molto probabile che il cap.5° di Giovanni ne sia un diretto riflesso.

Ora - osserva Gesù - se voi non credete a colui che Dio ha mandato e vi rifiutate di andare a Lui, di fatto sconfessate quelle Scritture che scrutate con tanto zelo, pensando di avere in esse la vita eterna (v.39). Ma non è così, proprio perché rifiutate Colui che dà senso e compimento alle Scritture stesse. Così - cosa gravissima - "la sua parola non rimane in voi" (v.38). La parola di Dio, vivente e dispensatrice di vita, non giova più ai giudei, se non credono a colui che Dio ha mandato, giacché questi è colui che ora dice le parole di Dio (cfr.v.34), questi è colui che ora è la porta di accesso e la chiave ermeneutica delle Scritture stesse.

Chi vuole avere la vita deve realmente ascoltare la parola di Dio e credere all'Inviato, le cui parole sono spirito e vita ( cfr.Gv.6,63b.68). Perciò la vita divina non può rimanere in quegli uomini che, anche se si aprono alla Scrittura, si chiudono alla parola vivente e personale di Dio.

Inoltre Gesù accusa i giudei di non credere nella sua persona divina perché non cercano la gloria di Dio (= l'amore di Dio), ma la propria (Gv.5,44), cioè l'approvazione degli uomini, la stima e la sicurezza mondana e per questo sono disposti a credere a falsi profeti o sedicenti messia, che assecondano i loro inconsci desideri e la loro superbia, piuttosto che al Figlio dell'Uomo. "La condotta dei giudei è un ammonimento anche per noi perché non ci serviamo della religione per il nostro prestigio o tornaconto umano. Lo zelo religioso può essere talvolta un'occulta sublimazione del nostro orgoglio: ci serviamo di Dio invece di servire Dio!" (Don Lino Pedron)

Alla fine l'apologia si muta in polemica (Giov.5,41-47):

"45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?"

In pratica, c'è in questa pericope un crescendo di toni accesi, un clima da scontro vero e proprio, che si colloca nella linea del lungo processo intentato da Jahvè contro il popolo eletto, ribelle alla sua parola e alle manifestazioni della sua benevolenza. Con il dono a Israele dell'Inviato escatologico, questo processo tocca il suo punto critico.

Nelle ultime battute del discorso, che era iniziato come difesa di Gesù, accusato dai giudei di farsi uguale a Dio, i ruoli sono rovesciati: Gesù, da accusato, prende il posto di "pubblico ministero" e introduce a loro carico un accusatore eccezionale: Mosè, il mediatore e garante della Legge.

Questo è davvero molto grave per i responsabili del popolo ebraico, che si sentono i veri interpreti della Torah, e sono convinti che Mosè sarà il loro intercessore e difensore presso Dio. Al contrario, Mosè è pronto ad accusarli, perché non accolgono la sua testimonianza a favore di colui che è stato inviato da Dio.

 

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