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TESTO Commento su 1Re 18,16b-40a; Romani 11,1-15; Matteo 21,33-46

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

XI domenica dopo Pentecoste (Anno B) (12/08/2012)

Vangelo: Mt 21,33-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,33-46

33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. 44Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato».

45Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. 46Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Lettura del primo libro dei Re 18,16b-40a

Il Signore manda alcuni messaggi ad Elia che è rimasto solo in Israele ad onorare pubblicamente il Dio d'Israele mentre, se non è scomparsa la fede nel popolo, tutti sono impauriti per la persecuzione pesante che il re e la regina sviluppano e per l'uccisione dei profeti che onorano Dio. Tra coloro che ancora fattivamente adorano Dio c'è Abdia, il maggiordomo del re Acab, che "teme il Signore". Poiché è un uomo di molte risorse, è riuscito a nascondere in alcune grotte almeno 100 profeti di fede genuina e li alimenta in incognito, con pane ed acqua, in un periodo in cui una grande siccità sta divorando il lavoro ed i magri raccolti da almeno da tre anni. Tutta questa sofferenza e questa miseria, che si moltiplicano, mettono in grande crisi il territorio e rendono furiosa l'autorità poiché si è sparsa la certezza che tale siccità viene da Dio ed Elia ne è responsabile. Finora Elia è fuggito, pur inseguito dalle forze militari del re che non l'hanno saputo incontrare. Ora Elia stesso, attraverso Abdia, si fa annunciare ad Acab e propone quello che poi sarebbe stato detto un "giudizio di Dio". Così la sfida davanti al popolo, pure impaurito, dà però al profeta coraggioso il salvacondotto per poter svolgere la prova.

Sono previsti, in pratica, i due sacrifici fondamentali che si celebrano in Israele.

Quello del mattino viene desiderato dai sacerdoti di Baal. E tutta l'impetrazione si allunga ben oltre il mezzogiorno. L'offerta del pomeriggio viene lasciata ad Elia.

Il testo è gustoso e la provocazione è accompagnata anche dal sarcasmo del profeta verso gli "idoli muti o addormentati". I sacerdoti danzano, gridano, pregano, in attesa che un fuoco dai loro dei incenerisca l'offerta. Ma invano. Elia è sicuro nella propria fede e quindi utilizza l'ironia sulle attese e speranze pagane, risollevando l'atteggiamento di alcuni convinti e di molti rassegnati.

Nel momento della prova, in un silenzio drammatico, Dio viene invocato con le stesse parole con cui Dio si manifestò a Mosé. "Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d'Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola" (v 36). Perciò ciò che serve in questo momento è che "questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!" (v 37). Tutto il seguito è una rivincita sovrabbondante: il fuoco brucia tutto, anche le pietre dell'altare e le suppellettili. Il risultato è un trionfo del Dio d'Israele e tale viene percepito dalla gente, prima impaurita e sfiduciata. Così il profeta ha raggiunto il suo scopo, ma ritiene che, dopo la verifica, si debbano distruggere coloro che credono negli idoli e, in particolare, i sacerdoti officianti. Ma questo il Signore non l'ha chiesto ad Elia: è solo una interpretazione religiosa di Elia. Egli suppone che Dio sia vendicativo, che quindi l'onore di Dio debba essere salvato e riscattato, e che debbano essere, perciò, eliminati i suoi oppositori.

La pretesa di voler vendicare Dio è un grande pericolo delle religioni. E davvero le religioni, lungo la storia, facilmente non dimostrano di aver maturato il senso della misericordia della divinità, vero attributo di Dio. E' davvero necessario che il Signore ci aiuti a capire che la vera dignità è nel perdono e nella pace, non nella violenza e nella morte. Il seguito della fuga di Elia nel deserto, fino all'incontro con il Signore, lo persuaderà che la violenza non è la scelta di Dio.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 11,1-15

Il rifiuto d'Israele è il dramma che pesa sul cuore di Paolo e sulla coscienza della prima Comunità cristiana, poiché la lontananza, globalmente presa, del popolo d'Israele sembra smentire l'opera e la promessa di Dio. E tuttavia la separazione non è totale ma temporanea. Dio resta fedele sempre ed ha riservato a sé un "resto" (vv 2b-4). Così il Signore garantisce che sta continuando il suo piano di salvezza. Esso, però, dovrà essere colto come dono e non come il risultato di uno sforzo da parte degli interessati. Chi segue Gesù è stato scelto con amore, per grazia, e non certo per le sue opere. E Paolo tiene a ripetere che la sequela di Gesù ci porta a Dio, perché è Gesù che ha posto in noi questa vocazione.

E se la cultura ed il linguaggio ebraici traducono lo sviluppo di questa opposizione del popolo ebraico a Cristo come opera di Dio "che ha indurito e reso sclerotico il loro cuore, duro come un callo attraverso cui non passa la verità", la riflessione successiva si ammorbidisce, ricordando che Dio accetta pure di essere rifiutato là dove la persona ha rinunciato a Dio.

La ricerca di Dio assomiglia ad una corsa. Molti inciampano e sono caduti. Non si tratta, tuttavia, di un castigo definitivo. Dio si riserva l'avvenire. Se rifiuta ciò che lo ha rifiutato, tuttavia non dimentica ciò che ha amato. Se i popoli pagani hanno approfittato del rifiuto degli ebrei per sostituirsi a loro e sono così entrati nelle scelte di Dio, questo susciterà gelosia e quindi reazione per saper ripensare e ritrovare i varchi sempre aperti che il Signore lascia a tutti, ma ancor più al suo popolo d'Israele.

Tale lontananza ha permesso al mondo pagano di entrare nella conoscenza del vero Dio. Si verificherà un avvenimento ancora più grande, quando tutto il mondo sarà riconciliato con il Signore. L'ingresso dei pagani è allora solo una tappa, non la sanzione di una maledizione. Il Signore sa aspettare e sa riprendere. Il Signore non abbandona. Il Signore continua ad amare. Ed anche Paolo svela le sue intenzioni. Egli è andato ai pagani con la segreta e certa speranza di poter aiutare e ricuperare il suo popolo

Paolo è sicuro delle intenzioni di Dio: coraggiose e pazienti. Egli non è impaurito del tempo che passa, non scoraggiato della fragilità e della chiusura. La conclusione non sarà solo una conversione ma una piena risurrezione dei morti.

Paolo ci aiuta a rileggere il cammino della fede, proprio nel tempo in cui ci sembra sia diventata più fragile e meno consistente. A noi spetta seguire il Signore con fiducia e con amore e avere la nostalgia di un mondo di uomini e donne, ricco di pace e di amore.

Lettura del Vangelo secondo Matteo 21,33-46

Gesù è nel tempio (v 21,23) e sta insegnando. Arrivano anche i sommi sacerdoti, gli anziani del popolo, le autorità religiose. Ritengono di avere il diritto di interpellare Gesù poiché custodi della legge. E Gesù sta insegnando nel tempio, come un maestro della legge. "Con quale autorità fai questo?". Gesù non rifiuta di rispondere. Chiede solo a loro che prima essi diano un giudizio sul battesimo di Giovanni il Battista. In fondo Gesù ha posto questa domanda poiché la loro risposta vuole essere una verifica della loro serietà di ricerca. Anche le autorità religiose intuiscono il significato della domanda di Gesù e rifiutano. Proprio i responsabili della legge rispondono:"Non lo sappiamo". Gesù, di rimando: "Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose". Ma Gesù aggiunge due parabole, ambedue legate all'immagine della vigna, che coinvolge insieme la loro e la sua posizione.

La prima parabola (non riportata in questa liturgia) parla di due figli a cui il padre chiede di andare a lavorare nella vigna. Uno risponde di si, e non ci va; l'altro risponde di no e poi ci va. Gesù pone la domanda: "Chi ha compiuto la volontà del padre?" e non: "Chi è stato rispettoso con il padre?

La seconda parabola si rifà ad un celebre canto della vigna del profeta Isaia (5,1-7). Il profeta ricorda che c'è un grave conflitto tra la vigna che rifiuta di dare un frutto dolce e maturo, e il padrone che, personalmente, ha sviluppato un lavoro coscienzioso per lungo tempo: "(Il padrone) aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Il Padrone è Dio e la vigna è il popolo d'Israele.

Qui Gesù cambia gl'interlocutori del processo. Non è più la vigna che deve giustificarsi ma sono i lavoratori che si rifiutano di rendere conto del lavoro fatto. Possono essere ingordi, possono aver sperperato tutto, possono non aver lavorato. Non si fa un problema del valore del prodotto, ma del riconoscere il diritto del padrone sulla sua vigna.

Al tempo della vendemmia il padrone manda i suoi servi (i profeti) in due invii successivi (potrebbero identificarsi quelli viventi prima e dopo l'esilio di Babilonia).

Alla fine il padrone manda il figlio suo perché continua a sperare nel recupero di queste persone che ha sempre amato e onorato. E mostra di sperare in una soluzione positiva. Ma, alla vista del figlio, i vignaioli ribelli non solo continuano nella rivolta, ma sviluppano ancor di più l'ostinazione di voler diventare i padroni, senza dover più rendere conto a nessuno.

Così anche il figlio viene rifiutato anzi, portato fuori dalla vigna, e ucciso.

E qui chiaramente Matteo, in trasparenza, ci fa scoprire il Signore che ha affidato la sua vigna ai lavoratori. Prima, nella parabola di Isaia, ( e qui il riferimento al tempo nell'Antica Alleanza) Dio stesso ha sviluppato tanto amore poiché si è curato personalmente di tutto ciò che può portare buon frutto. E, piantate le viti, ha circondato di una siepe la vigna: (rappresenta la Legge che il Signore ha rivelato per proteggere il suo popolo dai nemici e dalla distruzione del male). Qui siamo nel tempo nuovo dell'Alleanza, quella del Figlio. I lavoratori sono le guide religiose e politiche.

Per tutti i frutti sono le opere buone e la giustizia sociale per rendere sereno il popolo di Dio che il Signore ama. Il tempo della vendemmia è il giorno del rendiconto, della giustizia.

Gesù chiede che cosa il padrone dovrebbe fare. La risposta è altrettanto violenta.

"Questi malvagi dovrebbero morire miseramente". Ma Gesù rilegge i fatti in altro modo. Non ci deve essere vendetta e neppure la finzione che il male non sia stato commesso. Il male c'è e la morte, fuori della città, del figlio corrisponde al rifiuto del figlio considerato bestemmiatore e delinquente. Ma Dio lo riscatta, lo glorifica come la migliore pietra da costruzione e ricomincia, affidando il suo patrimonio ad altri.

Così Gesù ha risposto sulla sua autorità, ha richiamato il suo futuro, ha delineato il compito nuovo della Chiesa per tutti coloro che lo ascoltano e lo vogliono seguire. Si ricostruirà un mondo molto più bello e più grande, più giusto e più buono.

 

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