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TESTO Commento su Giovanni 6,41-51

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XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/08/2012)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

COMMENTO ALLE LETTURE

a cura delle Clarisse di Città della Pieve

La Parola oggi ci porta a riflettere sulle nostre ribellioni, sul nostro malcontento, che in Elia arriva fino al punto di voler lasciar perdere tutto, compresa la stessa vita! E' un atteggiamento imprevisto in un gigante della fede come Elia, di cui il libro del Siracide parla in questi termini: "Allora sorse Elia profeta, come un fuoco. / La sua parola bruciava come fiaccola... / Come ti rendesti glorioso, Elia, con i tuoi prodigi! / E chi può vantarsi di esserti uguale? / Tu hai fatto sorgere un defunto dalla morte... / tu hai fatto precipitare re nella perdizione... / tu sei stato designato a rimproverare i tempi futuri, / per placare l'ira prima che divampi, / per ricondurre il padre verso il figlio e ristabilire le tribù di Giacobbe. / Beati coloro che ti hanno visto / e si sono addormentati nell'amore..." (cf. Sir 48,1-11). Questo è Elia, questa l'eredità che lascia... Eppure anche lui arriva ad un momento in cui non ne può più, sotto la persecuzione continua e piena di odio della regina Gezabele. Fugge, e dice al Signore: "Ora basta!". Lo dice al Signore: comunque Elia prega, si rivolge al Signore, cerca Lui come interlocutore, non gli uomini, neppure la stessa Gezabele. La sua fede granitica lo porta a vedere comunque la presenza di Dio dentro gli avvenimenti di cui è spettatore e vittima. Mantiene aperto un dialogo, sebbene sia un dialogo drammatico: "Prendi la mia vita!". Elia vuole morire... preferisce morire per mano di Dio piuttosto che per mano degli uomini, o meglio, preferisce decidere lui stesso della propria morte, piuttosto che lasciare che l'ultima parola su di lui l'abbia Gezabele.

Detto questo si addormenta, come Giona sulla nave in tempesta (cf. Gio 1,5b), come gli apostoli al Getsemani (cf. Mt 26,40): così Elia cede le armi, sperando di anticipare con il sonno la morte che ha appena invocato. Come dire: "Intanto cominciamo almeno così a chiudere con la vita...!".

E il Signore, attento alla sua preghiera, perché fatta comunque con fede, lo visita. Lui, il Dio della vita, lo visita non per farlo morire, ma per dargli ancora più vita: con la sua visita gli fornisce tutto il necessario per il cammino futuro.

Ma non riesce a convincerlo, ancora Elia vuole dormire... è così: quanto siamo testardi e duri di cuore nel lasciarci convincere da Dio! E Dio ritorna all'attacco e lo sveglia dal suo sonno, per rimetterlo in marcia. Un po' di focaccia e un orcio d'acqua per 40 giorni di cammino: poca cosa di fronte ad un viaggio tanto lungo! Eppure basta, perché insieme al pane e all'acqua Dio dona la consolazione della sua presenza, dona la forza di una nuova chiamata, che riporta Elia diritto sull'Oreb, alle sorgenti della sua fede.

Dalla ribellione alla fede, dunque...

Così per Elia. Veniamo ora ai Giudei, anche loro scontenti, anche loro perplessi davanti a un Dio che non capiscono. Loro però, a differenza di Elia, increduli. "Di Gesù ormai sappiamo tutto... adesso che storie nuove tira fuori?". Questo solo perché aveva provato a dire loro: "Sono il pane disceso dal cielo". Dunque una cosa bella, consolante: "Vi do un pane diverso, un pane che non nutre la vita del corpo, ma dell'anima, che vi farà vivere per sempre... e questo pane sono io, è la mia carne". Un discorso pieno di vita, e di vita eterna, che però non rientra nelle categorie umane, ma può essere compreso solo con un'apertura di fede. Come dirà Gesù stesso dopo poco, di fronte alla durezza di cuore dei suoi ascoltatori: "E' lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono" (Gv 6,63-64).

L'incredulità blocca la mano di Dio. Lui, il Dio dell'impossibile, si ferma di fronte alla chiusura di cuore e di mente dei Giudei. Qui sta la differenza. Elia si rende famoso per i prodigi, perché crede. Crede che in un po' di focaccia e in un orcio d'acqua ci sia tanto nutrimento da sostenere un viaggio di 40 giorni, e parte; crede che lui - così sconsolato e stanco... - ancora avrà forza e vigore per combattere contro i nemici e sconfiggerli. Così, sulla Parola di Dio, si mette in cammino. I Giudei ragionano, e i conti non tornano: perché se Gesù è il figlio del falegname non può essere pane di vita; perché un uomo non può dare la propria carne in cibo; perché nessun cibo materiale può mai dare la vita eterna.... I Giudei si fermano qui, si fermano alla mormorazione, tanto triste quanto sterile, e non partono per il viaggio misterioso che propone loro Gesù, l'unico viaggio capace di spalancare le porte della vita eterna, quella vita che comincia fin d'ora: il viaggio della fede.

In questo caso, dunque, dalla mormorazione all'incredulità: e il viaggio non inizia neppure, è già finito in partenza.

E noi? Dove stiamo in questo momento? S.Paolo nella seconda lettura ci può aiutare a fare un rapido esame di coscienza per capire il nostro punto di partenza: stiamo sul versante dell' "asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità", oppure su quello della benevolenza, della misericordia, del perdono...? Cosa alberga nel nostro cuore? E' bene riconoscerlo, è il primo passo del viaggio che ci sta davanti. Se siamo stufi e vogliamo morire, diciamolo con sincerità; se ci sono dubbi dentro di noi, guardiamoli con onestà; se riconosciamo amarezze e stanchezze che ci abitano, denunciamole a Dio... così che tutto questo possa "scomparire" per lasciar posto all'amore!

Ecco un viaggio ben più lungo e impegnativo di quello di 40 giorni di Elia: dal risentimento al perdono. Come dire: dalla morte alla vita. Perché ritrovare sentimenti positivi e luminosi quando il cuore si è chiuso nell'ira è proprio come risorgere dai morti. Ma questo è possibile solo a Dio, di cui appunto siamo chiamati a farci "imitatori". Ed è Dio stesso, allora, che nell'Eucaristia si fa nutrimento per questo viaggio verso la vita: "Io sono il pane della vita... io sono il pane vivo... il pane che io darò è la mia carne, per la vita del mondo".

Un viaggio meraviglioso, dunque, perché conduce alla vita eterna. Un viaggio in cui ci viene garantito, gratuitamente, il necessario per il cammino. Un viaggio per cui abbiamo ricevuto un chiaro invito: il Padre stesso nel Battesimo ci ha invitati, più ancora, ci ha "attirati". Cosa manca ancora dunque per partire? Semplicemente la nostra fede, come apertura di cuore e di mente, semplice e fiduciosa: in un pezzetto di pane e una goccia di vino c'è quanto ci basta, possiamo partire tranquilli. Lasciamoci allora svegliare dal sonno in cui ci siamo per caso rifugiati, non "rattristiamo lo Spirito santo di Dio", ma "camminiamo nella carità", verso la Vita vera..

 

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