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TESTO Mangiare il pane del coraggio e del sollievo

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/08/2012)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Gesù pane vivo disceso dal cielo è dunque nostro alimento e sostentamento di vita, come bene hanno illustrato le pagine liturgiche delle domeniche precedenti. Se però l'efficacia di un genere alimentare è quello di rifocillare e ridare carica ed energia, il Pane vivo disceso dal Cielo è in grado di rianimare e dare rinnovato slancio quando irrompe la sfiducia e lo scoraggiamento. Disistima, abbattimento, scoramento e arrendevolezza sono insidie che ricorrono spesso nel corso della nostra vita, soprattutto quando abbiamo iniziato ad intraprendere un particolare itinerario nobile e promettente che tuttavia richiede impegno e sacrificio. Il percorso per raggiungere l'obiettivo non è sempre rettilineo, non di rado riserva ostacoli imprevedibili e insidiose difficoltà per cui la sfiducia e la frustrazione sono sempre in agguato e minacciano la nostra perseveranza, tante volte giungendo ad anticipare la sconfitta laddove in realtà non sussiste. Parecchie sono in effetti le mete che si mancano di perseguire a causa di un presunto senso di incapacità e di inettitudine dovuto ad iniziali insuccessi; parecchie volte si getta la spugna solo perché scoraggiati e depressi dagli ostacoli della lotta o perché sopraffatti dalla paura di non essere all'altezza del successo ma proprio il disanimo è altamente lesivo, poiché distoglie dalla possibilità che noi sfruttiamo talenti e prerogative di cui disponiamo lasciandoci vedere solo negatività e difetti in realtà inesistenti. o perché si avverte il falso senso di incapacità e di inerzia di fronte al primo insuccesso. E appunto l'arrendevolezza è l'arma vincente del maligno e come afferma Paolo in qualche luogo la disperazione è l'arma letale del diavolo. Aprire gli occhi sul nemico ben visibile che ci si para davanti non equivale ad essere desti e pronti se poi si dorme su quello invisibile e insidioso della sfiducia e dell'arrendevolezza.

Occorre sempre credere in se stessi e nelle proprie risorse senza scoraggiarsi né deprimersi ai primi ostacoli, che peraltro sono pur sempre prevedibili e regolari e soprattutto non lasciarsi suggestionare dai commenti mortificanti di quanti perdono il loro tempo ad insinuare i nostri limiti e le nostre incapacità di raggiungere lo scopo.

Ad esortarci poi alla fiducia in Dio è la Scrittura di oggi, la quale ci ragguaglia della necessità di perseveranza prima attraverso un personaggio, poi per mezzo di un concetto.

Nella vicenda che accade ad Elia (I Lettura) è il Signore che incute coraggio al profeta invitandolo a perseverare nel suo cammino tortuoso e demoralizzante: sfuggito alla persecuzione della regina Gezabele che voleva la sua morte per aver ucciso 400 profeti di Bal, Elia si ripara sotto un ginepro e, messa da parte ogni possibilità di vittoria e di conquista, si rivolge a Dio con toni di rassegnato abbandono: "Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri." Ma il Signore non si cura neppure di prendere in considerazione i suoi lamenti; piuttosto lo rianima provvedendo per lui un cibo che gli permetterà di camminare per quaranta giorni e quaranta notti verso il monte Oreb, per antonomasia il monte di Dio. Come ben sappiamo, nella Bibbia il numero 40 indica un imprecisato tempo di ansia, lotta, privazione che si trascorre in vista di un obiettivo che riguardi il Signore come nel caso della conversione e della penitenza. Ora, Elia con la forza di questo pane che Dio gli concede si rialza ritemprato e fiducioso, abbatte il muro di ogni frustrazione e di ogni avvilimento, mettendo da parte ogni senso di sconfitta e di debolezza e riprende il cammino lento, faticoso ma costante verso il Signore e verso tutte le altre direzioni verso le quali Egli stesso lo condurrà. Il pane materiale che aveva sostenuto gli Israeliti errabondi nel deserto ora rinfranca e solleva il deperito Elia che si trova in preda al panico e allo scoraggiamento ed è il pane concesso solamente dalla Provvidenza di Dio che non lascia mai soli i suoi fedeli messaggeri.

Si tratta ovviamente del sostentamento materiale, che a sua volta è indice della premura di Dio nei confronti dell'uomo e la cui presenza invita alla riconoscenza e al rendimento di grazie: considerare la disponibilità di alimenti essenziali a necessario sostentamento che ogni giorno ci viene comunque concessa non sarà mai abbastanza, considerando lo stato di miseria e di denutrizione in cui vertono interi popoli abbandonati all'indigenza e alla precarietà materiale e il fatto che in questi ultimi tempi, complice il fenomeno sempre crescente della crisi economica, il costo della vita costringe sempre più famiglie a ridurre la spesa all'essenziale e a rinunciare ai divertimenti e alle voluttà, non può non farci considerare come di fatto tutto quello che abbiamo non ci appartiene. Il pane materiale proviene solamente dalla misericordia provvidente di Dio e nulla possediamo noi che non ci sia stato donato.

E accanto al pane materiale per il quale recitiamo anche la famosa preghiera del Padre nostro (Dacci oggi il nostro pane quotidiano), anzi proprio in ragione di esso, scopriamo il nostro fabbisogno di pane spirituale, che non si corrompe ma che risana l'uomo mentre corrompe se stesso, insomma del pane vivo disceso dal cielo che è Gesù Cristo. Di questo Pane avvertiamo inconsapevolmente la necessità, perché la fame di cui l'uomo soffre quanto ad orientamento di vita è ancora più assillante di quella materiale. Del Verbo incarnato che è Dio fatto uomo inavvertitamente sentiamo il bisogno, come pure la necessità che questo pane ci sostenga perennemente e nella misura in cui noi si avverte questa necessità, tanto più lo stesso Cristo pane vivo ci si propone deliberatamente e senza riserve e ci invita per l'appunto a mangiare di Lui. Magiare di lui significa effettivamente assumerlo, assimilarlo, conformarci a lui costantemente quale quale criterio irrinunciabile di vita; ma nel Sacramento dell'Eucarestia siamo invitati a consumarlo anche materialmente, mangiando il suo Corpo reale nelle apparenze del pane perché egli stesso continui ad incutere in noi quello stesso coraggio di perseveranza nella lotta che rianimava Elia motivandolo nel cammino.

. Il Sacramento domenicale è alimento di fiducia e di costanza e perseveranza nella prova e chi lo assume con fede incondizionata mettendosi alla sequela attenta dello stesso Signore troverà lo sprone, il sostegno e la forza per proseguire nei propri obiettivi per quanto cavillosi possano essere evitando le trappole dello scoraggiamento e dell'arrendevolezza.

 

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